La distruzione dei monumenti-simbolo: la Cappella della Santa Sindone

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Una delle notti più inquietanti della storia recente del Piemonte è quella fra l’11 e il 12 aprile 1997, quando a Torino prese fuoco la Cappella della Santa Sindone,1 il Duomo 2 e Palazzo Reale.
Nella Cappella, dove si conserva da secoli uno dei più grandi tesori spirituali dell’umanità,3 si stavano ultimando lavori di restauro: circostanza che nella Torino “italiana” può anche essere l’annuncio di un disastro.4

Le “misure di sicurezza” furono insignificanti e sarebbero state adeguate al massimo per il restauro di una cascina: nessun sistema antincendio nella Cappella, soltanto un sistema antintrusione e una telecamera; rilevatori di fumo solo a Palazzo Reale.5 L’allarme infatti scattò, alle 23,35,6 quando il fumo invase il Palazzo, anche se curiosamente mezz’ora prima era già squillato il telefono del centralino dei pompieri.7
La Santa Sindone, nel 1993 provvisoriamente spostata – causa restauri – nel coro della cattedrale dietro l’altare maggiore e protetta da una robusta teca di cristallo, rimase in pericolo per ore, minacciata dal possibile crollo della sovrastante struttura in pietra di Frabosa e dai getti d’acqua degli antincendio.

Torino quella notte smentì una volta di più  i soliti “storici” giornalisti politicizzati che strumentalmente la vogliono calvinista, riversandosi in piazza San Giovanni a innalzare suppliche al Cielo. Quattro suore cominciarono il Rosario nel parcheggio, e all’una di notte pregavano tutti. All’1 e 35, dopo un’ora di colpi di mazza sulla teca 8 e malgrado allarmi, crolli fragorosi e la tempesta dei frammenti delle antiche vetrate che esplodevano per il calore (la temperatura superò i mille gradi), il pompiere Mario Trematore (il Guillaume Pussod del ventesimo secolo) 9 portò in salvo la Reliquia, accolto sul sagrato dall’applauso di tremila torinesi trepidanti. 10 Dopo fu investito dal crollo del soffitto della Galleria, e rimase miracolosamente illeso.

Il parroco, don Francesco Cavallo, sospirò: «Se perdevamo questo (il Santo Sudario), perdevamo il Duomo e la città».11
L’incendio si estinse, praticamente da solo, dopo le cinque del mattino. Non ci furono vittime; la Sindone, esaminata due giorni dopo in Arcivescovado,12 non subì danni. Papa Giovanni Paolo II, in viaggio verso Sarajevo, elogiò i pompieri ringraziando Dio,13 e lo stesso fece Torino con una solenne Messa alla Consolata.
 
Il fuoco aveva però infierito per otto ore e fatto scempio di fede, di storia, cultura e identità, portando via un irripetibile patrimonio non solo a Torino e al Piemonte, ma a tutto il mondo. Fu colpito un complesso di memorie e di affetti che si legano all’antica cristianità, il cuore più sacro e più antico;14 «catastrofe per le memorie storiche di Torino».15

Nessuno lo ricorda più, a distanza di tre lustri è stato tutto rimosso.

