Lingue regionali e democrazia

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La situazione linguistica del Piemonte è sotto gli occhi di tutti, e tutti possono verificare negli atti la corrispondenza tra “popolazioni parlanti” e lingua posta a tutela o degna di riconoscimento. Questo dato va ovviamente rapportato alle caratteristiche legislative regionali e nazionali. Le dinamiche che hanno portato a determinare questa corrispondenza, nel florilegio del patrimonio linguistico del Piemonte, sono ovviamente oggetto della nostra riflessione, anche in riferimento all’ipotesi di una revisione legislativa su tale materia. Di fatto, si è compiuto un discernimento (materia d’approfondimento) a favore o contro un segmento linguistico, per integrare la sua specificità nel quadro di legislativo regionale o nazionale. Alcuni passaggi normativi, soprattutto in fase di preambolo, non sono certo stati indolori, ma non vogliamo qui ripercorrere le fasi pregresse che hanno portato il legislatore regionale o nazionale a disegnare territorialmente una plastica visione linguistica.Prendendo atto dei dati oggettivi, dobbiamo comunque fare una premessa di fondo: «la conquista legislativa in ambito linguistico, non è la cristallizzazione definitiva di decisioni di politiche culturali contingenti seppur supportate da una consulenza scientifica».L’aspirazione di una popolazione parlante una lingua “regionale o minoritaria”, come gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato, ha il diritto di poter mantenere un “dossier aperto” presso la legislazione regionale o nazionale.
Gli stessi consulenti in fase “istruttoria” della 482, come ad esempio i rappresentanti del Centro Internazionale sul Plurilinguismo, successivamente alla data del licenziamento della legge di tutela, sottolinearono la necessità della revisione integrativa della stessa. La carenza legislativa nei confronti della salvaguardia (a tutto tondo) delle lingue storiche del Piemonte, nel nome della democrazia, rappresenta un’omissione democratica da sanare.

La situazione linguistica del Piemonte è sotto gli occhi di tutti, e tutti possono verificare negli atti la corrispondenza tra “popolazioni parlanti”e lingua posta a tutela o degna di riconoscimento.Questo dato va ovviamente rapportato alle caratteristiche legislative regionali e nazionali. Le dinamiche che hanno portato a determinare questa corrispondenza, nel florilegio del patrimonio linguistico del Piemonte, sono ovviamente oggetto della nostra riflessione, anche in riferimento all’ipotesi di una revisione legislativa su tale materia. Di fatto, si è compiuto un discernimento (materia d’approfondimento) a favore o contro un segmento linguistico, per integrare la sua specificità nel quadro di legislativo regionale o nazionale. Alcuni passaggi normativi, soprattutto in fase di preambolo, non sono certo stati indolori, ma non vogliamo qui ripercorrere le fasi pregresse che hanno portato il legislatore regionale o nazionale a disegnare territorialmente una plastica visione linguistica. Prendendo atto dei dati oggettivi, dobbiamo comunque fare una premessa di fondo: «la conquista legislativa in ambito linguistico, non è la cristallizzazione definitiva di decisioni di politiche culturali contingenti seppur supportate da una consulenza scientifica».L’aspirazione di una popolazione parlante una lingua “regionale o minoritaria”, come gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato, ha il diritto di poter mantenere un “dossier aperto” presso la legislazione regionale o nazionale.
Gli stessi consulenti in fase “istruttoria” della 482, come ad esempio i rappresentanti del Centro Internazionale sul Plurilinguismo, successivamente alla data del licenziamento della legge di tutela, sottolinearono la necessità della revisione integrativa della stessa. La carenza legislativa nei confronti della salvaguardia (a tutto tondo) delle lingue storiche del Piemonte, nel nome della democrazia, rappresenta un’omissione democratica da sanare.

Roberto Saletta
(30.6.2007) 

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