DALLA PARTE DEGLI STATI DI SAVOIA

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Ancien drapeau Piémontais du Régiment d'Ordonnance Nationale (ph. Alessandro Carmazzi)

Nascosti come la polvere sotto il tappeto, perché non italiani. Questa è la realtà che stanno vivendo i Piemontesi.

Tutta la loro essenza di popolo li allontana dall’idea astratta di italianità: la loro storia, il loro carattere, i loro valori, le loro lingue, il loro modo di concepire la società.

La loro presenza è una nota stonata nel reiterato tentativo – stizzoso e invadente quanto illusorio – di fare gli italiani. Se ne rendono conto molto di più oltre il Ticino che i Piemontesi sono un’altra cosa, che mal si adattano a entrare nei panni di un’identità italiana superficiale e stereotipata, incollata alla bell’e meglio come un foglio su una roccia scolpita dal tempo: ogni pioggia ne strappa via un frammento, bisogna sempre aggiungere colla.

I Piemontesi non sono i soli ai quali è stato incollata addosso la targa italiana. Molti di quanto è scritto su questo sito è facilmente adattabile anche alla realtà dei friulani, dei siciliani, dei veneti, dei napoletani, pur se ogni popolo filtra e interpreta gli avvenimenti attraverso una propria percezione unica e atavica, pur se ogni popolo è un unico e non può essere associato ad altri se non in modo semplicistico.

Quanto è accaduto ai Piemontesi è comunque da considerarsi un caso estremo, paragonabile all’esperienza dei Sudtirolesi. Entrambi popoli non italiani, entrambi al di qua di uno spartiacque alpino preso a pretesto per inesistenti confini naturali, a entrambi è stata imposta una patria a loro estranea. Il caso del Sűdtirol, un “bottino” di guerra, è lampante: solo una conquista poteva aspirare a rendere italiana una terra che non aveva nessun requisito per esserlo; quello del Piemonte è più subdolo. Il Piemonte è stato invaso e conquistato poco alla volta, è stato divorato dall’interno quasi impercettibilmente. Il Piemonte era un bicchiere di vino nel quale si è versato del veleno una goccia alla volta fino ad avvelenare tutta la bevanda. Quando è emersa l’evidenza la sostituzione era ormai in fase avanzata. L’invasione militare c’è stata, ma quando i destini si erano già compiuti. I Piemontesi, allora, non hanno più avuto la forza di reagire, e nemmeno di raccontare quanto era avvenuto.

Per quasi due secoli hanno cercato di assimilare il Piemonte, hanno raccontato ai Piemontesi una storia che non era più la loro, ma scritta da altri per farla credere vera.

Eppure l’identità peculiare del popolo piemontese è stata talmente forte da sopravvivere fino a oggi, da emergere ogni tanto dal silenzio e dal camuffamento degli avvenimenti e dei pensieri con grida di dolore e pugni alzati. Poi il Piemonte è tornato a far sentire la propria voce, che subito è stata soffocata. Ma i bisbiglii non hanno mai taciuto, e ora stanno diventando nuovamente un canto orgoglioso e determinato che afferma con decisione che il Piemonte, parte di una nazione che comprende la Savoia e Nizza, non ha mai cessato di esistere.

L’attacco al Piemonte è stato concepito in maniera talmente scaltra da essere sfuggito a molti degli stessi Piemontesi; è per questo che, senza un’adeguata informazione, il significato degli eventi rischia di sfuggire alla comprensione. Basta pensare e sapere per capire. Capire che ci hanno presi in giro, e chi lo ha fatto ha avuto sempre interesse a “non farci sapere”, a cambiare le carte in tavola e a raccontarci una storia non vera, anzi una storia fatta di mezze verità annegate in un mare di bugie, dove non sempre è stato facile orientarsi.

Il caso piemontese è un subdolo caso estremo, perché la storia che è stata raccontata nelle scuole e sui libri ha individuato i Piemontesi addirittura come gli artefici dell’unità d’Italia, suscitando negli altri prima la gelosia poi il risentimento, sentimenti che hanno reso i Piemontesi prima falsamente orgogliosi e poi li hanno offesi. Questo è quanto emerge alla superficie, dove il prima rappresenta il periodo quando le storie del cosiddetto risorgimento erano mitologia patria e il dopo è quando ha cominciato ad affiorare qualche altra verità, e ci si è resi conto che ci avevano raccontato bugie su bugie.

Le altre nazioni sono state invase, oggi è chiaro a tutti. I Piemontesi, invece, sono stati prima invasi, poi sfruttati, quindi incolpati di tutto quanto non ha funzionato: ci sono dentro fino al collo, e qui vorremmo cominciare a spiegare perché ciò sia accaduto.

Poiché chi ci ha presi in giro ha interesse a continuare a farlo, è altresì necessario prestare attenzione alle strategie fuorvianti. La «maggioranza» è tale se c’è un’«opposizione», e la condizione ideale per la «maggioranza» è quella di crearsi un’«opposizione» connivente, ridimensionando o estromettendo quella vera. Attenzione quindi ai «falsi amici» che sembrano sinceri e invece ci raccontano l’altra faccia della menzogna, la «storia di riserva» da proporre dopo che quella di prima è stata smascherata.