La cupola centrale della Cappella della Santa Sindone, sovrastante l’altare del Sacro Telo, il più insigne monumento barocco al mondo, opera del padre Guarino Guarini:16 sparita, con tutti i segni e le allegorie dell’architettura guariniana;17 restò in piedi soltanto la struttura.
Stucchi, decorazioni, bronzi, balaustre, svaniti per sempre. Pietre e marmi della struttura del timpano e del tamburo portante calcificati in profondità; bruciati il colonnato, il coro, l’organo, i tetti; esplosi i finestroni, danneggiati gli archi, lesionate, quando non polverizzate, le colonne. La parte contigua alla Cappella interamente scomparsa.
I quattro mausolei dei grandi sovrani sabaudi Amedeo VIII, Emanuele Filiberto, Carlo Emanuele II e del Principe Tomaso di Savoia-Carignano, gravemente danneggiati: i marmi bianchi diventati rosa, la statua di Carlo Emanuele II in pezzi.
Il torrione ovest, soffitte e ultimo piano di Palazzo Reale, completamente distrutto, le volte crollate. Qui era immagazzinata (e occultata al pubblico, in perenne “attesa di restauro”) addirittura la quadreria di Palazzo Reale: il 60 per cento è finito in cenere (un centinaio di preziose tele, seppur danneggiate, sono state tratte in salvo dai pompieri) insieme a tutti i mobili antichi colà ammassati, fra i quali il baldacchino del letto della Regina Margherita.18
Danneggiato l’altare maggiore del Duomo (di Antonio Bertola, fine XVII Secolo) sul quale sono crollate le impalcature dei restauri, rovinati gli arazzi, la tribuna reale, bruciati tutti gli elementi decorativi lignei, tutti i marmi rivolti verso la navata.
Il Palazzo Reale, opera del Castellamonte voluta da Madama Cristina nel Seicento, distrutto per un quinto; danneggiato lo scalone d’onore della reggia; crollata una parte dell’affresco di Rodolfo Morgari sulla volta – e il restante infradiciato – e tre cariatidi che erano sulle pareti.
Problemi di stabilità per le strutture di Palazzo Reale, per la manica d’ingresso alla Cappella della Sindone, per il Salone degli Svizzeri, invaso dall’acqua che ha bagnato i grandi affreschi secenteschi dei maestri chieresi Gian Francesco e Antonio Fea.19
Non ha alcun senso fornire una valutazione materiale dei danni: incalcolabili, perché ciò che andò distrutto è irripetibile.

Dopo l’incendio tutta una corte di assessori, questori, direttori generali, industriali, sottosegretari, consiglieri, presidenti, soprintendenti, candidati, deputati, eurodeputati, sindaco, prefetto, ministri (tutti italiani o italianizzati) sfilò in processione davanti alle rovine annerite e ai giornalisti microfonati – separati dai torinesi normali da una muraglia di transenne – e strappandosi i capelli dichiararono che probabilmente era colpa dell’elettricista, del maggiordomo o del destino cinico e baro (che presenta il grande vantaggio di non potere essere processato e condannato) e che si ricostruirà tutto com’era prima.

I torinesi dietro la muraglia di transenne, che avevano passato la notte in strada, non si lasciarono infinocchiare, dimostrando un buonsenso che solitamente dimenticano a casa il giorno delle elezioni: «Sono ipotesi assurde»; «una spiegazione di comodo: la solita risposta all’italiana, dove non si riesce mai a venire a capo delle responsabilità»; «insabbieranno tutto».20
La Cnn informò tutto il mondo, e qualcuno cominciò a capire cos’era successo veramente. «Vergogna. – ebbe a dire Alberto Arbasino 21In Italia, però, le cose vanno così. Anche a Venezia ci furono segnali premonitori.22 […] Ma le autorità […] non fecero nulla». Rincarò Giulio Einaudi:23 «Ci si accorge solo dopo di quanto si sarebbe dovuto fare. Vengono le alluvioni, gli incendi, crollano i palazzi. Si sapeva già tutto prima e non si è fatto nulla. La cappella del Guarini è la cosa più bella della città e adesso anche quel monumento paga la maledizione del nostro paese».
 
La gente comune si rese anche conto che anche le cartoline, come i giornali, raccontano bugie: il monumento più importante e simbolico di Torino non era la massonica Mole Antonelliana, ma quel capolavoro di fede e di arditezza architettonica che era la Cappella della Sindone. Per la seconda volta (la prima fu quando i rivoluzionari francesi atterrarono il Gioanet, la Torre di San Gregorio) la capitale piemontese perdeva il simbolo principale della propria identità.

Al sollievo per il nuovo salvataggio della Sindone dalle fiamme si unì il rammarico da parte dei cristiani di tutto il mondo per l’inestimabile tesoro perduto. I piemontesi, da Vercelli ad Alessandria a Novara, aderirono a sottoscrizioni per l’immediata ricostruzione. I credenti non hanno dubbi che il Sacro Telo testimone della Risurrezione sia perseguitato dalle fiamme e che ne esca sempre e comunque illeso;24 ma tutti, credenti e non, si scandalizzano di come la Sindone di Torino in quell’aprile 1997 si trovasse in pratica nel retro di una cucina dove si preparavano i manicaretti che dovevano soddisfare i palati dei ricchi e dei potenti invitati alla corte del sindaco Castellani.

