Sparisce il "mostro" sotto la Mole

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Letizia Tortello, La Stampa 20/7/2011

Palazzo di sette piani sotto la Mole, tutto da rifare. Arriva lo stop della Soprintendenza all’edificio che doveva essere costruito in via Riberi, proprio ai piedi del monumento simbolo della città. Dopo la bufera delle proteste dei comitati di cittadini e i richiami dalla Direzione generale per i Beni Culturali, gli uffici di Palazzo Chiablese fanno marcia indietro sul parere emesso un anno fa, che dava il via libera alla variante del piano regolatore.«Abbiamo ritenuto necessario porre un provvedimento di tutela indiretta sulla zona limitrofa, dopo aver concluso l’approfondimento istruttorio», spiega la Soprintendente ai Beni Architettonici Luisa Papotti. «Siamo andati a fondo nella valutazione del progetto, per garantire al massimo l’interesse pubblico».Dunque, non se ne fa più nulla del piano di costruzione, almeno nella versione attuale. Ora c’è un vincolo di rispetto che salvaguarda l’opera monumentale del 1862, che il palazzo di via Riberi avrebbe «oscurato».Stop tassativo all’edificazione a lungo accarezzata dai costruttori privati, che nel 2008 avevano acquistato la piccola area per 2,6 milioni di euro in un’asta pubblica indetta dal Comune. Una gallina dalle uova d’oro, che prometteva lussuosi appartamenti con camera vista Mole. Grazie al beneplacito di Palazzo Civico, che fece una variante ad hoc per dare l’ok alla nuova costruzione.Troppo bello per essere vero: su indicazione della stessa Soprintendenza, il disegno dovette essere rivisto nel 2009. Nacque l’idea di un palazzo più stretto e più alto, da tetto imponente e scultoreo, in vetro, approvato nell’agosto dell’anno scorso dall’ente ministeriale. Una decisione che diede il via a un match infuocato. «È un’opportunità per riqualificare la zona», sostenevano i progettisti. A loro, ribatteva il Comitato Salviamo la Mole: «È una speculazione edilizia inaccettabile, che soffocherà per sempre l’immagine icona della città».Ora è la Soprintendenza a mettere la parola fine, almeno per il momento, sull’edificio della discordia. «Il progetto non è compatibile con la tutela dell’isolato e la morfologia della zona», continua Papotti. E per fugare ogni accusa, tiene a precisare: «Operiamo così perché crediamo sia necessaria una più efficace garanzia sul monumento. C’è stato il massimo apprezzamento per l’operato della città, che intendeva arricchire il tessuto con un’iniziativa di grande valore. Ora dovremo trovare nuovi modi e forme di collaborazione». Conclude: «Non vogliamo essere sottoposti a strumentalizzazioni di nessun genere». Una doccia fredda per i costruttori, che potrebbero addirittura rinunciare all’acquisto, viste le poche garanzie. E pure per il Comune, che vorrebbe chiudere l’affare il prima possibile, soprattutto per ragioni di cassa. L’assessore all’Urbanistica Ilda Curti è perentoria: «Siamo esterrefatti che si possa cambiare parere a distanza di un anno. Non abbiamo ancora letto le motivazioni, riprenderemo in mano la vicenda con rapporti meno formali e più sostanziali. Con il sindaco, penseremo se fare ricorso al Tar, perché da parte nostra c’è sempre stata la massima trasparenza».

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“Mole oscurata” L´ira del Comune

La Repubblica, 18/6/2011

«Una mossa inaspettata e scorretta». La scelta del comitato Salviamo la Mole di presentare un esposto in procura contro il Comune per abuso d´ufficio sull´iter per il nuovo palazzo di via Riberi, a due passi dal simbolo di Torino, ha fatto irritare i vertici dell´assessorato. In via Meucci l´attacco è sembrato fuori luogo, anche perché da parte dell´assessore Ilda Curti c´è stata la massima disponibilità a fissare un incontro con il comitato: «Discutiamo e troviamo una soluzione». «In merito alla questione del fabbricato di via Riberi, adiacente alla Mole Antonelliana, l´amministrazione comunale ribadisce che la procedura si è svolta con la massima correttezza e secondo la legge, con l´approvazione del Consiglio comunale e con il parere favorevole della soprintendenza», fanno sapere dal Comune. Ma il comitato non ci sta: vuole evitare la costruzione di un edificio di sette piani (o cinque) in via Riberi. Palazzo che per i residenti taglierebbe la vista della Mole. E il pressing continua, su più fronti, tra soprintendenza e ministero dei Beni culturali, oltre alla petizione che il comitato presenterà in Sala Rossa.

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Il palazzo che “nasconderà” la Mole. Un’opera d’arte o un mostro?

