Il cantiere per i box pertinenziali di piazza Carlina ha rivelato alcuni resti in muratura: in pochi giorni è stato raso tutto al suolo
Gianluca Ruffino | Il Bicerin, 19.5.2015
Da tempo si parla di Torino come una delle capitali europee della cultura, e non a caso era stata inserita in un primo momento tra le città italiane che potevano concorrere per l’ambito premio di capitale europea della cultura nel 2019. La candidatura in questione è poi naufragata e pare che sarà la città di Matera ad aggiudicarsi il titolo di capitale. Ma questo è accaduto per meriti altrui o per demerito nostro? Senz’altro tutte le città in lizza per la nomina erano città dal forte valore storico, artistico e culturale, un fiore all’occhiello per l’Italia intera, ma anche noi (o meglio, la nostra amministrazione) ci siamo dati “la mazza sui piedi”, come si suol dire.
Da una città candidata ad essere capitale europea della cultura ci si aspetterebbe infatti una valorizzazione del proprio patrimonio artistico e culturale, e invece pare che il Comune di Torino consideri tutto ciò nient’altro che un intralcio, preferendo ad esempio radere al suolo con una ruspa dei reperti storici che impediscono la costruzione di qualche parcheggio.
È il caso di piazza Carlo Emanuele II, meglio conosciuta come piazza Carlina, dove sono stati recentemente rinvenuti dei resti storici sottostanti la città, che però intralciavano gli ennesimi lavori di costruzione di parcheggi da parte di privati. Visto l’importante e inatteso ritrovamento, sarebbe stato normale sospendere momentaneamente i lavori per comunicare quanto avvenuto e chiedere il parere della cittadinanza, ma pare che ormai sia troppo tardi.
Ne abbiamo parlato con Juri Bossuto, ex consigliere regionale di Rifondazione Comunista e uno dei primi a fare luce sulla questione di piazza Carlina: «Una volta iniziati i lavori, scavando, sono stati rinvenuti dei resti storici su cui si è aperto anche un dibattito su Facebook – dice Bossuto – è stato infatti creato un gruppo dal nome “Salviamo piazza Carlina”, gestito dall’attore di teatro Claudio Bertoni, che conta attualmente più di 150 adesioni e sostenitori. Personalmente scottato già da alcune vicende – continua Bossuto – come quella del museo di archeologia di piazza San Carlo (che oggi si snoda in qualche colonna di pietra buttata alla bell’è meglio nel parcheggio), decisi di andare a dare un’occhiata al cantiere e a fotografare i resti che erano stati rinvenuti, presumibilmente le fondamenta di alcune case e un pozzo».
Come si può facilmente intuire, a questo punto la reazione da parte degli addetti ai lavori non tarda ad arrivare, infatti «Dopo averlo scritto e aver pubblicato le foto – dice Bossuto – l’attenzione sul caso è aumentata, e con essa è arrivata anche qualche polemica. Proprio quando stava incominciando ad animarsi il dibattito, gli addetti ai lavori, forti dei loro permessi, hanno recintato per bene quella parte di cantiere affinché nessuno potesse vedere più nulla e hanno raso al suolo tutto, pertanto ormai anche volendo non c’è un granché da salvare. A mio parere sicuramente loro sono stati autorizzati e non hanno violato alcuna norma, però fa rabbia il metodo, perché anche se il cantiere è privato quella è pur sempre una piazza pubblica, deve quindi essere diritto di tutti i cittadini fotografare, guardare, anche perché se c’è regolarità la trasparenza non deve far paura».
Ne abbiamo parlato anche con Carlo Comoli di Gioventura Piemontèisa (movimento indipendentista per l’identità piemontese), il quale ci ha detto che «Il comune di Torino, così facendo, si dimostra ostile e contrario all’identità della città. Addirittura lavora per eliminare quanto più possibile, anche fisicamente, quella che è l’identità cittadina. Lo ha fatto dal dopoguerra ad oggi facendo più danni dei bombardamenti inglesi, sia in città che in provincia, basti pensare ad esempio alla distruzione della manica della Cavallerizza e a come è stato gestito il restauro. Il comune – dice Comoli – così com’è ora è solo un’ente che da una parte spazza via anche brutalmente l’identità torinese e piemontese della città, italianizzandola, dall’altra cerca di tirar su quattro soldi per far cassa proprio attraverso la distruzione di reperti e complessi storici a vantaggio di parcheggi, centri commerciali e appartamenti di privati. Il caso di piazza Carlina è emblematico».
Pertanto, fino a quando non saremo in grado di rispettare la nostra storia e identità, salvaguardando e valorizzando il nostro patrimonio artistico e culturale, non potremmo fare altro che piangerci addosso, perché probabilmente è solo colpa nostra se siamo stati tagliati fuori dalla corsa per l’assegnazione della nomina di capitale europea della cultura, ben consci del fatto che, come ha detto Bossuto, «Quella di piazza Carlina è semplicemente una scelta di questa amministrazione comunale, che alla valorizzazione della nostra cultura e dei nostri reperti storici (cosa che comunque all’estero fanno regolarmente), ha preferito radere al suolo tutto nel nome di parcheggi privati; temo pertanto che il “premio Attila” questa amministrazione se lo meriti decisamente».