La Quadreria di Palazzo Reale nel 1870

Sì: la sera prima dell’incendio a Palazzo Reale c’era una cena di corte – pardon: di gala – in onore del segretario dell’Onu Kofi Annan, con tanto di cucine elettriche volanti installate proprio vicino alla cupola e sei riscaldatori d’aria nel Salone delle Guardie Svizzere e nella Galleria.25 L’incendio fu infatti scoperto verso le 23 dagli uomini del servizio ristorazione che, sentendo odore di fumo, spalancarono la porta fra la Galleria e la Cappella e videro le fiamme.26 Non c’erano forse a Torino ottimi ristoranti dove portare Kofi Annan e gli ospiti del sindaco (che si presentarono in trenta più del previsto) senza dover “campeggiare” a Palazzo? A chi venne questa bella idea da parvenu?
 
Reboanti luoghi comuni sui giornali: riscatto, la città che saprà reagire, il recupero dell’antico splendore il più in fretta possibile; e lacrime di coccodrillo di politici e intellettuali italiani e ex-piemontesi italianizzati, con anche qualche dichiarazione di cattivo gusto. «L’amarissima realtà – scrivevano Fruttero e Lucentini in quei giorni 27è che non siamo più capaci di conservare niente che non si trovi nel nostro raggio immediato di consumazione. […] una delle cupole più belle del mondo l’abbiamo lasciata andare in fumo in una notte».

Ventiquattr’ore dopo il disastro il Cardinale di Torino Saldarini scrisse: «Il fuoco distruttore, i gravissimi danni materiali a monumenti di fede e di arte, rappresenta […] per tutti noi torinesi – e per tutto il mondo che in queste ore ha guardato a Torino – una prova, un richiamo, una grazia. Una prova della nostra fede e, anche, della nostra capacità, come credenti e come cittadini, di essere “attaccati” a quei tesori che stanno alle radici della nostra cultura e del nostro vivere associato. Quelle fiamme sono anche un richiamo: un richiamo preciso alla responsabilità che tutti noi abbiamo di difendere e tutelare il patrimonio religioso, artistico, storico così intimamente legato a tutta la nostra esperienza, di Chiesa, e di città».28

Da bravi giallisti, Fruttero e Lucentini rivelarono subito il nome della colpevole:29 «…l’incenerimento del capolavoro di Guarini colpisce (ancora una volta!) la famosa “immagine” dell’Italia, di cui tanto si blatera in questi mesi. È l’immagine sempre più penosa, disfatta, discinta, di un Paese in mano a inetti pasticcioni, del tutto immeritevoli di possedere tanti incredibili tesori d’arte, di storia, di devozione».
Accuse precise anche da parte del procuratore aggiunto Raffaele Guariniello: il colpevole è lo Stato, incapace di mettere in pratica le misure di sicurezza.30 Tanto più che, denunciò Guariniello, il viceprimoministro Veltroni in autunno aveva esonerato dall’applicazione della legge sulla sicurezza musei, archivi, biblioteche, aree archeologiche e scuole pubbliche!31 Il procuratore si domandò anche se fosse giusto che i nostri figli frequentassero simili scuole, e così fu anche profeta.32
 
Contro lo Stato italiano si espresse con veemenza perfino il comando dei pompieri di Torino: nel 1824, quando nacque il corpo, c’erano di turno sessanta uomini; in quella notte del 1997, con una città grande quasi dieci volte tanto, dieci in meno.33 Già – aggiungiamo noi – ma nel 1824 il Piemonte era uno Stato sovrano.
 
Se in Italia le cose vanno così, l’unica soluzione per i Piemontesi – che italiani non sono – è semplice: togliersi dall’Italia, da quella maledizione evocata da Giulio Einaudi.34
 
Dopo molti anni, come previsto e prevedibile, è finito tutto all’italiana.

Del recupero dell’antico splendore il più in fretta possibile nessuno parlò o scrisse più. Anzi, nel 2010 erano ancora lì a discutere se restituirla al culto come era nata o se lasciarla così com’era ora,35 come un’opera di arte contemporanea.
 
