EDIFICI CONTEMPORANEI – 2 – Guido Aragona, Intervista al Palafuksas
Ci rechiamo a Porta Palazzo percorrendo via Milano, antico cardo della Città Romana di Torino, ritracciato su piano di Filippo Juvarra nei primi del ‘700.
Passiamo lo slargo romboidale a quattro cantoni, non immemore di quello di via Maqueda a Palermo, ottenuto da Juvarra cogliendo a pretesto la giacitura diagonale rispetto alla via della preesistente Basilica Mauriziana.
E infine arriviamo all’attacco del grande spazio di Porta Palazzo, con i due palazzi di testa disegnati dallo stesso Juvarra, quasi come due vecchi signori, eleganti testimoni di un tempo in cui si aveva ancora il coraggio (o forse, solo il potere assoluto) di riconfigurare le città secondo un ordine preciso e coordinato.
Quando sei a Porta Palazzo sei fuori porta. Sono solo pochi metri, ma sei passato dal centro aulico alla periferia. Lo spazio è talmente vasto da non poter essere racchiuso. Oggi, come tanti anni fa, è un luogo in cui è grande la presenza di immigrati e di marginalità. Una volta, erano i meridionali, oggi gli extracomunitari. Non lontano, si trova la grande istituzione del Cottolengo, e L’Arsenale della Pace; le loro iniziative volte alla prima accoglienza sono uno dei motivi per cui la presenza degli immigrati a Porta Palazzo è così alta, oltre alla naturale propensione dei mercati (come le stazioni) ad essere luogo di margine, limen.
Eccoci qui, ad intervistare il “Palafuksas”. Che, a dispetto del fatto che è di recente costruzione, è chiuso e apparentemente in stato di abbandono. E ancora sotto lavori di completamento.
– Buongiorno. Ma lo sai che non sembri affatto un mercato coperto? Come mai?
– Intanto, mi dia del Lei e porti rispetto, peone dell’architettura. Io non sono un volgarissimo mercato coperto. Infatti, mi chiamano “Palafuksas” dal nome della mia famosa madre, Massimiliano Fuksas, che va pure in televisione e in pubblicità. Potrei anche diventare un museo (del cioccolato). Stia bene attento a come parla. Io rappresento la creazione dell’Artista internazionale, l’aggiornamento culturale della Amministrazione della città, che lo ha scelto previo regolare concorso. Sono stato pubblicato nelle migliori riviste di architettura.
– Va bene. Allora cominciamo da qualche dato anagrafico. Quant’è costato, Lei?
– Poco meno di 8 milioni di euro, ma l’impresa ne vuole 13.
– E poi, stanno ancora facendo altri lavori, immagino fuori appalto. Per una superficie?
– Destinata al commercio, 3720 mq, totale (compresi parcheggi) 13,680.
– Insomma, se l’impresa la spunta con le richieste, Lei è costato caro, considerando la sua destinazione.
– Eh, le cose belle costano…
– Va bene, ma mi lasci giudicare personalmente. Due sono le cose che di primo acchito si notano di più: il suo rivestimento e la sua pensilina. Ci può spiegare?
– Il rivestimento in mattoncini di vetro su intelaiatura di acciaio serve a celare gli “accidenti” al perimetro: scale di sicurezza e impianti in modo particolare. La destinazione d’uso non necessitava di aperture al perimetro, ad eccezione degli ingressi.
L’illuminazione naturale è garantita dall’alto. Ma la mia mamma non avrebbe mai fatto dei volgarissimi lucernari. E così li ha ottenuti come per effetto di un taglio sul tetto (che non c’entra nulla con la geometria della base dell’edificio, sono linee d’artista), sopraelevando le parti tagliate, un po’ come lei dice a “cavatappi”.
La pensilina non è una pensilina, ma uno sporto della parte sopraelevata del tetto, che va oltre la zona dell’ingresso.
– Ah. Concetti interessanti, veramente. Il plastico parla chiaro. Ma non pensa che sia troppo riduttivo? Che questa impostazione sia troppo semplicistica e rigida, e questo generi alcuni problemi non risolti?
– Ad esempio?
– Ad esempio due fatti, uno generale e uno particolare: 1) il “vestito” sì, elegante, a compattare il volume alla base rende l’edificio un blocco chiuso e uniforme, cosa che fa a pugni con la ricchezza di articolazioni e aperture non solo delle altre strutture del mercato, ma anche degli edifici circostanti; 2) la soluzione di quel “vestito” necessita di essere portata a terra, senza alcun basamento, con due problemi di cui una mamma si illustre dovrebbe tener conto: il primo, pratico, che non si vede nelle belle foto delle riviste fatte quando era “nuovo di pacca”, è che fra calci, pisciate, graffi e atti vandalici, dopo poco tempo l’attacco a terra diventa uno schifo, e lo stesso vale per lo spazio intercapedine compreso fra le sue facciate, che si riempie di rifiuti e cacate di piccioni; il secondo, architettonico, e dovuto alla pendenza: è brutto che l’edificio parta in modo cosi indefinito, non netto. I basamenti degli edifici li hanno inventati per questo, sa?
