Resistere all’oblio

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L’evoluzione del pensiero dell’uomo, che si lega alla propria espressione linguistica ha uno scalino altissimo da superare ed un volta raggiunto la vetta di ciò che sembra un traguardo, spesso un senso di vertigine coglie colui che compie tale sforzo. Lo sforzo è l’approfondimento, ma approfondire che cosa ?: 

«Approfondire se stessi attraverso la propria forma di porsi all’altro, nel rispetto di ciò che siamo, attraverso l’arte di comunicare con gli occhi e con la bocca».

Approfondire la propria storia famigliare, la propria identità spesso trafugata e sfigurata da chi agisce spesso sul fronte culturale in fase terminale.

Parliamo di ” lingua dei nostri padri” e non “nella lingua dei nostri padri” e quando cerchiamo di invitare i nostri figli a recuperare la lingua dei nonni troviamo “le maestrine dalla penna rossa” a ricondurci all’ordine. Costretti a scrivere nella lingua di relazione ed a esprimerci nella lingua della televisione, perché le cose siano ben chiare a tutti, siamo sempre più spesso colti da una sorta di “sindrome di Stoccolma” linguistica.

Ma il guaio ovviamente non è solamente l’espressione linguistica, più in generale, siamo trascinati dentro una marmellata insapore, ove non esiste più un “modus pensandi” che si è man mano armonizzato con le fasi fisiologiche dell’esistenza. L’esistenzialismo oltretutto è un orientamento dal quale stare alla larga, poiché è una “prassi mentale geneticamente modificata”. La nostra è una constatazione molto semplice, che si oppone alla tendenza dilagante, ove il pensiero di fondo è che un’autolimitazione della coscienza di sé stessi e della propria identità siano non solo necessarie, ma anche desiderabili.

L’operatore di cultura ha il dovere di essere un attento osservatore delle dinamiche sociali, dei bacini di utenza scolastica e in questo ambito fare una riflessione sociologica e un’indagine socio-linguistica. Questa riflessione ci porta a fare considerazioni che senza farci cadere nel panico, ci dicono comunque che negli ultimi decenni è accaduto qualcosa di negativamente importante per le minoranze linguistiche.

Lo storico passaggio del testimone generazionale è venuto meno partendo proprio dalla trasmissione della locuzione autoctona. Per talune minoranze linguistiche il corredo culturale e le chiavi per aprire i riaprire i punti di riferimento che dal singolo coinvolgevano tutta la comunità sono smarriti. Il ricambio generazionale è avvenuto “resettando” le generazioni precedenti, e spesso ci siamo ritrovati apolidi in casa propria, con in bocca una lingua di relazione che ha cancellato la nostra lingua madre. Mentre stiamo organizzando una politica culturale che recuperi i “vecchi armadi tarlati” (ma di straordinaria bellezza) della forma linguistica autoctona, si stanno modellando, sotto i nostri occhi, neologismi di comunicazione che i giovani utilizzano sempre più spesso. Questa riflessione affatto “piagnucolosa”, affatto “fatalista”, prende semplicemente atto che le comunicazioni fra le nuove generazioni (e non solo) avvengono negli spazi ristretti degli “SMS”.

Non siamo per un’apologia dei tempi passati a tutti i costi e siamo anche in grado di utilizzare i nuovi sistemi quel tanto che basta per mantenere in “rete”ogni possibile dettaglio del panorama linguistico del Piemonte resistendo all’oblio della marmellata di cui abbiamo parlato. Ma se è questo il preambolo del terzo millennio, se è questo il brodo di “cultura” nel quale dobbiamo vivere, ebbene la difesa dell’armadio tarlato, si fa questione dirimente. Sia ben inteso, questa sorta di “force de frappe” non va interpretata in senso elitario e neppure in senso conservatore.

Nel nome di ciò che risulta essere autentico alla storia famigliare, sociale e, se non disturba qualcuno, religiosa, una comunità linguistica deve rivendicare la legittimità della propria esistenza.

Non vogliamo guardare il mondo “che avanza” impiccati alle teche dei musei. Come piemontesi siamo stati più volte impregnati e messi in bella mostra, se non alla berlina, nei paradossali autodafé delle feste di paese e non ci resta che resistere al processo di banalizzazione della nostra identità.

Resistere è rilanciarsi all’interno della società, consci della sua evoluzione essendo più partecipi ad un continuo rinnovamento, che ad una vuota e riforma dei valori. La lingua è certamente uno degli aspetti più importanti del riequilibrio dell’uomo intorno al suo asse identitario e per quanto ci riguarda, il fronte dal quale non torneremo mai indietro è la necessità di promuovere l’uso pratico della lingua piemontese. 

R. S.

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