In questi giorni, sino al 15 luglio, è visitabile alla Reggia di Venaria Reale la bellissima mostra sul tema “Genio e Maestria. Mobili ed ebanisti alla corte sabauda tra Settecento e Ottocento”.
Tra i tanti capolavori esposti, alcuni visibili al pubblico solo in questa occasione perché provenienti da collezioni private, risalta il grandioso coro realizzato nel 1740 dall’ebanista Luigi Prinotto, probabilmente su committenza di una delle tante realtà monastiche degli Stati Sabaudi. Riguardo alla collocazione originaria del coro, perfetto esempio di integrazione tra la maestria dell’intagliatore e quella dell’intarsiatore secondo il giudizio di Roberto Antonetto, l’esperto che l’ha riscoperto nel 2002 in Irlanda, c’è chi ipotizza che si trovasse presso la Certosa Reale di Collegno, all’interno della cappella dell’Annunziata, altri invece propendono per la certosa di Pesio in valle Pesio o per una fondazione monastica di area nizzarda, al tempo parte integrante degli Stati Sabaudi.
Il coro, intarsiato in avorio, madreperla, legni policromi, e composto da 28 stalli disposti a “U, sovrastati da una sequenza di 30 angioletti e 28 anfore intagliate, venne realizzato dal piemontese Prinotto, tra i massimi ebanisti a livello europeo, in collaborazione con lo scultore in legno Giuseppe Marocco e il minusiere Giacomo Filippo De Giovanni.
Le travagliate vicende di questo capolavoro dell’ebanisteria piemontese hanno inizio con i tragici avvenimenti della Rivoluzione Francese e dell’occupazione napoleonica, che inflissero alla nostra Patria gravissime spoliazioni a carico del patrimonio artistico e ecclesiastico: a questo infausto periodo si riconduce lo smantellamento del coro del Prinotto che, rimosso dalla sede originaria, venne portato altrove per essere poi fortunosamente ritrovato a Nizza nel 1840 da un gentiluomo irlandese, Edward Joshua Cooper, che lo notò all’interno di una farmacia, acquistandolo e facendolo trasportare nella terra natia. Qui rimase nella cappella del castello di famiglia sino al 1882, quando risulta che sia stato donato dai discendenti alla cattedrale cattolica di Tuam e successivamente acquistato, circa un secolo dopo, da un antiquario romano, che lo fece riporre, smontato in 200 pezzi, all’interno d’un deposito londinese.
Dopo la sua riscoperta da parte di Roberto Antonetto, lo scorso anno il coro è giunto in Piemonte per essere ripulito, studiato e restaurato a cura del Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale e poi esposto in mostra nella sezione “Il Teatro del Sacro”, dove la grandiosa opera dialoga con i tesori di ebanisteria settecentesca di arte sacra.
Il coro del Prinotto è attualmente in vendita e l’appello accorato del suo riscopritore Roberto Antonetto, che appoggiamo e rilanciamo con forza, è che questa testimonianza dell’eccellenza raggiunta dalle arti decorative nel Piemonte settecentesco non prenda nuovamente la strada di Londra, per finire dimenticata in un anonimo deposito, ma che qualche mecenate, sia esso privato, fondazione bancaria o ente pubblico, si faccia carico dei costi necessari per il suo acquisto e la successiva collocazione in una sede appropriata in Piemonte dove possa essere ammirato in tutta la sua magnificenza.
Paolo Barosso