Negli ultimi cinquant’anni abbiamo assistito ad un lavoro di recupero delle lingue storiche del Piemonte minacciate nel loro stesso diritto di esistere. Atti legislativi di grande rilevanza hanno dimostrato che in Piemonte esiste una ricchezza da tutelare ed una sorta di restauro è iniziato attraverso “cantieri di lavoro”.
Il quadro complessivo di questo programma di recupero (che è in itinere) è stato variegato. L’ intervento ha coinvolto gli organizzatori del restauro, non in un progetto organico per la salvaguardia di tutte le lingue in modo “polifonico”, lasciando ad ogni ambito linguistico la possibilità o meno di ottenere un risultato politico-culturale che lo riguardava direttamente. A livello istituzionale e facendo astrazione delle connotazioni politiche, coloro che si sono occupati in diversa misura di questa tematica hanno operato come terminali delle diverse istanze identitarie. In sostanza l’istituzione regionale ha tacitamente delegato ambiti associativi, culturali e universitari, per attingerne elementi atti a modellare una politica culturale linguistica per il Piemonte.
Si sono costituite commissioni legislative atte a verificare istruttorie di rivendicazione delle varie espressioni linguistiche e si sono attuate concrete politiche economiche a sostegno delle lingue. Il dato oggettivo è che le istituzioni regionali hanno compiuto un’azione democratica, ricevendo richieste, promuovendo progetti, accogliendo ciò che i “lavoratori dei cantieri” proponevano come materiale d’intervento. Guardando la realtà determinata dobbiamo registrare che il progetto linguistico “polifonico”, con conseguente restauro conservativo, nella sua valutazione generale ha evidenziato in realtà un aspetto “monodico”. Se noi utilizziamo il criterio della musica per metterlo in relazione alla lingua, notiamo che la polifonia è l’unione di più voci, ciascuna delle quali svolge un proprio disegno melodico. Dunque,mettendo “i piedi nel piatto”, la lingua piemontese, rispetto alle altre lingue, soprattutto per quanto attiene al riconoscimento di lingua in luogo di dialetto, fatica ad entrare (e non per suo demerito) nell’unione di più voci come parte autentica dell’unione di più lingue. Il piemontese, pur essendo la lingua autoctona della regione ed avendo un numero di locutori considerevole, viene visto in una “deminutio” scientificamente non accettabile. È verissimo: l’istituzione regionale garantisce la dignità di lingua al piemontese, ma molti componenti del coro polifonico, ovviamente estranei al contesto piemontese, evitano di rappresentarla come tale. Ad una disponibilità da parte del piemontese (e dei piemontesi) ad agire nell’interesse generale delle lingue storiche della regione, non sempre corrisponde una reciprocità condivisa da altri segmenti linguistici della stessa area. Il restauro complessivo delle lingue storiche del Piemonte ha toni omogenei laddove si è agito per esempio in un fedele stile barocco, mentre intarsi manieristici (comunque pregevoli), vivono in aree monocromatiche a sé stanti. L’affresco linguistico del Piemonte in un sincretismo così organizzato pretende di essere osservato nelle parti più marginali e sfumate del suo insieme, mentre la preponderanza del disegno figurato sembra essere scarsamente apprezzato.
In termini polifonici, la lingua piemontese gradirebbe svolgere il proprio disegno melodico e nel disegno della sua espressione linguistica vorrebbe mettere fine (senza lamenti) al suo incomprensibile ridimensionamento.
Roberto Saletta