Apartheid in Piemonte – Prima puntata
Qualcuno ogni tanto domanda a che punto siano le proposte di legge per la lingua piemontese. Per chi si è perso nelle scatole cinesi all’italiana ricorderemo che, anche secondo i trattati e il Diritto internazionali, le lingue minoritarie sono tutte patrimonio dell’umanità e necessitano di provvedimenti legislativi e di adeguati finanziamenti pubblici che ne garantiscano la tutela, la valorizzazione e la promozione.
La prima proposta di questo genere per il piemontese risale al 1972, all’alba dell’istituzione delle Regioni. Lo Stato italiano si oppose con forza alla volontà di promuovere il piemontese e una prima legge regionale “decente” non si ebbe che nel 1990. Diciotto anni: questi sono i tempi che ci impone chi non aspetta altro che il nostro silenzio e la nostra scomparsa.
La legge del ’90, considerate le condizioni, non era una cattiva legge, però in molti si impegnarono affinché rimanesse in gran parte inapplicata e le sue disposizioni restassero parole sulla carta. Con gli emendamenti del 1997 divenne perfino la legge più avanzata in materia fra le Regioni a statuto ordinario, ma sempre soltanto a parole.
Frattanto in Parlamento, su sollecitazione europea, nel 1999 venne approvata una legge a tutela delle lingue minoritarie di tutto lo Stato italiano, ma la lingua piemontese ne venne strumentalmente esclusa.
In Regione alla fine degli anni Duemila la legge regionale fu posta sotto assedio da incompetenti speculatori elettorali di tutti i partiti – a cui nulla interessava della nostra lingua – che, alla fine, riuscirono ad abolirla e a sostituirla, nel 2009, con un testo volutamente inapplicabile e confuso, scaturito da indefinibili compromessi volti (?) a sollecitarne una solenne bocciatura da parte degli organi dello Stato che mettesse finalmente una pietra sopra la questione.
Bocciatura di Roma che puntualmente arrivò: una incredibile sentenza della corte costituzionale italiana “censurò” la lingua piemontese dalla legge regionale, ne proibì l’utilizzo pubblico e de facto ne sancì la futura estinzione per consunzione. Il fatto ebbe almeno il merito di chiarire una volta per tutte anche ai più scettici l’impossibilità di una convivenza tra la cultura piemontese e quella italiana.
Le conseguenze sul piano pratico di queste ripetute discriminazioni sono state disastrose. L’attività di promozione della lingua piemontese da allora si è praticamente azzerata. La “pietra sopra” non è stata più rimossa né, in generale, ci si è scaldati troppo per rimuoverla: cinque anni di totale inattività, cadenzati da sterili dichiarazioni di principio, riunioni inconcludenti, inutili ordini del giorno, proposte di legge mai discusse.
Con la nuova Giunta regionale la solfa è ricominciata: ci sono già tre proposte di legge. L’una, seria e avanzata (Cons. Motta) che, visti i precedenti, verrebbe nuovamente bocciata dall’italia; un’altra che relega la lingua piemontese nell’ambito degli antichi mestieri scomparsi (Cons. Motta), sulla quale noi e altre associazioni piemontesi interpellate abbiamo dato un giudizio tranchant, auspicandone il ritiro senza condizioni; e una terza (Cons. Gancia) che, se applicata, toglierebbe di mezzo la stessa lingua piemontese: il suicidio giuridico di un’identità linguistica.
Allora cercheremo di essere chiari. La Regione Piemonte ha dimostrato, con tutte le sue giunte, di non volere portare avanti in nessun modo la battaglia per la lingua piemontese né di attuare alcuna forma di politica linguistica. La Regione è un Ente che ha da tempo rinunciato a qualsiasi forma di autonomia o di assunzione di responsabilità. Per loro si tratta esclusivamente di mantenere lo status quo: stipendi, propaganda, voti; più competenze = più responsabilità = più grane. È più comodo star buoni e ubbidire. È una battaglia che nessuno ha il coraggio e la voglia (e la capacità) di intraprendere. Pertanto l’eventuale approvazione della prima proposta Motta oggi risulterebbe semplicemente inutile; di avere una legge sul modello delle altre due proposte, francamente ne facciamo a meno: meglio nulla che la polvere e la confusione, almeno conteniamo i danni.
Quel che manca è la volontà istituzionale di intraprendere una politica linguistica sulla scorta di quanto attuato in altri paesi europei (Catalunya, Galles, Friuli-Venezia Giulia…) e ciò si potrebbe benissimo fare a legislazione invariata: Artissima, Marcovaldo, Sandretto Re Rebaudengo – tanto per citare alcuni casi – non hanno mai avuto bisogno di una legge specifica per portare avanti le proprie iniziative, eppure negli anni sono stati finanziati dall’Ente con milioni di Euro. La lingua piemontese, soltanto giovedì scorso, nel bilancio regionale è passata financo dietro la lotta alle zanzare: tanto per dire la considerazione che i nostri “rappresentanti” hanno per la nostra identità. Ci troviamo di fronte a una discriminazione di tipo Sudafricano.
I Piemontesi non possono stare a girare nel bicchiere per altri quattro anni. Non ne avranno il tempo. Delle vostre leggi inutili non ci interessa più nulla: in uno Stato che conta dalle 300 alle 500mila leggi (nessuno sa in realtà quante siano, ma sono circa venti volte quelle della Gran Bretagna), una in più o in meno non fa alcuna differenza.
In realtà i nostri “rappresentanti” non vogliono toccare i soldi già assegnati dai loro partiti ai loro “amici”. Intanto il piemontese muore di parole e di proposte inutili, e i Piemontesi sono sempre gli ultimi della fila, presi in mezzo tra i nemici e i falsi-amici.
Non abbiamo più il tempo di aspettare: lascino pure perdere i loro iter, le loro commissioni e le loro liturgie. Facciano conto che siamo zingari, che siamo un circolo di lettori, che siamo l’arte contemporanea – per la quale si spendono regolarmente milioni e milioni di Euro. I Piemontesi valgono forse meno di tutto questo? Fino ad oggi per loro è stato così: non valiamo uno sputo in terra.
Vogliamo promuovere l’identità piemontese? Allora ci vanno investimenti importanti, e subito, senza perdere tempo e senza nascondersi dietro a un dito. Vogliono che il piemontese sparisca? Lo capiremo dai fatti, non dalle parole. Questo genocidio ha dei responsabili ben individuabili.
Da oggi ne parleremo con regolarità. A presto.
1.12.2014