17.8.2013 – La solita polemica inventata sotto l’ombrellone per vendere qualche copia in più: la Busiarda affronta l’anacronistico problema della imbarazzante presenza di un «corso Unione Sovietica» nella toponomastica torinese. E neanche un corso da poco: un grande viale che porta dritto alla palazzina di Stupinis/Stupinigi (e quindi percorso anche dai turisti) che storicamente portava ovviamente il nome di Strada di Stupinigi (Stra dë Stupinis). Questo quando i nomi delle strade avevano un significato reale e non l’obiettivo della propaganda ideologica.
Ovviamente alla Stampa il sogno che quel corso porti verso il sol dell’avvenire invece che a un simbolo della piemontesità sta bene così, tanto peggio per la realtà. Dopo aver montato il caso nei giorni scorsi, l’articolo di oggi porta addirittura il titolo I torinesi difendono corso Unione: “Resti così com’è”. Ma quali “torinesi”? Quelli che sono rimasti in città o quelli in vacanza? Il rilevante numero di quelli che “lavorano” alla Stampa? Quelli che hanno in tasca la tessera giusta? I torinesi di Gioventura Piemontèisa non sono stati interpellati; forse perché non sono nel “giro” e hanno di meglio da fare che vestirsi di bianco sui prati della Tesoriera (simili pagliacciate siamo abituati ormai soltanto a pagarle).
Certo, il cambio di nome a una vergogna internazionale come corso Unione Sovietica non è una priorità, come dice l’assessore Coppola, ci mancherebbe. Può dar fastidio soltanto a noi, perché presenta un’immagine di Torino che non è quella vera, ma davvero i problemi più urgenti sono e saranno sempre altri, per cui ce lo dovremo tenere per sempre così, per omnia sæcula sæculorum: la “religione” dello Stato non si deve mai discutere (e magari fra un po’ sarà anche proibito farlo). Il tempo per cambiare i nomi delle strade è finito, ormai sono state tutte occupate da chi “conta” e, come dice Coppola (che, oltre a fare l’assessore in Regione, è anche consigliere comunale) si rischia di stravolgere tutta la toponomastica (fosse vero!).
E poi – ci spiegano – non-si-può: i residenti avrebbero problemi a ritrovare la strada di casa, cadrebbero in una crisi d’identità, e ancora (senti questa!) «per l’Anagrafe il cambio sarebbe impossibile da gestire»…
Tutti dovrebbero subito (chissà perché) “rifare tutti i documenti”. A nessuno viene in mente che, come avviene nei Paesi civili, il corso potrebbe assumere una doppia denominazione per cinque anni per poi abbandonare definitivamente la vecchia? Noo! troppo difficile… c’è altro a cui pensare (la vendita di GTT, ad esempio, gli utilissimi grattacieli, la Variante 200, le Spine, i parcheggi sotterranei – come potremmo farne a meno?…)
Ci fu un tempo che non era così. Per cambiare il nome della Contrà dla Providensa nel suo opposto “Via XX settembre” (l’unica ricorrenza storica celebrata dalla massoneria) non ci furono problemi. E proprio la massoneria si è impadronita della quasi totalità della toponomastica torinese: sono tutti frammassoni, da piazza Abba a corso Agnelli, da via Alfieri a via Amendola, da via Battisti a via Bertani, via Bixio, via Bovio, piazza Carducci, via Govean, via Coppino, piazza Crispi, via Desanctis e potremmo proseguire per pagine e pagine… comprendendo anche i criminali pluriomicidi via Mazzini, via Cialdini ecc. ecc.
Età dell’oro fu il 1882, dove non c’erano altri problemi che dedicare l’antica Contrà ‘d Dòira Gròssa (la strada principale di Torino) a Garibaldi e la Contrà dël Borgh Neuv a Mazzini.
Poco importa che nel 1857 ci si preparasse alla guerra: c’erano questioni più importanti e urgenti, come quella di cambiare nome all’imbarazzante Contrada d’Italia (che portava verso l’Italia, così come a ovest lo Stradale di Francia conduceva verso la Francia) in un meno compromettente “via Milano”.