La Cappella è chiusa dal 1993. Architetti e ingegneri hanno accuratamente nascosto i propri studi e rilievi.36 Il restauro sarà un’impresa titanica; basti pensare che la cava di Frabosa Soprana, dalla quale provenivano le pietre originali e che dovranno in qualche modo essere sostituite perché danneggiate, fu chiusa già alla fine del Seicento. La prima impresa che vinse l’appalto era (ovviamente) di Napoli e fu sollevata dall’incarico perché non si rivelò all’altezza di un lavoro tanto complesso e delicato.37 Fra annunci, contenziosi, disegni scomparsi, intoppi burocratici e manifesta incapacità, tutto è italianamente fermo, incerto, inefficiente, senza risultati, senza cambiamenti. «Insabbieranno tutto»: risuonano le parole sconsolate di quella signora dietro le transenne, dopo l’incendio.38 Chi ancora ricorda, aspetta da un giorno all’altro il crollo definitivo. Mancano ancora i fondi. 

Il Duomo di Torino nel 1934

L’Italia continua a farla da padrona sulle memorie della storia dei Piemontesi e dei Savoiesi, e – nel susseguirsi delle sue “repubbliche” – è sempre più penosa, disfatta, discinta. Nel 1997 era governata da inetti pasticcioni, del tutto immeritevoli di possedere tanti incredibili tesori d’arte, di storia, di devozione. Dopo tutti questi anni è ancora peggio.
 
La quadreria: mentre le tele andate in fumo erano stipate nelle soffitte di Palazzo Reale in attesa di restauro, in altri musei, in sontuose e luminose sale espositive regolarmente disertate dai visitatori, erano ben visibili centinaia di “opere” di arte contemporanea, esposte a suon di milioni di euro pagati dai Piemontesi.
Quell’anno una mostra di queste, allestita a Carignano, pubblicava addirittura la fotografia muta del rogo del Duomo sul volantino: per certa “cultura” cinque mesi erano bastati a trasformare l’incendio in un’ “installazione inattesa” e in un veicolo pubblicitario.

12 d’avril dël 1997: La dëstrussion ëd la Capela dël Sant Sudari a Turin | Ël silensi dla vërgogna

 Storia degli Stati di Savoia

 
Note:

