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Lingua piemontese ancora discriminata, bandiera piemontese nascosta

L’Italia, dopo un ulteriore ritardo di 12 anni, ha ratificato ieri, 9 marzo 2012, la Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie. Ciò significa che tutti i diritti (fra i quali il fondamentale insegnamento scolastico) sono da oggi riconosciuti a 12 lingue; per quanto riguarda il Piemonte, al francoprovenzale, all’occitano (o provenzale) e al tedesco walser.
Ciò che non funziona è che la ratifica della Carta da parte dell’attuale governo (non eletto, ma sostenuto da una sorta di “partito unico” comprendente quasi tutte le forze politiche) poggia sulla contestata e arbitraria lista di 12 minoranze linguistiche ricompresa nella Legge 482/99, la quale ha scandalosamente escluso le altre lingue parlate nello Stato italiano riconosciute dall’UNESCO:  31 in tutto, fra le quali il Piemontese.

Proprio la lingua piemontese, unanimemente riconosciuta quale lingua autonoma dai più eminenti glottologi di tutto il mondo, è stata in questi anni bersaglio di ripetuti affronti, dalla sua esclusione nella redazione della “lista” del ’99 alla sentenza politica del 2010 della corte costituzionale, che si è spinta su un terreno non di sua competenza giungendo a definire il piemontese addirittura “variante della lingua italiana” (sic!), obbligando (?) la Regione Piemonte a disconoscere una lingua della quale aveva preso atto dal ’97.

Questo passo fa peraltro seguito all’esclusione dalla legge statale (la 482/99) e, ancora più indietro, alla tristissima vicenda della ricusazione della legge “Calsolaro” sull’insegnamento del piemontese a scuola. Alla metà degli anni Settanta per ben due volte il governo italiano promosse e vinse il ricorso all’ineffabile corte contro la nostra lingua, mentre il medesimo governo  si guardava bene dal promuoverne la tutela, come pure sarebbe stato suo dovere fare. Nel frattempo sono passate due generazioni, i locutori sono costantemente diminuiti e la strategia temporeggiatrice dell’Italia nei nostri confronti continua come prima.

In altre parole, l’Italia (con le sue istituzioni politiche, che ne rappresentano l’incarnazione) sta procedendo alla nostra eutanasia in quanto popolo.

Giunti a questo punto occorre riflettere.

Il definitivo disconoscimento della lingua piemontese da parte della Repubblica Italiana la estromette dall’insegnamento scolastico puntando, di conseguenza, alla sua estinzione. Per contro ne preordina la sparizione proprio nelle zone dove è più parlata, vale a dire le aree trilingui interessate dalla presenza del francoprovenzale e e dell’occitano/provenzale.

Poiché lo Stato italiano pretende di essere l’unico ente deputato alla definizione e alla relativa tutela delle lingue di minoranza, rifiutandosi però pervicacemente di muovere anche solo un dito per il piemontese – di cui anzi nega persino l’esistenza – e dal momento che per noi Piemontesi la nostra lingua ha un’importanza capitale nel definire i nostri caratteri di popolo, se per questo Stato non conta nulla la volontà della nostra gente, ne consegue una totale incompatibilità tra Italia e Piemonte.

In altri termini, sembra proprio che con questo atto, per il quale “ringraziamo” il governo italiano che ha finalmente levato la maschera dimostrandosi per quel che realmente è, si sia giunti alla fine di un bruttissimo film, basato sull’equivoco della “necessità” per noi Piemontesi di farci italiani e di assumere di conseguenza la lingua, la cultura, i costumi e la mentalità di quella gente e fondato sull’illusione di potere vivere liberamente in un Paese (l’Italia) che ci rispettasse. Cosa che palesemente non é.

Questo provvedimento è la tomba di qualsiasi pia intenzione di fare convivere le due idee (e di conseguenza le due realtà, anche politiche e istituzionali) di Piemonte e Italia.

Le prove di questa manifesta incompatibilità sono numerosissime, ma negli ultimi giorni gli esempi si sprecano.

L’ennesimo spregio contro la lingua piemontese segue di poco l’imposizione dell’inno di Mameli in una scuola sempre più straniera al Piemonte e che non è nemmeno più in grado di garantire l’incolumità fisica dei propri studenti (che sarebbero poi i nostri figli). Non per altro, ma noi non siamo stati mai “calpesti e derisi”… Anzi! Il nostro inno, poi, ce lo abbiamo già. E non abbiamo bisogno di adottare quella brutta marcetta resuscitata dalla repubblica italiana di Mussolini (quella di Salò, per intenderci).

Nella stessa giornata di ieri, con perfetto tempismo, lo Stivale ci ha è imposto anche una nuova “festa dell’unità d’Italia”, che ricorrerà ogni 17 marzo. Viene allora da chiedersi: ma se quest’Italia è già così unita e così meravigliosa (il “belpaese”, ovviamente “il più bello del mondo”), se tutti sono così fieri e felici e orgogliosi di dirsi italiani e di essere riconosciuti come tali anche all’estero, che bisogno c’era di tale ricorrenza? Excusatio non petita, o cattiva coscienza?

Per restare nel piccolo (ma i dettagli e i simboli sono importanti): il Comune di Torino, su sollecitazione di Gioventura Piemontèisa, ha nuovamente esposto in queste settimane la bandiera del Piemonte, della cui presenza sulla loggia del Palazzo di Città si era perduto il ricordo. Tanta sollecitudine ci era parsa sospetta e, infatti… il 6 di questo mese, in occasione della visita del presidente della Repubblica Italiana a Torino, pare che il Drapò sia stato ammainato da Palazzo Civico e addirittura da Palazzo Madama. Forse la Bandiera rossocrociata offendeva la sensibilità del presidente? Oppure è lampante che ormai Piemonte e Italia non possono più convivere in alcun modo? Possibile che dobbiamo continuare a sopportare in silenzio e non dire “basta!” a una condizione di palese oppressione culturale e di vero e proprio sfruttamento coloniale?

Sui giornali oggi la protesta riguarda soltanto la lingua veneta: “c’è nord e nord”, “i prof odiano il veneto”, “nelle scuole italiane si potrà insegnare il sardo, il friulano, persino il croato e l’albanese, ma il veneto no”, “la chiamano tutela delle lingue minoritarie: evidentemente il nostro è un dialetto per cretini”. I Piemontesi… ciuto la lenga!

Gioventura Piemontèisa non intende tacere. Anzi, ci presenteremo nelle occasioni pubbliche a domandare ai nostri rappresentanti piemontesi il motivo della palese inerzia della gran parte di loro nell’affrontare il problema dell’inserimento della lingua piemontese nella Legge 482/99. Che tuttavia è, ormai, soltanto una battaglia di retroguardia nell’àmbito di una rivendicazione che si è fatalmente spostata su tutt’altro piano (e non soltanto culturale). È infatti evidente che, ormai, dall’Italia non possiamo aspettarci più nulla.

Insomma, Mameli, la festa dell’ “unità”, il nascondimento del Drapò sotto il tappeto, l’ennesima inaccettabile discriminazione della nostra lingua non sono che gli ultimi atti dell’ormai secolare razzismo italiano nei nostri confronti, volto a sminuire e a ridicolizzare la nostra cultura. Con tale gravissima scelta il Governo italiano non ha fatto altro che ratificare l’ormai irrimediabile contrapposizione tra Piemonte e Italia e l’indispensabilità per il nostro Paese, il Piemonte, di giungere quanto prima con metodi democratici alla propria indipendenza nazionale. Parafrasando i Catalani (ma lo scrisse ancora prima il nostro Camillo Brero): adiù, Italia!

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