Misteri del “progresso”. Così come di quella via San Francesco d’Assisi che i massoni cambiarono in “via Genova” nel 1888 (altro periodo in cui non c’era altro a cui pensare) e che poi nel 1926 venne restituita al santo, mentre si chiamò via Genova un’altra importante arteria. Strano, ma sembra che anche in quel caso nessuno finì a Barriera di Nizza cercando la propria abitazione nel centro storico. Si vede che i Torinesi di allora erano più intelligenti. Fatidico davvero quel 1888: aumentano i dazi per finanziare la guerra, la Francia blocca le importazioni per ritorsione, esplodono fame e disoccupazione, scioperi, recessione, licenziamenti, e questi burloni pensano al Berchet e al Tasso dedicando loro la Contrà dij Pastissé e la Contrà dël Gal.
Sì, Coppola ha ragione, la toponomastica torinese è tutta da sbatter via. L’Unione Sovietica ci dà poi particolarmente fastidio perché non è soltanto uno Stato che non esiste più, ma è anche uno Stato che ha causato venti milioni di morti “politici”, un genocidio di Ucraini e la deportazione di Polacchi, Lettoni, Lituani, Estoni, Bessarabi, Moldavi, Tatari, Tedeschi, Ceceni, Ingusci e Ucraini. Come Stato inesistente e criminale potrebbe bastarci e avanzarci “corso unità d’Italia”.
Un interessante articolo di Vittorio Messori:
Strade
Tra le ricchezze dell’Italia – questo incredibile Paese dove, tra il Brennero e Pantelleria, sembra racchiuso un campionario del mondo intero – c’erano i nomi delle vie e piazze di città e villaggi. Nomi stratificatisi nel corso di una storia tre volte millenaria: ora poetici ora popolareschi, ora solenni ora arguti. Sempre originali, tanto che il nome di una strada bastava a identificare una città.
Venne però il cosiddetto “Risorgimento” e la ricchezza, l’originalità di quella toponomastica fu cancellata di colpo dall’ottusità o dal servilismo di Diktat burocratici che imposero ovunque nomi di glorie vere o presunte (Cavour, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele; e poi Solferino, San Martino, Castelfidardo, Crimea, Venti Settembre e così via). Dicevi, che so?, “Contrada di Dora Grossa” e non potevi sbagliare, era Torino. Ora, quella bella strada è un’anonima “via Garibaldi”, che potrebbe essere ovunque. Dicevi “Corsia dei Servi” e il pensiero andava all’antichissimo percorso milanese che dal Duomo tende verso Oriente. Dal 1860, il nome antico è cancellato a favore di un qualunque “corso Vittorio Emanuele”.
La cancellazione della toponomastica tradizionale fu proseguita dopo la prima guerra mondiale: e giù, allora, con l’alluvione dei Piave, Bainsizza, Pasubio, Gorizia, Isonzo, oltre che, naturalmente, Trento, Trieste, Battisti, Oberdan, Sauro. Il fascismo fece anch’egli la sua parte, con i Ventotto Ottobre, Littorio, Martiri della Rivoluzione, Impero, Addis Abeba. Venne il dopo guerra e, cancellati i nomi del passato regime, avanti con i Repubblica, Resistenza, Matteotti, Gransci, Amendola, Gobetti, Rosselli; sino ai Togliatti, De Gasperi, Moro.
Poiché difesa dell’ambiente non significa tutelare solo fiumi, boschi, paesaggi (articolo 9 della Costituzione), ma anche i nomi delle strade quando essi testimonino della cultura, della storia, della fantasia millenarie di un luogo, ecco una preziosa operazione ecologica, per giunta senza costi, o quasi. Almeno nei centri storici, fare una bella pulizia delle incrostazioni dell’ultimo secolo e mezzo: la patria ha tutto da guadagnare da una via Garibaldi o Mazzini in meno e da una contrada dal nome antico in più.
Vittorio Messori