«La giustificazione più cogente e inoppugnabile per il riconoscimento del Piemontese quale lingua minoritaria parlata sul territorio italiano va individuata nell’esplicita volontà manifestata in tal senso dal Consiglio e dalla Giunta della Regione Piemonte, rappresentanti democraticamente costituiti dal popolo piemontese: non trova spiegazione nè discolpa l’eventuale rifiuto di tale deliberazione tramite un progetto di legge già approvato dalla Camera e attualmente in discussione al Senato, dato che molti Senatori e Deputati della Repubblica Italiana sono comprensibilmente ignari della situazione sociolinguistica del Piemonte e della sua storia linguistica e letteraria.
L’adozione di misure di ecologia linguistica a favore della lingua piemontese, parlata o per lo meno capita da milioni di persone, si impone per esorcizzare la graduale sparizione, cui contribuiscono noti fattori, quali i media e l’alfabetizzazione dei bambini esclusivamente in italiano.
Negli studi più recenti di sociolinguistica si tende fortemente, comunque, a prestare autorità all’opinione dei parlanti: nel caso del Piemonte, questi hanno già espresso il loro desiderio di salvaguardia per via politica e continuano a ribadirlo.
Considerazioni accessorie, che – prese singolarmente non hanno peso determinante, ma che assommandosi nel loro complesso assumono valore decisivo – sono quelle qui di seguito citate per sommi capi. Ciascuna di esse potrebbe essere agevolmente convalidata da una più ampia illustrazione e da rinvii bibliografici.
1) Il piemontese costituisce una koinè, una comune lingua regionale e non un dialetto municipale come, per esempio, il napoletano o il bolognese. Tale koinè si venne fissando, sulla base del dialetto di Torino, ampliato e arricchito da apporti di altre parlate (comprese quelle gallo-romanze e l’italiano), usata normalmente anche a corte, in epoca sabauda dalla fine del Seicento in poi, e la prima codificazione di una norma scritta risale alla Grammatica Piemontese (1783) del medico Maurizio Pipino. La validità del piemontese comune si estende tuttora almeno alle province di Torino, Cuneo, Asti, Vercelli e Biella nella loro interezza. In esse, le poche migliaia di parlanti il franco-provenzale o il provenzale sono tutti in grado di parlare correntemente anche il piemontese, di cui in passato era comune la competenza attiva anche da parte di molti liguri, nizzardi, ecc., in parte almeno perché veicolato dall’esercito sabaudo e dall’amministrazione. Tale competenza si riscontra tuttora in parte della Valle d’Aosta, dove era in passato generalizzata.
2) Il piemontese ha attestazioni scritte molto antiche, a cominciare da una singolare raccolta di prediche in volgare, i Sermoni Subalpini, della fine del XII secolo. La letteratura in piemontese costituisce un corpus imponente, anche se fino ad alcuni decenni fa pressoché sconosciuto, specie fuori dal Piemonte. Tale letteratura continua a svolgersi in modo assai vitale e i concorsi di poesia e prosa che ogni anno si bandiscono in vari paesi e città della Regione sono molto numerosi. Esistono periodici scritti interamente o in parte in piemontese (…), e pregevoli antologie. Si tiene ogni anno, dal 1983, un Convegno Internazionale di Studi sulla Lingua e la Letteratura Piemontese, seguito dalla pubblicazione dei relativi Atti, comprendenti contributi scientifici redatti in piemontese, italiano o francese.
3) Il piemontese può vantare numerose grammatiche e dizionari. La grammatica normativa più importante, e che codifica la grafia tradizionale adottata oggi praticamente da tutti coloro che scrivono nella lingua regionale, è la Gramàtica piemontèisa di Camillo Brero (1969), un vero e proprio best-seller in Piemonte, comparso in più edizioni e tradotto anche in italiano. Numerosissimi sono gli studi scientifici, redatti per lo più in italiano ma anche in piemontese, sulla lingua in oggetto e sui suoi dialetti.
4) Il piemontese presenta caratteri linguistici marcatamente diversi dall’italiano, e gli abitanti delle altre regioni, eccetto in parte quelle contigue, non sono in grado di capirlo né in forma orale né in forma scritta. Sono lampanti le affinità con il francese e il provenzale.