Letizia Tortello, La Stampa 24/4/2011

L’edificio di 7 piani che dovrebbe sorgere accanto alla Mole divide la città. I contrari: «Soffocherà un simbolo». I proprietari: «Sarà un’opera d’arte»

L’accusa: «Giù le mani dalla Mole. Quell’edificio soffocherà per sempre il simbolo di Torino». La difesa: «Lasceremo alla città un immobile che passerà alla storia. Sarà come una scultura: un palazzo moderno, interprete del tessuto ottocentesco circostante».
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Guelfi contro ghibellini, le ragioni del no e quelle del sì. Sul condominio di sette piani che potrebbe essere costruito in via Riberi angolo via Ferrari, a seguito di una vendita del Comune, il dibattito si fa sempre più accanito. Da una parte i cittadini, guidati dai residenti e sostenuti dagli ambientalisti, dal Fai e da un pezzo del mondo politico, che annunciano battaglia alla futura amministrazione, quando sarà il momento di dare il via libera all’opera. Dall’altra, i proprietari e i progettisti di quello che si annuncia essere il caseggiato più lussuoso (e costoso) della città. Arbitri della partita edilizia, lo stesso Comune e la Soprintendenza. Il primo ha già dato parere positivo, due anni fa. Ha creato una variante al piano regolatore, che consente la riconversione del basso caseggiato ora esistente in alloggi privati. Obiettivo? «L’opportunità di fare cassa», sono state le ragioni dell’assessore all’Urbanistica Mario Viano. Nell’ultimo Consiglio, Palazzo Civico non è però riuscito a votare l’esecutività del progetto. Il parere della soprintendente per i Beni Architettonici, Luisa Papotti, resta ancora in sospeso: «Sono in attesa di maggiori dettagli», ha dichiarato.

Ma lo stabile di via Riberi non muove solo questioni di rapporti di forza. C’è in gioco l’opportunità di creare «una discussione aperta e condivisa con la città sulla fisionomia architettonica del suo centro storico», spiega il Presidente dell’Ordine degli architetti di Torino, Riccardo Bedrone. «Mi pare un caso interessante di cui parlare. Capisco il timore di chi è contrario alla costruzione. Torino è figlia di interventi pessimi, pensati da pessimi progettisti». Come evitare, dunque, una nuova e impopolare operazione «Valdo Fusi»? «Definendo bene le norme di edificazione. Su questo fronte, il Comune dovrebbe stare più attento. In questo caso, ci si poteva forse limitare ai 5 piani, invece che 7. Dell’affidabilità degli architetti, invece, non ho dubbi». La nuova casa in vetro e ferro, «giardini pensili e finiture d’artista», come spiega il proprietario, è pensata per ospitare 15 appartamenti di prestigio e un piano in stile residence da affittare «ai manager d’azienda in transito a Torino». Ancora non si sa se le daranno un nome. Per ora, porta quello di «casa della discordia».

