Ridare vita a una lingua minoritaria

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L’importanza di realizzare una pianificazione e una politica linguistica per salvaguardare e ridare “la vita” ad una lingua è qualcosa di più che creare situazioni ove questa possa essere usata; è tutta una successione di tappe che porteranno alla normalizzazione e alla standardizzazione di una lingua che si trova in una situazione di recesso.
Per attivare un processo di pianificazione e di politica linguistica è necessario che tutto il popolo (insieme ai poteri politici) sia d’accordo che la lingua in situazione minoritaria diventi una lingua adatta a qualsiasi situazione sociale e colloquiale.
In molti casi questo processo si inizia quando questa lingua gode già di riconoscimento ufficiale. Ad esempio, il catalano è lingua ufficiale dal 1979 nel Principato di Catalogna (con lo Statuto di Autonomia di Catalogna), dal 1982 nella Comunità Valenciana (con lo Statuto di Autonomia della Comunità Valenciana) e dal 1983 nelle Isole Baleari (con lo Statuto di Autonomia delle Isole Baleari).
In tutti gli Statuti, il catalano – o “valenciano” nella Comunità di Valencia – viene riconosciuto come lingua ufficiale (insieme allo spagnolo); nel 1980 il Governo catalano creò la Direzione Generale di Politica Linguistica. Nel 1983 venne approvata la Legge di Normalizzazione Linguistica e successivamente, nel 1998, la Legge di Politica Linguistica, con degli obiettivi essenziali:
  1. Assicurare la conoscenza della lingua catalana da parte di tutta la popolazione.
  2. Garantire la piena ufficialità del catalano.
  3. Promuovere la presenza del catalano in tutti gli ambiti e i mezzi di comunicazione.
  4. Rendere effettivo l’uso ufficiale del catalano, a fianco del castigliano, senza alcuna discriminazione per i cittadini.
  5. Normalizzare e promuovere l’uso del catalano nell’amministrazione, nell’insegnamento, nei mezzi di comunicazione sociale, ecc.
  6. Ottenere l’uguaglianza linguistica dei cittadini.

POLITICA E PIANIFICAZIONE LINGUISTICA

A metà del XX secolo si inizia ad istituzionalizzare il dibattito sulla politica linguistica.

Per pianificazione linguistica si intendono tutti gli sforzi coscienti per salvaguardare e migliorare la struttura o la funzione delle varietà linguistiche, mentre la politica linguistica sarà la pianificazione realizzata dai governi.

Quali sono gli attori della politica linguistica?

Gli attori si differenziano secondo due criteri:

  1. Secondo i capitali che hanno: economici, sociali, simbolici, culturali.
  2. Secondo il potere che questi capitali possono esercitare.

Aiutano la politica linguistica il governo (potere politico); i settori influenti, come gli operatori del mondo economico e dei mezzi di comunicazione, i quali non decidono direttamente la politica linguistica ma che dispongono di grandi capitali economici, sociali e culturali, di modo che possono fare sentire la loro voce in favore dei propri interessi; e i membri più lontani dello Stato e con meno capitali: si tratta degli individui e dei gruppi provenienti da associazioni o movimenti senza dipendenza ufficiale o statale.

I lavori di politica linguistica vengono svolti da persone e istituzioni di diversi tipi in ogni comunità. In alcune comunità questi lavori ricadono essenzialmente sui poteri pubblici, che determinano le lingue ufficiali o le lingue veicolari dell’insegnamento.

Una volta definiti i grandi assi della politica linguistica del paese, i poteri pubblici possono creare organismi specializzati per far sì che questi siano gli incaricati di tutti o di parte dei lavori più tecnici di pianificazione. Nel caso del catalano (come del francese o dello spagnolo) la normalizzazione della lingua dipende dalle accademie ufficiali come, ad esempio, l’Istituto di Studi Catalani o la Reale Accademia della Lingua Spagnola. Normalmente, questi organismi ricevono la massima autorità normativa da parte dello Stato in tutto ciò che riguarda la formazione del corpus, e diventano organi consultivi per tutto ciò che riguarda la pianificazione dello status e l’acquisizione.