Se la storia non è andata come ci è stato raccontato, è necessario prenderne atto, se non altro per amore di verità. Ma non basta, bisogna correre ai ripari, non si deve proseguire sulla strada dell’errore; parleremo anche di quegli argomenti che i «falsi amici» di solito omettono.

Stiamo per una volta dalla parte dei Piemontesi, visto che non l’ha quasi mai fatto nessuno. Forse era fuori moda difendere i nostri nonni, o oltremodo rischioso, comunque non è mai stato politicamente corretto. La conseguenza immediata è sempre stata una rapida etichettatura o l’esilio nel sottobosco della cultura: municipalisti, campanilisti, retrogradi, addirittura razzisti: ogni periodo storico porta uno o più “epiteti” cresciuti per emarginare i Piemontesi e a invitarli a smarcarsi dalla loro stessa identità.

Invece qui, raccontando fatti documentati – e non tracciando nell’aria teorie astratte ossequiose di intoccabili dogmi laicisti, idoli e totem – si vuole apertamente contribuire a risvegliare le coscienze dei Piemontesi.

Assumere consapevolezza è fondamentale, conoscere il proprio passato è essenziale per sapere chi si è e dove si va.

Occorre tenere gli occhi aperti: chi sta prendendo in giro i Piemontesi sa di poterlo fare perché in molti ci cascano ancora quando loro fanno finta di niente, minimizzano strategie e conseguenze, cercano di annichilire i più svegli incasellandoli fra i complottisti o i retrogradi, associando il Piemonte al passato e tutto il resto al futuro, a una “modernità” alla quale il Piemonte, quello originale, non sarebbe compatibile per semplice assioma.

Malafede di molti, conformismo dei più. Liberandoci invece della zavorra dei luoghi comuni possiamo affrontare questo viaggio “inedito”, ma reale, attraverso le vicende di casa nostra, e ritornarvi più consapevoli.

Il Bicerin

 


...I l’hai ciairì che s’ëstat-sì a l’é pa nassional, ma fàit ëd vàire nassion, a comensé da la Nassion Piamontèisa, ch’a l’é, i l’hai dit, “francòfona”, përchè-che noe i l’oma vardà l’antica përnonsia (...) sia la gramaja che ‘l vocabolari a son na fondùa dë ‘l doe lenghe romanze ‘d Fransa: cola d’òil e cola d’òc. (...) Visoma che l’unificassion violenta dl’Almagna e dl’ “italia” a l’é stàita la càusa prënsipala dla prima e dla scolda guèra mondiala, ch’a l’ha portane a la bomba atòmica. Visoma che dël 1857 ij Piamontèis a l’han votà contra la polìtica guerajeula e “suicida” ‘d Cavour. E nòsta lenga piamontèisa a l’é ‘l fransèis antich, col ëd Carlo Magn, ch’a l’ha franchisà nòst Piamont e a peul esse ciamà ‘l pare, ‘l fondador dla Nassion Piamontèisa. Àutr che “galloromanzi”! Franch-romanz i soma, dissendent ëd coj Franch cristian ch’a l’han salvà l’Oropa dai Sarasin; an gnanca sent agn neusti grand a l’han faje core da nòss Piamont, non-pa che j’ëspagneuj a l’han butaje pì ‘d set sécoj. L’Abahìa a duvrìa esse nòsta festa nassionala piamontèisa. Për nòss maleur, për ëvnì rè d’ “italia” ij Savòja a l’han amponune la lenga toscan-a, vnùa peui ël tajacan; e pa për Dante e Petrarca, ma për ël fiorin fiorentin, përchè-che la Toscan-a a l’era la valba pì rica dla penìsola...

Tòni Bàud-rìe (1921-1999 | Assion Piemontèisa, 15.10.1996)

...Ho già chiarito come questo stato [l'Italia] non sia nazionale, ma composto di diverse nazioni, a iniziare dalla Nazione Piemontese, che è "francofona", dal momento che noi abbiamo conservato l'antica pronuncia (...) sia la grammatica che il vocabolario sono un consensato delle due lingue romanze di Francia: quella d'oïl e quella d'oc. (...) Ricordiamoci che la violenta unificazione della Germania e dell’ “italia” è stata la causa principale della prima e della seconda guerra mondiale, che ci ha portati alla bomba atomica.

Ricordiamoci che nel 1857 i Piemontesi hanno votato contro la politica guerrafondaia e “suicida” di Cavour. E che la nostra lingua piemontese è il francese antico, quello di Carlo Magno, che ha franchizzato il nostro Piemonte e che può essere a giusto titolo considerato il padre, il fondatore della Nazione Piemontese. Altro che “galloromanzi”! Siamo franco-romanzi, discendenti di quei franchi cristiani che hanno salvato l'Europa dai Saraceni; in meno di un secolo i nostri avi li hanno messi in fuga dal Piemonte, mentre gli Spagnoli ci hanno impiegato più di sette secoli. L’Abahìa dovrebbe essere la nostra festa nazionale piemontese.

Per nostra sfortuna, per potere diventare re d’ “italia” i Savoia ci hanno imposto la lingua toscana, diventata poi l'italiano; e non per Dante e Petrarca, ma per il fiorino fiorentino, dal momento che la Toscana era la regione più ricca della penisola...

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«Për fé fòra un pòpol, a s’ancamin-a co’l gaveje la memòria. As dëstruvo ij sò lìber, soa coltura, soa stòria... ».

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