Il tortuoso cammino verso il riconoscimento della lingua piemontese

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Breve cronistoria legislativa

La crescita della sensibilità verso le lingue naturali, portatrici di culture e identità originali, a livello legislativo sfociò, dopo diverse Raccomandazioni internazionali, nell’approvazione della Carta Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie (Consiglio d’Europa, 1992). Tale documento, elevato a Convenzione, chiede agli Stati membri l’applicazione di specifiche misure per la protezione e la promozione di tali lingue, in particolare il loro pienoriconoscimento, la promozione dell’uso scritto, l’insegnamento nella scuola e nell’università, l’abolizione delle discriminazioni volte a scoraggiarne l’utilizzo (ad esempio, tramite la riduzione a una visione macchiettistica sui mezzi di comunicazione), l’adozione della toponomastica tradizionale, l’utilizzo non soltanto nell’ambito culturale, ma per esempio anche in quello dell'informazione.

Il piemontese era già stato giuridicamente riconosciuto “lingua” dal Consiglio d’Europa (1981) e dall’UNESCO. Lo stesso Comitato intergovernativo della Convenzione dell’UNESCO per il Patrimonio immateriale dell’Umanità, nell’ottobre 2009 ha riconosciuto alle lingue locali il diritto ad essere impiegate nelle scuole, nelle università e nei media, in quanto espressione delle diverse comunità e strumento di coesione sociale.

La richiesta da parte delle organizzazioni piemontesi di un riconoscimento dello statusufficiale di lingua e dell’applicazione di una normativa per la sua tutela e il suo sviluppo risale al 1970 (primi promotori Tavo Burat e Camillo Brero). La prima proposta è del 1972 (Corrado Calsolaro). Da allora ogni tentativo in questo senso è stato sistematicamente respinto dallo Stato centrale attraverso insabbiamenti delle proposte di legge, respingimenti del commissario prefettizio, approvazione di “leggi-ponte” incapaci di ottenere alcun risultato, ripetute campagne di stampa contrarie, tentativi di dividere il fronte del movimento piemontesista, prese di posizione contrarie da parte di enti statali (ad esempio l’Anas contro la toponomastica).

Nel 1997, tuttavia, una legge regionale (LR 37) emendò una precedente disposizione (LR 26/90) dando un riconoscimento normativo alla lingua piemontese.

Nel 1999, dietro forti pressioni internazionali, il Parlamento italiano approvò una legge parziale che riconosce e dà una qualche tutela alle lingue regionali e minoritarie (L. 482/99), nella quale, però, se ne individuano soltanto 12. In Piemonte è riconosciuto il francoprovenzale, l’occitano e il tedesco walser; paradossalmente – malgrado le forti prese di posizione del Consiglio Regionale del Piemonte, l’azione del movimento piemontesista, l’impegno di alcuni parlamentari (in primis Giancarlo Tapparo) e le sollecitazioni di molti organismi internazionali – il piemontese ne venne escluso. La Regione Piemonte, allora, definì l’accaduto un “ennesimo affronto” ai Piemontesi, ma nonostante molte promesse l’argomento non venne più affrontato.

È nel 2006 che Gioventura Piemontèisa riprende in mano la questione ed elabora il testo di una legge regionale alternativa (pdl 527), proponendolo all’approvazione dei Comuni per la sua presentazione come progetto di legge di iniziativa degli Enti locali. Oltre 200 Comuni di tutto il Piemonte sostengono con forza l’iniziativa che, tuttavia, non viene neppure presa in considerazione dalla Regione, che preferisce approvare un provvedimento bi-partisan (LR 11/09) alquanto disordinato; nella nuova legge, tuttavia, il piemontese viene comunque parificato alle altre lingue minoritarie del Piemonte.

Ma il 12 giugno 2009 il Consiglio dei Ministri fece ricorso alla Corte costituzionale contro la legge regionale 11/09, proprio sulla questione del riconoscimento della lingua piemontese, con il pretesto che la legge avrebbe sopravanzato le competenze regionali (il riconoscimento delle lingue parlate sul territorio spetterebbe in via esclusiva allo Stato centrale). La sentenza della Corte Costituzionale (n. 170 del 13.5.2010) è di una gravità inaudita: dalla legge regionale vengono stralciate unicamente le parole “lingua piemontese” che, in aperta contraddizione con gli specialisti di tutto il mondo, i giudici definiscono “una variante della lingua italiana”. La sentenza, inoltre, contesta l’attribuzione al piemontese di un valore “non solo culturale”; quindi non soltanto mortifica una volta di più l’identità del popolo piemontese e l’autonomia delle sue istituzioni, ma addirittura viene rifiutato il principio stesso che le lingue minoritarie possano essere impiegate come lingue veicolari, relegandole a un ruolo subalterno di semplici “custodi della memoria” (in aperta contraddizione con tutte le direttive europee al riguardo, con il diritto internazionale e con la volontà manifestata a più riprese dei Piemontesi). Gioventura Piemontèisa definisce l’accaduto “un’aperta violazione dei diritti umani dei Piemontesi, sanciti tra l’altro dalla Dichiarazione Universale sui Diritti Linguistici”.

Il 26 ottobre 2010 Gioventura Piemontèisa organizza una manifestazione di protesta di fronte al Consiglio Regionale del Piemonte per sollecitare l’immediata discussione delle proposte di legge in materia di lingua piemontese che sono depositate, ma che non vengono mai discusse: una (pdl 8/10, Angela Motta e altri) per dare una legislazione regionale efficace alle lingue del Piemonte e un’altra (pdl 10/10, Angela Motta e altri) per chiedere al Parlamento italiano (basandosi sull’interpretazione delle leggi vigenti) l’introduzione del piemontese nell’elenco delle lingue minoritarie riconosciute dalla L. 482/99. La manifestazione si conclude con la consegna di una proposta di ordine del giorno ai capigruppo; l’ordine del giorno viene depositato il 17 novembre, ma seguirà la stessa sorte delle proposte di legge e non verrà maicalendarizzato.

Frattanto si manifestano gli esiti di una volontà politica che ormai appare chiara. Nel 2010/2011 gli operatori delle lingue minoritarie perdono ogni sostegno da parte dell’Ente; i corsi e gli interventi nelle scuole vengono più che dimezzati. Si concretizza lo smantellamento del settore regionale dedicato alla promozione delle lingue minoritarie, già iniziato con la messa “in esaurimento” dell’ufficio dal lontano 2001 (un giornale definì i settori in esaurimento come “destinati a sparire in poco tempo, o ad essere incorporati altrove”) e il suo progressivo accorpamento con altre generiche attività di promozione culturale.

È allora che Gioventura Piemontèisa decide di lanciare la petizione «Piemontèis Ufissial», che viene presentata il 5 febbraio 2011. Vengono raccolte 13.000 firme in meno di quattro mesi per sollecitare la discussione in Regione delle proposte di legge. In seguito all’iniziativa l’11 luglio il Consiglio Regionale approva all’unanimità la proposta di legge al Parlamento per la modifica della Legge 482/99 attraverso l’inserimento della lingua piemontese.

La legislatura a Roma si conclude senza che nessuno dei disegni di legge nel frattempo presentati venga calendarizzato.

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