5) Dopo i secolari vaneggiamenti puristici e la denigrazione politicamente e non scientificamente motivata, il parlare piemontese non comporta oggi alcuno stigma, come invece avviene in molte altre parti d’Italia in cui, insensatamente, l’uso del dialetto dichiara una collocazione culturalmente ed economicamente inferiore (vedi ad esempio la differenza tra quartieri alti e quartieri bassi di Palermo). In Piemonte, chi si esprime in piemontese non solo non viene socialmente penalizzato, ma anzi l’interlocutore risponde volentieri in piemontese, se lo conosce.
6) Pur essendosi affermato come comune lingua regionale, il piemontese non ha causato la totale sparizione dei dialetti locali, molti ancora parlati fra gli abitanti di un dato paese, i quali però tutti si servono agevolmente della koinè nelle interazioni con parlanti non paesani.
7) L’opposizione al riconoscimento del piemontese quale lingua minoritaria, che ancora si registra anche fra talune persone colte, cui quindi non può venire attribuita per mero complesso di inferiorità, non è dovuta a ragioni scientifiche ma a prese di posizione ideologiche, cieche alla realtà dei fatti e sorde alle istanze popolari prevalenti.
8) Laddove potessero godere di salvaguardia quali lingue minoritarie quelle proposte dal progetto di legge ora in esame [maggio 1999, in occasione della discussione in Parlamento della proposta di legge statale a tutela delle minoranze linguistiche, NdR], si imporrebbe un confronto fra il piemontese e quelle altre: andrebbe allora notato che, mentre il piemontese è storicamente la lingua parlata di una nazione, per contrario il sardo – per quanto forse più fortemente differenziato dall’Italiano, almeno nelle sue varianti logudoresi – non possiede né a livello orale né a livello scritto una forma comune ed è frammentato in innumerevoli parlate municipali, malgrado i tentativi di creazione di una koinè artificiale; il provenzale e il franco-provenzale, del Piemonte, senz’altro degni di protezione, possiedono però una scarsissima letteratura e sono anch’essi frammentati, né sono mai stati espressione comune di una nazione; i dialetti albanesi in Italia non occupano un territorio compatto, ma si configurano come piccole isole linguistiche e soffrono per lo scarso prestigio (inferiore perfino a quello dei dialetti calabresi limitrofi).
9) Nessuna delle ragioni addotte nel precedente paragrafo va intesa come volta a dissuadere dalla salvaguardia di idiomi come quelli ricordati: lo scrivente ritiene anzi che l’intero patrimonio linguistico dell’Italia debba finalmente venire riconosciuto e apprezzato, nonché protetto secondo i modi e le forme volute dai parlanti di ciascun dialetto o lingua regionale, espresse tramite i loro rappresentanti politici. Purtroppo, molti linguisti italiani non sono ancora giunti – per inerzia e pregiudizio o per partito preso – a concordare con tale affermazione, che suona ovvia a molti studiosi fuori d’Italia: valga a dimostrazione il fatto che il grande Lessico Etimologico Italiano, che prende in esame tutte le parlate non alloglotte d’Italia, è nato per iniziativa ed è tuttora diretto da uno studioso tedesco (e a studiosi stranieri si debbono le principali grammatiche storiche italiane: Rohlfs e Tekavcic).
In conclusione: la storia, la letteratura, la realtà sociolinguistica, la volontà politica dei Piemontesi rende inconcepibile l’eventuale rifiuto di opportuni provvedimenti legislativi volti all’ecologia linguistica a pieno riconoscimento della dignità della loro lingua, senza che un malinteso centralismo di odiosa memoria possa discriminatoriamente continuare a frapporvisi».
(15.5.1999)
† Gianrenzo P. Clivio, Ph.D.
Professore ordinario di Linguistica italiana Università di Toronto
Dichiarazione – Agli Onorevoli Senatori e Deputati della Repubblica Italiana
Cfr. “Gioventura Piemontèisa – Gasëtta indipendenta për l’Identità dla Minoransa Lenghìstica Piemontèisa” Ann 3 (6) n. 5, Giugn 1999.