L’architetto: «Si integrerà benissimo, sarà come una scultura» – «Basta chiamarlo “eco-mostro”. Non si può bollare col termine sbrigativo e accusatorio di “cemento” un’opera frutto di accurati studi architettonici. Il nuovo palazzo sarà come una scultura: perfettamente integrato con le molte architetture della zona, in primis con la Mole». Il professor Gustavo Ambrosini, docente di progettazione al Politecnico e socio dello studio Negozio Blu Architetti Associati, è il progettista (insieme con Paola Gatti, Cristiana Catino, Carlo Grometto e Mauro Penna) del futuro edificio di via Riberi 2. Architetto, c’era proprio bisogno di un caseggiato di sette piani, per alloggi superlusso, in pieno centro storico? «Nelle maggiori città d’Europa interventi di questo tipo sono ambiti e si chiamano “riconversione”: l’architettura moderna che si fa interprete di quella antica esistente e la trasforma. Il nostro edificio avrà forte personalità, senza voler essere un gesto artistico che fa ombra alla Mole. Grazie allo studio dei dettagli si mantiene una relazione sintattica con i caseggiati circostanti e si ricuce il contesto edilizio». Che aspetto avrà la costruzione? «L’intenzione era di edificare un blocco unico, a ridosso del palazzo vicino. Poi la Soprintendenza ci ha imposto il vincolo di lasciare un cono visuale libero, per ammirare la Mole da testa a piedi da via Sant’Ottavio. Non sarà dunque un solo volume, ma un organismo architettonico a “L”, in doppia sintonia con l’area». Pensate davvero di riuscire a creare un dialogo con il maestoso monumento dell’Antonelli? «Dal lato di via Riberi realizzeremo una facciata rigorosa, che riprende quella attigua e rispetta i ritmi compositivi delle aperture della Mole. I serramenti e le fasce tra un piano e l’altro saranno trattate con finiture metalliche, che rimandano alla tecnologia del ferro di tipo industriale. Verso l’interno, abbiamo cercato un equilibrio tra le forme, disegnando una facciata che lasci sullo sfondo la Mole come protagonista. Ma sarà il tetto in vetro il vero punto di unione. L’abbiamo soprannominato la quinta facciata». È vero che alla realizzazione parteciperanno anche artisti del calibro di Mainolfi e Zorio? «Sì, il proprietario ha invitato i protagonisti dell’Arte Povera, suoi vecchi amici, a portare il loro contributo, per il disegno dei percorsi luminosi, del portone e della rampa dei garage. È in studio anche un sistema d’illuminazione del tetto». Il residente«L’unico fine è speculare, non c’è più rispetto» «A questo punto vendiamo la Mole: non c’è più rispetto per il nostro caro monumento, simbolo di Torino». A parlare è Mauro Barrera, ex docente di Lettere, oggi capofila del costituendo comitato «Salviamo la Mole», un nutrito fronte di cittadini e residenti contrari alla costruzione del condomino di via Gaudenzio Ferrari. Attorno al suo “niet” perentorio, animato da blog (salviamolamole.altervista.org) e da un intenso volantinaggio, si stringono crescenti manifestazioni di solidarietà. Barrera, perché dite no? «In questo quartiere già densamente edificato, caratterizzato da viuzze piccole e cuore del turismo, l’ultima cosa di cui sentiamo l’esigenza è un nuovo caseggiato. Per di più alto sette piani. Un palazzone che oscurerà la Mole per sempre. Oggi, almeno, è preservato uno scorcio per fotografarla e osservarla per intero, da via Ferrari angolo via Sant’Ottavio». Il basso caseggiato che c’è adesso, però, è fatiscente. Ricostruire non è forse un’opportunità? «Se l’intervento riguardasse qualunque altro punto di Torino, credo che nessuno avrebbe nulla da ridire. Il problema è che qui siamo proprio ai piedi del simbolo della città, il monumento storico che identifica la nostra immagine nel mondo. Ma al Comune questo sembra non interessare. Possibile che non facciano effetto le proteste dei cittadini? Stanno per dare l’assenso a un progetto edilizio sproporzionato per il tessuto circostante». I futuri costruttori accusano voi residenti di protestare solo per questioni private: con il nuovo palazzo, le vostre case perderanno la vista Mole e si deprezzeranno. Cosa risponde? «È nostro diritto ribellarci contro una costruzione che ci toglierà un pezzo di cielo e la visuale. Difendo i miei interessi di residente in via Ferrari, com’è lecito. Ma proviamo a ribaltare il ragionamento: i costruttori non stanno facendo i loro interessi? Il punto non è questo». Qual è? «È la gravità di speculare sulla Mole. Per riconvertire potevano costruire una dépendance del Museo del Cinema, un atelier di artisti e giovani creativi, vista la zona universitaria. O, come suggerisce qualcuno, ricavare un angolo verde». Perché, secondo il vostro legale, la Soprintendenza dovrebbe ritirare il parere positivo? «Se sulla variante comunale c’è scritto che, vista la contiguità con la Mole e considerato il suo valore storico, bisogna preservare gli scorci intorno, quello da via Ferrari è uno di questi. Invito tutti a fare un giro nella via, per immaginare che bestione potrebbe sorgere e quanto il nuovo palazzo risulterà fuori contesto»

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Il cemento nella testa

pubblicata da Vittorio Vb Bertola giovedì 28 aprile 2011
La settimana scorsa abbiamo organizzato una piccola manifestazione su un argomento per noi molto importante: la cementificazione della città.
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Non parliamo solo delle grandi cementificazioni, delle distese di palazzi di cartone costruiti su zone ex industriali malamente bonificate dove spuntano metalli inquinanti nelle pozze d’acqua, come in Spina 3 e come vorrebbero fare allo Scalo Vanchiglia (aka Variante 200). Si tratta anche delle piccole cementificazioni, delle meravigliose villette e palazzetti liberty che vengono rasi al suolo per costruirci sopra palazzi di dieci piani da vendere (non si sa a chi) a caro prezzo, o talvolta anche solo da mettere a bilancio di fantomatiche holding immobiliari da quotare in Borsa o giù di lì.

A me è partito un pezzo di cuore quando hanno abbattuto la villetta che stava all’angolo tra via Pozzo Strada e corso Peschiera, davanti alla quale passavo sempre da bambino per andare a scuola o ai giardinetti; e la stessa fine hanno fatto edifici simili in via Bardonecchia, in via Saffi e ancora altrove.

L’ultima però ha almeno fatto clamore: il palazzo di sette piani che il Comune sta autorizzando (per ora è passato solo in commissione) davanti alla Mole, al posto di un basso fabbricato, cancellando per sempre l’unica angolatura da cui si può vedere la Mole per intero. L’assessore Viano non ha avuto nemmeno la faccia di dissimulare, e ha detto chiaramente che il Comune vuole “fare cassa”

Peccato che il territorio si possa svendere una volta sola, e che dopo aver costruito palazzoni in ogni angolo di Torino ci troveremo con una cementificazione insostenibile (con tutte le conseguenze che questo porta in termini di inquinamento, incremento del calore, traffico, densità umana ecc.) e soprattutto con una città irrimediabilmente imbruttita. E poi dicono di puntare su turismo e qualità della vita…

Noi abbiamo manifestato sul posto, in modo da ottenere un pochino di attenzione sui media per questo problema; ci siamo presi gli applausi degli abitanti, ma non basta. Però si illude chi pensa di poter convincere Fassino a ripensare queste scelte; perché gli immobiliaristi torinesi, come raccontiamo da anni, sono tra i principali amici del centrosinistra.

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(NoiAmiamoTurin, 2011)

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