Aost 2012. Luis Manina. Coltura piemontèisa discriminà. Vila Tàranto ravagià. Memòria sganfà.

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30 Aost 2012

L’Associassion Coltural Piemontèisa “LA FÒRGIA” ‘d Caseli a piora sò pressident LUIS MANINA.

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29 Aost 2012

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La cultura piemontese sempre discriminata e nascosta

La locandina è ancora esposta a Collegno: c’è la Romania, il gruppo folkloristico abruzzese-molisano, ovviamente il “Sud del mondo”, le danze irlandesi, la Moldavia, la Bessarabia, la tammurriata della Puglia, i Giamaicani… “tutti insieme in compagnia ed allegria” per l’integrazione.

Domandiamo – e inviamo comunicazione – agli organizzatori: Comune di Collegno, Provincia di Torino, Associazione “Diversi ma uguali”, Consigliere regionale Gianna Pentenero: IL PIEMONTE DOV’È? Ve lo gridiamo in faccia: DOV’È??
Non desideroso di integrazione? Obbligato esso a integrarsi con chi arriva da fuori? Nascosto e innominato dietro le immancabili danze occitane? Meno “uguale” di tutti? Nel banco dell’asino con un’etichetta discriminatoria incollata addosso? Escluso perché senza tradizioni? Già rappresentato dalla tammurriata? Dato per sparito?
Signor Sindaco di Collegno, Signor Presidente della Provincia di Torino, Associazione “Diversi ma uguali”, Consigliere regionale Gianna Pentenero, esigiamo da voi quattro una risposta da diffondere e restiamo in attesa di spiegazioni in merito a questa ennesima discriminazione.
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27 Aost 2012

È successo in Piemonte, a Verbania. Se fosse capitato a Roma o a Pompei pensiamo che il governo italiano si sarebbe già riunito di notte per fronteggiare la solita “emergenza” e stanziato milioni di euro. A noi non resta che rammaricarci.

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24 Aost 2012

La distruzione dell’identità piemontese è passata anche attraverso la guerra di religione e la cancellazione della memoria all’insegna della trimurti massonica liberté-egalité-fraternité.

San Bartolomeo è il patrono di Portacomaro d’Asti. Un ricordo di quando la parrocchia dipendeva dall’antichissima abbazia benedettina di San Bartolomeo d’Azzano. E’ molto interesante il resoconto della selvaggia soppressione dell’abbazzia da parte dei rivoluzionari, una “notte di San Bartolomeo” in nome della “liberté, égalité, fraternité”:

«Finalmente per via delle circostanze dei tempi fu questo antichissimo monastero di San Bartolomeo soppresso sul cominciare del 1801, molti mesi prima della soppres­sione generale di tutti gli altri ordini religiosi del Piemonte, assegnando a quei monaci di varie giornate di beni per caduno, onde potessero competentemente vivere. Questa soppressione fu accompagnata da un saccheggio orrido, e della biblioteca e degli archi­vi e degli altri uffici comuni, che sarebbero cucine, cantine, cellerarie, ecc. La quasi anar­chia che allora regnava in Piemonte avendo resi deboli e maliziosamente ciechi coloro che dovevano porre riparo a un tanto disordine, fu quel luogo talmente spoliato e deso­lato in tutte le maniere che in pochi giorni sparì opera di otto secoli e più, e null’altro rimase che un vacuo abitato e deserto; chi conobbe il monastero di San Bartolomeo nel suo benessere non potè a meno che compiangere una tanta rovina. Questo saccheg­gio fu sì scandaloso, che ne furono persino portate le nuove allo stesso primo magistra­to della Francia, il quale diè tosto i più precisi ordini ai suoi agenti francesi in Asti, onde si provvedesse alle più scrupolose indagini per iscoprire gli autori di tale spoliamento ed i ricettatori degli oggetti rubati. Infine dopo vari incumbenti la cosa fu soppressa e la somma di questo affare andò a finire coll’inviare altrove due francesi impiegati nell’amministrazione del demanio, e chi aveva rubato aveva rubato. I beni del monastero furono dapprima affittati dal governo in un coi molini e porto sul Tanaro; ma furono questi così malconci che per ovviare ai devastamenti degli alberi e de’ boschi, ai quali abbandonaronsi gli affittuali, fu l’amministrazione del demanio obbligata a venderli, lasciandone però una parte a disposizione della Le­gion d’onore. Gli acquisitori cominciarono per atterrare la chiesa giacché questa con una parte del chiostro fu compresa nella vendita, indi a poco per volta fu demolito il resto nel 1810 e 1811, e tolta la porzione della fabbrica sì civile che rustica spettante la Legion d’onore, tutto perì ond’è che al dì d’oggi non altro si incontra colà che un avanzo di miserande rovine». (Don Ugo Casasanpiox)


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«Për fé fòra un pòpol, a s’ancamin-a co’l gaveje la memòria. As dëstruvo ij sò lìber, soa coltura, soa stòria... ».

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