Comunque, una grande parte dei lavori di codificazione del corpus è stata svolta da individui o istituzioni private con un supporto istituzionale.

Su quali comportamenti si influisce?

H. Kloss (1969) fa una distinzione tra la pianificazione del corpus (aspetti fonetici, morfosintattici, lessicali e discorsivi della struttura della lingua. Si sceglie un’ortografia, si fissa una varietà normativa, si elaborano linguaggi di specializzazione) e la pianificazione dello status (si influisce sulle funzioni e sugli usi linguistici: si decide quale lingua è ufficiale, di quali diritti linguistici disporranno i parlanti, in quali ambiti sociali si userà una lingua od un’altra, ecc.).

Cooper (1985) aggiunge un terzo aspetto: la pianificazione dell’insegnamento (i modelli linguistici d’insegnamento: curriculum linguistico scolare, metodologia, apprendimento di lingue straniere, ecc.).

A chi è destinata la politica linguistica?

Le prime attuazioni di politica linguistica della Direzione Generale di Politica Linguistica della Generalitat de Catalunya s’indirizzavano a tutta la popolazione, con campagne di tipo “La Norma” o “Depèn de tu” (Dipende da te). Dalla seconda metà degli anni ’80 hanno predominato le campagne di carattere settoriale, come “El català sobre rodes” (Il catalano sulle ruote), indirizzata al mondo dell’automobile, e “Posa’t a nivell” (Mettiti al passo), destinata soprattutto a principianti adulti di catalano.

Gli obiettivi

Divideremo gli obiettivi distinguendo il corpus, lo status e l’acquisizione:

a) Obiettivi in rapporto al corpus:

  1. La normalizzazione o fissazione di una norma linguistica in qualsiasi dei suoi livelli: l’adozione di un sistema di scrittura, la fissazione di un’ortografia, l’elaborazione di un’ortografia, di una grammatica normativa o di un dizionario normativo.
  2. La purificazione o depurazione linguistica.
  3. L’elaborazione terminologica e stilistica, destinata a generare i termini e i ricorsi fraseologici e di registro necessari per sviluppare le attività tecniche, scientifiche, letterarie, ecc.
  4. Le riforme linguistiche, mediante le quali le comunità che dispongono di una norma si propongono di cambiarla secondo i loro interessi.

b) Obiettivi in rapporto allo status:

  1. L’ufficialità di una varietà.
  2. La promozione dell’uso di una varietà.

c) La pianificazione linguistica dell’insegnamento:

si stabliscono modelli scolari che permetteranno l’acquisizione e, molto spesso, l’uso ulteriore di determinate varietà. Il modello di scuola non è indipendente dalla realtà sociolinguistica alla quale viene applicato, e può essere valutato solamente in rapporto con il proprio contesto sociale.

Le tappe della pianificazione linguistica

Argelaguet (1996) suggerisce questo schema per la pianificazione:

  1. La selezione del problema: la decisione d’includere o meno determinate questioni linguistiche nella discussione costituirà il primo passo per giungere ad un’attuazione realmente pianificata.
  2. La definizione del problema: l’insieme di operazioni destinate a stabilire qual è la questione concreta con la quale ci si deve raffrontare.
  3. La formulazione delle linee di attuazione: consiste nello studio delle risposte possibili al problema definito (definire il prodotto, diffonderlo e distribuirlo).
  4. Mettere in pratica la politica linguistica.
  5. La valutazione: i dati di valutazione dovranno permettere ai governi di riformulare i problemi e gli interventi, e ai cittadini di valorizzare con cognizione di causa i lavori dei governanti.
  6. La standardizzazione.

AZIONI CONTRO LA SOSTITUZIONE LINGUISTICA

Il processo di sostituzione linguistica costituisce un fenomeno per il quale una comunità vede la propria lingua progressivamente sostituita da un’altra. Uno degli obiettivi prioritari della politica e della pianificazione linguistica è lottare per capovolgere il processo di sostituzione linguistica.