1. Un filmato è visibile sul sito: www.sindone.org (consultato il 30.4.2012).
2. La prima pietra della Cattedrale di San Giovanni di Torino fu posta da Bianca di Monferrato, vedova del duca Carlo I, il 21 luglio 1491, di fronte alle tre chiese paleocristiane preesistenti (San Salvare, San Giovanni e Santa Maria de Dompno) che saranno abbattute l’anno dopo – e delle quali restano visibili resti della pavimentazione.
3. Dichiarazione di Ernesto Olivero. Cfr G. Favro, G. Padovani, La Sindone, simbolo di tutti, su La Stampa del 13.4.1997.
4. Citiamo a mo’ di esempio, restando a Torino, il Palazzo degli Stemmi di Contrà ‘d Pò e il Teatro Regio.
5. Angelo Conti, Duomo, due piste per un disastro, su La Stampa del 13.4.1997.
6. Angelo Conti, Duomo, due piste per un disastro, cit.
7. Angelo Conti, Duomo, due piste per un disastrocit.
8. M. Accossato, «Ho sfidato l’inferno per fede», su La Stampa del 13.4.1997.
9 Il fabbro Guillaume Pussod, due frati francescani e il consigliere ducale Philippe Lambert furono quelli che, a rischio della vita, salvarono la Sacra Reliquia dall’incendio della Sainte-Chapelle di Chambéry nella notte fra il 3 e il 4 dicembre 1532.
10. Angelo Conti, Duomo, due piste per un disastrocit.
11. Ore 23, 35: inferno nel cuore di Torino, su La Stampa del 12.4.1997.
12. Gino Moretto, Sindone. La Storia: 1416-2000, Leumann 2000, p. 82.
13. Marco Tosatti, Grazie Dio per averla salvata, su La Stampa del 13.4.1997.
14. Dichiarazione del prof. Franco Bolgiani, docente di Storia del Cristianesimo a Torino. Cfr G. Favro, G. Padovani, La Sindone, simbolo di tutti, cit.
15. Dichiarazione del direttore del Centro internazionale di Sindonologia, Pierluigi Baima Bollone. Cfr G. Favro, G. Padovani, La Sindone, simbolo di tutti, cit.
16. Guarino Guarini (1624-1683), padre teatino e architetto fra i maggiori dell’epoca, era nato a Modena nel 1624. Lavorò in Piemonte dal 1666 al 1690 (Chiesa Reale di San Lorenzo, Palazzo Carignano, rifacimento del Reale Castello di Racunis/Racconigi e altre opere oggi perdute). Oltre che architetto e scienziato fu teologo, filosofo, letterato, matematico, astronomo.
17. Cfr. Maurizio Lupo, Una ferita che non si può rimarginare, su La Stampa del 13.4.1997. Il soprintendente Lino Malara dichiarò: «Per quanto si possa lavorare la cappella non potrà mai ritornare quello che era».
18. Maurizio Lupo, Una ferita che non si può rimarginare, cit.
19. Maurizio Lupo, Una ferita che non si può rimarginarecit.
20. Cfr. Gianni Armand-Pilon, Non parlate di incidente, su La Stampa del 13.4.1997.
21. r.cri., Un disastro annunciato, su La Stampa del 13.4.1997.
22. Arbasino fa riferimento alle voci preoccupate che circolarono qualche settimana prima dell’incendio che distrusse completamente il teatro La Fenice il 29 gennaio 1996.
23. r.cri., Un disastro annunciatocit.
24. Si ricordano l’incendio di Chambéry del 1532 e l’incendio del 1811, quando il padiglione ligneo utilizzato per l’esposizione della Sindone fu arso a causa dei fuochi d’artificio sparati per festeggiare la nascita del figlio di Napoleone, il re di Roma (sic!). Cfr. Giorgio Tessiore, Rodolfo Filipello, Ël Sant Sudari. Da Gerusalem a Turin an bataja contra ‘l feu, Turin 2009, p. 107.
25. Angelo Conti, Duomo, due piste per un disastrocit.
26. f.cor, Così ho salvato la teca dal fuoco, su La Stampa del 12.4.1997.
27. Carlo Fruttero, Franco Lucentini, La vergogna di chi non riesce a difendere il suo passato, su La Stampa del 13.4.1997.
28. Card. Giovanni Saldarini, Disgrazia terribile ma è un segno di fede, su La Stampa del 13.4.2012.
29. Carlo Fruttero, Franco Lucentini, La vergogna di chi non riesce a difendere il suo passato, cit.
30. M. Accossato, N. Pietropinto, Guariniello: colpevole lo Stato, su La Stampa del 13.4.2012.
31. M. Accossato, N. Pietropinto, Guariniello: colpevole lo Stato, cit.
32. Il 21 novembre 2008 crollerà il controsoffitto in un’aula del liceo «Darwin» (sic!) di Rivoli, uccidendo uno studente.
33. M. Accossato, N. Pietropinto, Guariniello: colpevole lo Stato, cit.
34. Quello stesso 13 aprile il Movimento Gioventura Piemontèisa denunciò come lo Stato italiano, proprietario del complesso andato a fuoco, non fosse più moralmente autorizzato ad occuparsi dei beni culturali piemontesi – memorie storiche sopravvissute ai secoli e parte fondamentale dell’identità del Piemonte – avendo «definitivamente dimostrato di essere incapace a gestirli»e richiamò le più attive organizzazioni culturali al «dovere di assumere una chiara posizione per informare l’opinione pubblica sulle vere cause del disastro e per pretendere dalle istituzioni una svolta nella politica di gestione dei beni culturali in Piemonte». In poche parole: i beni culturali piemontesi siano gestiti dai piemontesi, non da Roma. Il comunicato venne censurato.
35. Cfr. S.Sindone, il cantiere di restauro e riabilitazione della cappella, La Stampa, 9.4.2010, sulla pagina internet: www3.lastampa.it/torino/sezioni/ostensione/ articolo/lstp/184132/ (consultato il 30.4.2012).
36. Cfr. P. Griseri, M. Paglieri, Cappella della Sindone ricorsi, scandali e misteri, su La Repubblica del 28.3.2012.
37. Cfr. La cappella della Sindone? Sarà pronta nel Tremila, su La Repubblica del 17.3.2012.
38 Cfr. Gianni Armand-Pilon, Non parlate di incidente, cit.

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