ll cieco di Briançon e l'icona della Consolata

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IL PRODIGIO DI POZZO STRADA E L’ICONA DELLA CONSOLATA
Giovanni Ravache, il cieco di Briançon, accompagnato da una domestica, arrivato a Pozzo Strada, fu ospitato in un convento. Mentre qui stava chiedendo informazioni sulla strada per arrivare a Torino, ebbe all’improvviso il dono della vista: notò all’improvviso un fulgore che dal cielo si era abbassato sopra la torre di Sant’Andrea: lì si trovava il quadro della Consolata che avrebbe miracolosamente ritrovato insieme alla vista – ritornatagli definitivamente – illesa tra i ruderi di un’antica cappella.

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Dalla desolazione spirituale e civile intorno all’anno Mille, si passa alla ricostruzione religiosa e politica: è un tempo difficile sia nei monasteri che nelle città e nei villaggi; è il tempo della lotta per le investiture e delle crociate, della cavalleria e dei pellegrinaggi. Tra i pellegrini del tempo c’è anche Giovanni Ravache che da Briançon viene a Torino, dove riacquista la vista e ritrova tra le macerie l’icona della Vergine “Consolatrice”.
 
L’edificazione di templi dedicati al culto mariano, attribuita, secondo la tradizione, ad Arduino, si inquadra nello sforzo dei vescovi di ovviare allo stato di abbandono in cui era caduta la diocesi pedemontana per l’invasione dei Saraceni. Gli stessi presuli del tempo danno una conferma amara: Gezone nel 1006 attesta di essere stato sospinto alla fondazione dell’abbazia di San Solutore, posta all’esterno della cinta murata, dalla situazione penosa provocata dalle scorrerie.
Landolfo nel 1037 «innalzò egli stesso una nuova chiesa cattedrale»; Guido nel 1044 donò all’abate Alberico la chiesa di San Secondo presso la Dora, perché la restituisse al culto. Angosciata è la costatazione, tramandata nell’atto di donazione, delle chiese e delle loro suppellettili distrutte dapprima dai pagani e poi dai «perfidi cristiani, se è lecito chiamarli cristiani o non piuttosto anticristi».
Cuniberto, confermando alcuni beni dell’abbazia di Cavour nel 1055, con ansietà costatava soprattutto «lo sterminio di chiese e di sacri ordini»; nel 1065 accennava alla pieve dei martiri, donando parecchie chiese alla prevostura di Oulx, ed all’incuria e negligenza subentrate «alla persecuzione ed alla desolazione dei pagani non ancora superate al suo tempo».
 

Ripresa all’alba del millennio
 
Con i loro interventi i vescovi di Torino si inserivano nel più vasto moto di rinnovamento nella Chiesa; era in atto la riforma cluniacense contro l’azione esterna dei laici sui monasteri e la dissoluzione interna.
Nel secolo XI san Pier Damiani inorridiva al pensiero di dover governare un monastero: «Schiavo di laici», scriveva ad un monaco, che aveva rifiutato la dignità di abate. «Schiavo dei monaci devi essere. Quelli ti possono dissipare i patrimoni della Casa di Dio, questi sollevarsi in ribellione. Chi può, in questa età di ferro, guidare un chiostro senza pericolo di vita? O meglio, chi può essere abate e monaco insieme?».
Attraverso poi la lotta per le investiture, si era avviato il piano riformatore di san Gregorio VII, che riuscì ad operare con uno sforzo energico la restaurazione nella Chiesa e la proclamazione solenne dei diritti ecclesiastici: l’urto si mostrò inevitabile contro una massa aggrovigliata di interessi, di sentimenti, di abitudini; gli avversari stessi, «offesi dalla presenza pazza di un Gregorio che vuole far degli uomini tanti angeli», gli tributarono inconsapevolmente il più ambito riconoscimento.
L’alba del nuovo millennio, tuttavia, faceva presagire una cospicua ripresa di vita agricola, di sviluppo demografico ed economico, di trasformazione e crisi del mondo feudale, di ripresa del commercio e dell’industria, di crescita delle città con moti cittadini e con autonomie urbane.
In questo tumultuoso manifestarsi di vitalità s’inserisce la tradizione del miracolo concernente il cieco di Briançon.
 

