I portici, la vera anima di Torino

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p1070541-copiaNon c’è forse niente di così torinese, di così intimamente subalpino come i portici. Un lunghissimo sistema di passeggiate coperte che gli achitetti di un tempo – i quali, al contrario di quelli odierni, univano l’estetica alla praticità – avevano costruito con un sapiente gioco di collegamenti: così, salvo rari casi, può capitare di poter andare a piedi per mezzo centro storico senza quasi mai uscire dal ventre accogliente dei portici.

Un torinese senza portici si sente spaesato; un po’ come gli immancabili toret, i portici sono una delle anime della città, unici al mondo e tutti torinesi; in quale altra città italiana ed europea si può infatti trovare una serie così lunga di portici monumentali? Solo a Torino.

Un sistema che si estende per circa 16 chilometri, e che abbraccia idealmente le vie principali. Già all’inizio del Seicento si comprese l’importanza di questo elemento architettonico, essendo realizzati i primi passaggi coperti in piazza Castello; successivamente vennero adottati anche per la castellamontiana piazza San Carlo, per via Po, per piazza delle Erbe. Dopo, nell’Ottocento, arrivarono quelli di piazza Vittorio Emanuele I, di corso Vittorio Emanuele II, di corso Vinzaglio, di via della Cernaja, di via Pietro Micca. E così anche nelle vie allora periferiche, come per la via Sacchi e la contrada di Nizza. Portici per tutti: sotto la copertura elegante si trovavano le botteghe e passeggiavano i nobili, c’erano negozi eleganti e mendicavano gli accattoni. Tutti insieme; come oggi, del resto.

p1070550-copiaIl sistema dei portici rimase così impresso nella mentalità torinese che anche quando si trattò di disegnare nuove architetture – la Torre Littoria, la torre BBPR di piazza Statuto o, in periferia, via Guala – si ricorse al sistema ben collaudato e tanto amato dei passaggi coperti. Il caso più eclatante, però, riguarda via Roma, la vecchia via Nuova. Un’arteria fondamentale del traffico urbano, che gli ingegnosi architetti di allora vollero sventrare in ossequio al progresso che avanzava. La Via Nuova – lo testimoniano tante fotografie – era davvero una via speciale. Una strada secentesca che assomigliava moltissimo alla contrada di Dora Grossa, oggi via Garibaldi. Fino al 1931 rimase una via di botteghe, di negozi, di case popolose, piena insomma di quella vita intimamente subalpina che animava tutta la città. Dopo gli sventramenti, si ottenne la via attuale: la via assumeva certamente imponenza, ma si impoveriva dell’anima precedente. Come segno di collegamento con le altre vie torinesi, però, la si dotò di portici: così, negli anni Trenta, Torino ebbe gli ultimi portici monumentali della sua architettura.

p1060259Ma c’è anche il rovescio della medaglia: oltre ai portici progettati e realizzati di recente, ci sono anche i portici perduti. Come quelli del palazzo detto, per l’appunto, “dei portici” (Palas dij Pòrti). Realizzato dal Castellamonte, era l’edificio prospicente al duomo di San Giovanni. Il Comune ne decretò l’abbattimento nel 1950: al suo posto, c’è oggi l’orrendo “Palazzaccio”, che non a caso è da sempre indicato dai torinesi come uno degli sfregi architettonici più eclatanti e più odiati. Il “Palazzaccio” ha anche lui i suoi portici; ma, poiché i torinesi lo evitano come la peste, nessuno lo sa.

(NoiAmiamoTurin, 2013)

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