I nostri vecchi erano soliti augurare salute e ‘n pò ‘d valute. Quasi a significare l’importanza del benessere economico (un pò) nella vita, ma soprattutto, e in subordine alle cose veramente importanti e irrinunciabili (la salute). Forse è per questo che nel mondo d’oggi, dove i valori sembrano essersi capovolti (prima i soldi ad ogni costo), con la conseguente distorsione dei rapporti tra le persone, gli uomini sono così soli e infelici.
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Venendo a noi, si può dire in senso più generale che il denaro sia importante e necessario per realizzare una politica culturale (Don Bosco ripeteva che il denaro è lo sterco del diavolo, ma che concima così bene…), ma deve essere la conseguenza di un progetto di base che preveda chiaramente le azioni da portare avanti per il raggiungimento di determinati obiettivi. Vale a dire: ogni operazione culturale si prefigge certi scopi, che si tratti del restauro di una chiesa, di un corso di piemontese o di una mostra d’arte. A partire dagli scopi individuati l’ente pubblico che intenda raggiungerli, da solo o in sintonia con altri soggetti, dovrebbe poi decidere uno stanziamento adeguato e profondervi uno sforzo consono. Tutto ciò in un quadro generale che abbia come punti di riferimento l’intangibilità e l’indisponibilità di certi beni (come la lingua), nonché criteri di efficacia e di efficienza. Stabiliti prima gli obiettivi, si dovrebbe quindi poi reperire e impiegare i fondi necessari per raggiungerli.
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Sovente, però, capita esattamente il contrario, e l’affaire Premio Grinzane Cavour è lì a dimostrarlo. Molte iniziative sembrano cioè messe su per drenare soldi pubblici, senza mai giungere ad otterere alcun risultato, in una sorta di moto perpetuo che finisce per richiedere sempre maggiori finanziamenti. In certi casi (come il suddetto Premio) si è invertita la causa con l’effetto o, se si preferisce, si sono scambiati i fattori: tutta l’organizzazione sembra concepita per attrarre finanziamenti, che costituiscono, invece che il mezzo per raggiungere gli obiettivi dichiarati, il fine stesso. Ennesimo caso di eterogenesi dei fini o operazione così congeniata fin dal principio? Al di là delle considerazioni che si potrebbero fare sulla vicenda Premio Grinzane Cavour, sulla necessità dell’iniziativa, sulla sua ricaduta culturale, sulla sua gestione, ci pare che siano emersi alcuni punti fermi da tenere in considerazione.
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1) Nella gestione della faccenda si sono alternati, nel corso degli anni, giunte di ogni colore politico, le quali erano ovviamente responsabili politicamente delle scelte operate. Quindi i casi sono due: o sapevano della gestione “allegra” del Premio, e a loro stava bene così, oppure non lo sapevano, e allora erano colpevoli lo stesso – almeno politicamente – perché avrebbero dovuto sapere: era loro preciso dovere.
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2) Dove è il tuo tesoro là è anche il tuo cuore. Vale a dire: l’ordine dei finanziamenti erogati in questi anni dalla Regione Piemonte costituisce la rappresentazione plastica e reale della considerazione effettiva in cui sono tenuti i vari settori di intervento. Se per la lingua piemontese nel 2008 si sono spesi 700.000 Euro e per il Premio Grinzane Cavour 2 milioni, ciò significa che per la Regione questo vale da solo tre volte tanto. E così per ciascuno dei finanziamenti erogati, ed ognuno può fare i suoi conti e vedere i “rapporti di forza” relativi.
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3. Il leit motiv, la solita lagna che ci viene ripetuta “non ci sono i soldi” quando si tratta della tutela e della promozione della lingua piemontese è una balla, raccontata nel quadro della pianificazione di un’eutanasia silenziosa e subdola della lingua e dell’identità dei Piemontesi.
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4) Da ciò discende che, poiché questo atteggiamento è trasversale ai movimenti politici (chi è amico del Piemonte lo è prima e al di là di considerazioni politiche) le ideologie e i partiti italiani che si sono succeduti fino ad oggi sono a noi ontologicamente (= di propria natura) contrari e contrapposti alla lingua, alla cultura e all’identità piemontese; in una parola, al Piemonte.
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In questi giorni è stata anche castrata l’unica legge (peraltro mai completamente applicata) che in qualche modo tutelava il piemontese.
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Questa azione gravissima (che ha visto d’accordo tutti i partiti in Consiglio regionale) ci viene spacciata come una conquista e fatta passare come un passo avanti (perché, dicono, cita espressamente la lingua piemontese), mentre si tratta di un vero e proprio attentato alla nostra identità – e alla nostra intelligenza – e di un’offesa senza precedenti alle autonomie locali e alla democrazia diretta.
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Il 12% dei cittadini piemontesi (oltre mezzo milione di persone) e il 20% dei Comuni non hanno nemmeno trovato udienza presso i “rappresentanti” che siedono in Consiglio regionale, e la loro proposta di legge (la 527/08) non è nemmeno stata messa in discussione. Questi “volenterosi carnefici” della nostra lingua, tutti uniti nella loro mediocrità e nella loro supponenza, sono venuti allo scoperto. Attenzione ai falsi amici! Questa volta, almeno, hanno dovuto dichiararsi.
Carlo Comoli