La vista per il cieco di Briançon, l’immagine mariana per tutti

Nella piccola città del Delfinato, Briançon, viveva un giovane, cieco dalla nascita, di nome Giovanni [Jehan], della ricca famiglia Ravache. In sogno ebbe la visione di Maria SS., che lo sollecitò a recarsi a Torino, ove fra i ruderi di una chiesa avrebbe trovato l’antica cappella dedicata alla Vergine ed anche la sua immagine.
Superate le non lievi difficoltà familiari, coadiuvato da una domestica, intraprese il viaggio, deciso ad assecondare l’invito celeste. Raggiunse il Monginevro, toccò Exilles, Susa e finalmente Pozzo Strada, presso Torino.
Ospitato in un convento, mentre stava chiedendo informazioni, ebbe all’improvviso il dono della vista: notò un fulgore che dal cielo si era abbassato sopra la torre di Sant’Andrea. Fu un istante, perché la cecità colpì di nuovo il pellegrino: la meta, però, era stata individuata. Giovanni Ravache non frappose indugi: si recò subito sul posto, indicato dalla visione, diffuse fra gli astanti l’appello accorato perché si praticassero gli scavi.
La notizia si sparse repentina nei dintorni, cosicché lo stesso vescovo Mainardo, che soggiornava a Testona, deliberò con il clero ed i fedeli di raggiungere la città.
Quivi s’iniziò la rimozione dei ruderi: poco dopo comparve la struttura della cappella antica ed illesa la stessa immagine di Maria SS.
In quel momento il cieco riacquistò definitivamente la vista: era il 20 giugno 1104, data che divenne memorabile, anche perché il ritrovamento della effigie sacra s’arricchì della preghiera del vescovo a Maria con l’appellativo di «Consolatrice».
La descrizione del miracolo fu incisa nella grande lapide che tramanda la narrazione del prodigio.
 
 
Avvenimento capitale: la crociata a Gerusalemme e la Consolata a Torino 
 
Quanto è tramandato dalla tradizione fu accolto o respinto da chi lo ritenne rispettivamente autentico o fantasioso. Facendo, tuttavia, riferimento all’anno 1104 della narrazione, non si può ignorare che la città di Torino, come altri centri urbani dell’Europa, era stata percorsa da sciagure e da fremiti di esaltazione religiosa.
Pochi anni prima, il 25 maggio 1085, era morto a Salerno il papa Gregorio VII, pronunciando parole che avrebbero sintetizzato per i posteri il significato morale e religioso dell’atteggiamento pontificio di fronte alle pretese dell’imperatore Enrico IV: «Amai la giustizia e odiai l’iniquità, perciò muoio in esilio».
Lotte politiche e militari contro i partigiani dell’imperatore e dell’antipapa Ghiberto; urti ostili all’autorità comitale ed episcopale erano continuate sotto il successore Urbano II.
In particolare, nel dicembre 1091 alla morte della marchesa Adelaide, lo stato della marca di Torino era diventato confuso per le pretese avanzate da più parti alla successione. Enrico IV nel 1092 vi inviò il figlio Corrado; nel turbine delle contese di quel periodo si trovarono favoriti i ceti feudali, i mercanti, i proprietari terrieri, che riuscirono a raggiungere un’intesa per tentare forme nuove di organizzazione politica comunale. A Torino perciò, come ad Asti, a Pinerolo, a Chieri, a Susa questi fermenti di autonomia locale dai poteri vescovili, marchionali e regi, accrebbero la condizione di disagio politico, provocando incertezze sulla ripresa della pace sociale. Motivi di esultanza e di fiducia, invece, si inserirono in tutti i ceti, quando giunsero le notizie della felice conclusione del primo pellegrinaggio armato: il 15 luglio 1099 i Crociati erano entrati in Gerusalemmeed avevano liberato il Santo Sepolcro di Cristo dall’oppressione turca.
 
In questa cornice di rovine per guerre, di pestilenze e di miseria, ma anche di vittoria della cristianità sui violenti non-cristiani si colloca il pellegrinaggio del cieco di Briançon e si situa l’attribuzione dell’appellativo «Consolatrice» alla Vergine.
 

don Giuseppe Briacca (1926 – 2004) | Santuario della Consolata, anno 85 – N. 8/9 1984

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