L'educazione bilingue

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La Convenzione Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie (1992) prevede l’insegnamento di e in tali lingue nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università.
La Raccomandazione sui problemi educativi e culturali posti dalle lingue minoritarie europee (Consiglio d’Europa, 1981) invita all’”adozione progressiva della lingua materna nell’educazione dei bambini (impiego del dialetto locale a livello orale nella scuola materna e delle forme normalizzate della lingua materna nell’insegnamento primario […])“.
I docenti incaricati dovranno avere dimostrato la loro preparazione, e quindi essere iscritti all’Albo Ufficiale dei Docenti di Lingua Piemontese. I Docenti iscritti saranno successivamente contattati e, a seconda della disponibilità manifestata e del livello scolastico di loro competenza, saranno incaricati di tenere cicli di lezioni nelle scuole.

Perché il piemontese? I motivi di un’educazione bilingue

Oltre ad ovvie ragioni di carattere psicologico-affettivo (mantenere e salvaguardare la lingua dei padri) un’educazione bilingue nella prima età scolare (meglio ancora in età pre-scolare, cioè fin dalla culla) offre indubbi vantaggi di tipo pratico-cognitivo, allenando i bambini ad una visione molteplice del mondo e delle cose (ogni persona, ogni oggetto, ogni sentimento si possono esprimere almeno in due modi, spesso molto diversi tra loro), predisponendo così il terreno non solo al facile apprendimento di altre lingue, ma anche all’accettazione del “differente”.
Un’educazione bilingue prepara il bambino all’idea di “tradurre” (nel senso etimologico di “passare”) da un sistema (linguistico, ma non solo) ad un altro, favorendo la capacità di astrazione fin dagli anni dell’infanzia.
Va poi da sé il fatto che un simile allenamento a passare da un codice ad un altro, da un sistema ad un altro è tanto più valido quanto più esso avvenga nell’ambito di un’educazione linguistica “naturale”, con insegnanti madrelingua: non si possono cioè raggiungere gli stessi risultati se a un bambino, alfabetizzato in italiano, si insegnasse un’altra lingua (inglese, francese…) da parte di un docente non madrelingua. In tal caso avremmo un caso di semplice diglossia e non di bilinguismo.
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«Për fé fòra un pòpol, a s’ancamin-a co’l gaveje la memòria. As dëstruvo ij sò lìber, soa coltura, soa stòria... ».

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