La disinformazione di Stato contro le lingue locali

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Continua l’opera di svilimento e banalizzazione delle lingue nazionali

L’immagine a fianco del titolo, già di per sé tutto un programma (“Lingua e dialetti locali. L’italiano tra federalismo e unità nazionale”), è quella della torre di Babele. Si apre così, con un ammiccante accenno all’incomunicabilità richiamato dall’episodio biblico, il box sul sito della “Società Dante Alighieri” dedicato a un sondaggio on-line che l’associazione ha promosso su internet per stabilire se e come insegnare i dialetti a scuola e quale dovrebbe essere il loro rapporto con l’italiano.

I risultati sono stati presentati a Roma lo scorso 10 novembre in una tavola rotonda che ha potuto beneficiare del patrocinio del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati e del Comune di Roma. Quali sono? Ma è ovvio: per riprenderne testualmente le conclusioni, «secondo il 69,5% dei votanti la lingua locale dovrebbe essere parlata esclusivamente in famiglia; il 18% ritiene che debba essere insegnata nelle scuole e il 7,5% agli studenti stranieri; minime percentuali per l’utilizzo della lingua locale negli organi di informazione (2,5%), negli uffici (1,5%) e per scrivere atti amministrativi (1%)».

Insomma: una condanna senza appello, buttata lì, addirittura, come qualcosa di ovvio.

Strano (?) che in Piemonte la ricerca dell’Ires del 2007 (svolta in collaborazione con l’Università di Torino con metodi scientifici e su campioni rappresentativi, non al buio, su internet, tra i fans del trombonismo carducciano) abbia fornito risultati del tutto opposti, con oltre il 75% di genitori favorevoli all’insegnamento del piemontese a scuola…

È solo una combinazione o dietro iniziative di questo genere (sempre ampiamente sostenute e pompate dai media) si nasconde un disegno che vuol fare dell’italiano nient’altro che uno strumento per legittimare un’unità culturale italiana (inesistente), che dovrebbe giustificare un’unità politica e statuale sempre più pericolante?

Se, da una parte, iniziative di questo genere non fanno che ribadire la nostra estraneità, come Piemontesi, al contesto italiano, dall’altra non può non suscitare fastidio il tentativo continuamente ripetuto di annacquare, di svilire e di banalizzare tutta la problematica relativa alla tutela, all’ufficializzazione e all’insegnamento scolastico della nostra lingua nazionale (altro che “dialetti”!).

A parte il fatto che la “tavola rotonda” parte male già dal titolo, contrapponendo “lingua” (= l’italiano) e “dialetti” (suggerendo così uno scontato giudizio di valore), mischiando i piani della discussione (facendo confusione fra dato linguistico e dato politico: cosa c’entra, in questo contesto, l’ ”unità nazionale” o la forma di Stato?). Ma, tranquilli, se qualcuno avesse ancora qualche dubbio sulla scientificità e sull’imparzialità di certe iniziative, è la stessa “Dante Alighieri” che provvede subito a fugarlo: «tra tante dimostrazioni della frammentazione del bel Paese, la lingua è sempre stata un fattore indiscusso di coesione nazionale: una scelta unitaria non imposta dall’alto e che ha preceduto di secoli l’unità politica». Insomma, excusatio non petita: infatti, l’italiano, in Piemonte, è stato imposto, fondamentalmente, da Mike Bongiorno e fino a una cinquantina d’anni fa era assai poco utilizzato: altro che aver preceduto (di secoli!) “l’unità politica” o essere sempre stato “un fattore indiscusso di coesione nazionale”! I l’eve capì? Altro che “lingua aulica”, purismo, movimenti e generi letterari: qui non si tratta di “risciacquare i panni in Arno”, ma di po-li-ti-ca (con cui questi signori, a differenza di troppi piemontesi, non hanno paura di sporcarsi le mani).

Politica, che, come ebbe a dire un ministro della Repubblica, “è sangue e m….”: non, dunque, discussioni accademiche, ma qualcosa di assai concreto che influenza profondamente la nostra vita.

I dirigenti la “Dante Alighieri” (per la più parte personalità profondamente legate al mondo politico e istituzionale italiano: da ex presidenti della Repubblica a direttori generali di ministeri ad ambasciatori; non “anime belle” che vagano nell’arcadia) hanno capito benissimo la centralità della questione della lingua.

Questione, appunto, squisitamente politica. Come politica deve essere la risposta dei Piemontesi, che devono liberarsi una volta per tutte dalla loro soggezione nei confronti della lingua italiana. D’altronde, come scrive il prof. Sergio Gilardino, «il piemontese … a conti fatti, è lingua tra le più splendide lingue letterarie d’Europa».

Carlo Comoli

Gioventura Piemontèisa, n. 1/2010

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