Il capovolgimento della sostituzione linguistica:

Joshua A. Fishman scrive nel 1991 in Reversing Language Shift.Theoretical and Empirical Foundations of Assitance to Threatened Languages: “il mantenimento di una lingua ha come punto nevralgico la propria trasmissione intergenerazionale”; senza trasmissione di padre in figlio nessuna lingua si può considerare salva dalla sostituzione.

Non è la lingua che muore, ma sono le persone che smettono di parlarla.

Fishman propone una Scala di Troncamento Intergenerazionale (Graded Intergenerational Disruption Scale), formata da otto gradini o stadi:

Stadio 8: ricostruzione della lingua in recessione tra gli “ultimi mohicani”. La maggioranza dei pochi parlanti la lingua in recessione è gente anziana, isolata socialmente e senza nessuno con cui parlarla. Si deve ricostruire urgentemente la lingua.
Stadio 7: la trasmissione della lingua dei nonni. In questo stadio la maggioranza dei parlanti la lingua in recessione costituisce una popolazione attiva ed integrata socialmente che però che ha già superato l’età per avere figli. Si deve fare in modo che questi nonni trasmettano la lingua ai loro nipoti, perché saranno loro che potranno avere figli.
Stadio 6: la conseguenza dell’oralità informale intergenerazionale, della sua concentrazione demografica e del suo rafforzamento istituzionale. Questo stadio è il nodo centrale del capovolgimento. Si deve fare in modo che i parlanti giovani della lingua in recessione che formano nuove famiglie adottino questo codice come lingua da trasmettere ai propri figli, cosa che permetterà di concepire nuovamente come realtà il fatto che un membro (giovane) della comunità A parli la lingua A come prima lingua.
Stadio 5: l’alfabetizzazione in lingua A in casa, nella scuola e nella comunità, però senza rinforzo extracomunitario di questa alfabetizzazione. Si deve favorire l’alfabetizzazione in questa lingua con la creazione di scuole, però scuole create dalla comunità, dove lo Stato non interviene in nessun caso.
Stadio 4: la lingua A entra nell’insegnamento primario obbligatorio. L’obiettivo è creare scuole proprie private riconosciute però dallo Stato o introdurre questa lingua nelle scuole di Stato come lingua insegnata e/o veicolare.
Stadio 3: l’uso della lingua A nella sfera inferiore lavorativa. Dare impulso alla lingua nella sfera lavorativa vuole dire creare aziende dove sarà importante sapere la lingua per lavorare. Ciò coinvolge tutta la società.
Stadio 2: l’uso della lingua A in comunicazioni istituzionalizzate nei servizi pubblici governativi e nei mezzi di comunicazione inferiori. Si rivendica che lo Stato utilizzi la lingua A sia nell’amministrazione locale, regionale o autonoma, sia nei mezzi di comunicazione di proprietà pubblica.
Stadio 1: l’uso della lingua A nei livelli educativi, occupazionali, governativi e nei mezzi di comunicazione superiori. Fishman parla di un bilinguismo territoriale come cuspide del processo di capovolgimento della sostituzione linguistica, con una presenza ampia della lingua A in tutti i livelli della vita pubblica. Plurilinguismo a livello statale.

 

Maria del Mar Sánchez Martínez, nata nel 1975, laureata in Filologia Catalana presso l’Universitat de Barcelona nel ‘98, è esperta di diversità linguistiche, di variazioni e contatto di lingue e di insegnamento. Ha partecipato a convegni internazionali presso le Università di Barcelona e di Toulouse. Insegnante di lingue, per due anni ha messo la propria esperienza al servizio della causa della lingua piemontese presso Gioventura Piemontèisa.

L’articolo è tratto dal n. 2 / Stèmber 2001 di «La Scòla Piemontèisa» – Arvista didàtica për l’ansëgnament ëd la lenga piemontèisa – edita da Gioventura Piemontèisa ed ancora oggi l’unico esempio di rivista specialistica di didattica piemontese.

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