– Detto questo, Le faccio un’altra domanda: secondo Lei perché Fuksas ha semplificato così tanto e insistito sul concetto di edificio a blocco compatto (per poi deformarne in modo – a mio parere – arbitrario le parti superiori),
anche se mai storicamente gli edifici ad uso mercato lo sono stati, e nemmeno l’edificio del mercato alimentare lì a fianco?
Non sarebbe stato meglio partire da un altro concetto, magari quello di un moderno funduq coperto, che avrebbe consentito una migliore articolazione? (visto che è un tipo derivato dalla architettura romana, e che il tema “integrazione” è molto sentito dato che ormai a Porta Palazzo si parla più arabo che italiano)
– Bé, sarebbe stato forse più faticoso dare una maggiore articolazione, con riferimento ad alcuni modelli storici più adatti all’uso, avendo peraltro una minore contropartita in termini di esibizione di “originalità” e a parità di parcella.
– Mi fa piacere che lo ammetta: due trovate e vai, insomma. Se devo essere sincero, ho il sospetto che Lei sia frutto di una sveltina. Ma andiamo avanti. Lo spazio interno non è accessibile, ad oggi. Peccato, sarebbe necessario per considerare un edificio, come diceva un maestro della sua mamma, Bruno Zevi. Ma qualcosa si vede: sappiamo che al centro lo spazio è occupato da antiche ghiacciaie scoperte durante lo scavo dell’edificio (non è una idea originale, è stato già fatto per un garage interrato nella vicina Piazza Emanuele Filiberto).
Per il resto, mi pare appunto un garage: molto, troppo grezzo. Non si capisce il perché di tutte queste rampe, che determinano troppi spazi “sotto rampa”, bui, bassi e inutilizzabili e che vincolano pesantemente la versatilità d’uso. Non si capisce perché alcuni pilastri siano rastremati verso l’alto e altri verso il basso. Mi spiega?
– Non so perché. Credo che la cosa abbia a che fare con la libera espressione dell’originalità dell’artista.
– Ah. E anche gli impianti e gli estintori sbattuti lì grezzi e in piena evidenza fanno parte dell’espressione dell’artista? Ma andiamo avanti. Il tetto che si protende a pensilina è tenuto da una coppia di bielle in cor-ten (*). Perché sono sghembe, lavorando peraltro così piuttosto male?
– Perché sarebbe stato banale metterle dritte, e non metterle avrebbe appesantito la struttura, sia al punto di incastro, sia i pilastri.
Ah. Che elegansa. Peccato che la conformazione dell’insieme non è servita ad occultare il più possibile l’orrendo palazzone dietro, che sembra quasi valorizzato dalle scelte volumetriche estetiche della sua mammina. Comunque, sappia che una pensilina così alta non serve allo scopo, anche se, glielo concedo, fa un certo effetto.
Cura estetica delle strutture, dunque, anche se porta a scelte irrazionali da un punto di vista costruttivo e d’uso. Ma allora, questo bitorzolo che spunta, e sfracchia la pulizia dello sbalzo del tetto e della parte vetrata superiore, da dove viene fuori? Cos’è, un omaggio alla estetica del suburbio?
– No, ehm, l’ha chiesto dopo lo strutturista. Ma quello è un lato che si vede poco. E mica c’entra la mia mamma.
– Vabbé, non infierisco. Sta di fatto che Lei, risulta ai più competenti (2) irrazionale, male integrato in quel paesaggio urbano e anche un po’ bruttino di per sé, scusi se glielo dico. Non so di chi sia la colpa, però, penso che sia anche un poco colpa di sua mamma, con tutto il rispetto. Grazie, comunque, con i miei migliori auguri di divenire il museo del cioccolato.
Guido Aragona, Il Cannocchiale, 30 ottobre 2007
Note: 1) il Corten è un tipo di acciaio brevettato di alta resistenza alla corrosione e alta resistenza meccanica. Si presenta con una patina di ossidi, rosso ruggine
2) Una recente inchiesta basata su sondaggi, ha rilevato che il “Palafuksas” è fra le opere meno apprezzate della Torino olimpica, da parte di un pubblico di architetti. Inoltre, Vittorio Sgarbi, “non le ha mandate a dire” al suo amico Fuksas.
Alcuni link per chi volesse approfondire:
a) documentazione del concorso con schizzi di Fuksas e altre immagini: http://www.europaconcorsi.com/db/pub/scheda.php?id=4323
b) qualche materiale su Fuksas e Torino, con sua intervista
http://www.architettiroma.it/dettagli.asp?id=6883
c) Per notizie tecniche sulla facciata, il sito del produttore, Focchi, con belle foto appena fatto
http://www.focchi.it/progetti/padiglione-abbigliamento/
d) Il giudizio di Vittorio Sgarbi, in un articolo di Repubblica
http://www.europaconcorsi.com/db/rec/inbox.php?id=8366
e) l’inchiesta sul gradimento dei nuovi interventi da parte di addetti ai lavori
http://www.lastampa.it/Torino/cmsSezioni/cronaca/200709articoli/4570girata.asp
f) la attuale situazione amministrativa e d’uso
http://www.lastampa.it/Torino/cmsSezioni/cronaca/200710articoli/4657girata.asp
(NoiAmiamoTurin, 2011)