7.4.2014 – “Mancano i fondi”, come al solito per noi. Ma quando un monumento crolla rischia di fare vittime. E poi non c’è più, nessuno ce lo può restituire.
Ieri mattina sono venuti giù calcinacci dall’alto della Torre di Città di Vërsej/Vercelli, e l’area sottostante è stata transennata.
L’allarme suona da un anno: le torri di Vercelli sono in pericolo. «Lo stato di conservazione non è per niente buono», diceva l’architetto Caldera della Soprintendenza ai Beni artistici del Piemonte (che a questo punto ci domandiamo a cosa serva).
Il Piemonte si sta sbriciolando. I beni architettonici e artistici, i testimoni della nostra storia e della nostra identità piemontese stanno scomparendo e il paesaggio è ormai compromesso.
Per noi Piemontesi i finanziamenti pubblici per i beni culturali non ci sono mai. Dov’è lo stato italiano, che si arroga la competenza esclusiva sui beni culturali e poi non fa nulla per tutelarli , ma si ingegna anzi per farli sparire il prima possibile? La verità è che questo crollo (come tutti gli altri: si pensi a Frinco) è colpevole.
Lo stato nemico italiano vuol fare consapevolmente scomparire la nostra identità nazionale, somministrandoci una lenta e continua eutanasia. Con la scusa della mancanza di finanziamenti (che per qualcun’altro, però, ci sono sempre) si aspetta che la nostra memoria storica vada in briciole e scompaia per sempre. In verità siamo al dunque: o accettiamo la situazione o noi Piemontesi ce ne dobbiamo andare il prima possibile da questo paese corrotto, marcio, mafioso e irriformabile che chiamano “italia”.
A Vercelli un orologio esistette già nel XIV secolo.
L’antica sede del Comune, il Broletto, fin dal 1377 ebbe un orologio a bilanciere sulla sua torre di via degli Spadari (ora “Gioberti”). […] In un documento dell’ottobre 1377 dell’Archivio Civico è ricordata la spesa mensile per la manutenzione dell’orologio affidata al “dorerio Simone de Gaya”. Le quattro lire terzuole corrispostegli per tale incombenza non erano poche se si pensa che che un professore di lettere ne riceveva appena otto in più. I “doreri”, verso il XV secolo, diedero nome alla via, ora Foa, nella quale esercitavano la loro professione di orefici.[…] Alcuni di essi erano orologiai e anche fabbricanti di orologi come “Sigismondo de’ Bacillini” “maestro che fa horologi” nel secolo XVI e, due secoli dopo, G.B. Laner; la manutenzione dell’orologio della Torre, che per quasi cinquecento anni fu l’unico orologio pubblico della città, fu perciò sovente affidata a un “dorerio”. Alcuni custodi dell’orologio sono ricordati nelle carte dell’ Archivio Civico. Così Johanni Todesco che nel 1574 ricevette dodici fiorini e mezzo “per aconzar una mola larga al horologio”, Giacomo Almer al quale il 15 aprile 1637 vennero corrisposti sette ducatoni d’argento “per haver reffatto et accomodato l’horologio …del tutto guasto et rovinato”, Giov.Ant. Primis che il 20 luglio 1669 per aver rifatto “due indici ò siano aguggie di ferro et quelle cuoprire di lottone”ricevette dodici ducatroni. Nel 1785 custode dell’ orologio era Giov. Battista Riva che per 85 lire annue doveva lubrificare il meccanismo “con olio di ulivo buono” e fornire “le corde opportune per li pesi e similmente tutte le ferramenta necesarie alla cassa dello stesso orologio”, per giungere al quale si doveva salire 160 scalini.
Il Laner, nel 1727, per incarico del Comune, provvide a sostituire il vecchio orologio con uno di sua fabbricazione che costò 600 lire. Altre 287 lire e 10 soldi vennero pagate a Carlo Martinetti per la costruzione della cella dell’orologio, nella spesa era compreso il compenso di dodici lire, tre soldi e quattro denari al pittore Pietro Eusebio Ferraris che dipinse “Le quattro mostre esistenti ai quattro lati della Torre”. Poco più di un secolo dopo essendo l’orologi fonte di continue lamentale “stante la sua vetustà e deterioramento “si tentò un curioso espediente così annunciato in un breve trafiletto di cronaca dell’8 agosto 1855: “…da alcuni giorni il suono delle ore si diffonde su Vercelli per mezzo di una suoneria della Vecchia Torre di città messa in moto dalla scintilla elettrica la quale parte da un orologio Moderatore stabilito nel Palazzo di città. Congratulazioni col sig. Angelo Balduzzi che pose così diligente opera nell’ attuazione della usoneria elettrica nella nostra città”.
Non conosciamo l’accoglienza fatta dal pubblico singolare esperimento sappiamo però che l’anno successivo l’orologio della Torre di Palazzo era ancora preso di mira per i suoi capricci “creavano incalcolabili sconcerti nei laboratori, negli uffizzi e nelle famiglie che regolavano su di esso la loro attività”. Il tempo era oramai considerato prezioso e frequenti apparivano sui giornali locali i richiami perché si provvedesse, tanto più che, ormaai, urgeva anche il restauro del quadrante che segna le ore, divenuto illeggibile”.
Le autorità non erano certe insensibili alle pubbliche lagnanze e da qualche anno, avevano deciso l’istallazione di un nuovo orologio erano solo incerte se sostituire anche una volta quello della Torre o cercare una nuova sistemazione. Come vedremo, la nuova sistemazione venne nel 1857 con la posa del nuovo orologio di piazza Cavour. Passò così in secondo piano quello della Torre Maggiore che , come si osservava nella seduta comunale del 28/2/1864 offriva solo “grandi sproporzioni” e non si riteneva opportuno perciò “L’erogare la somma occorrente alla surrogazione del suo meccanismo”.
L’orologio della Torre di Città doveva però godere di molte simpatie perché si tentò un ultimo mezzo per renderlo passabilmente efficiente. Venne fatto da un “un reputato fabbricante di orologi di Novara” le cui conclusioni furono lette nella seduta del Consiglio Comunale del 24/11/1867. Purtroppo, mentre il consiglio, ancora una volta prendeva atto dello stato di “malattia cronica”dell’orologio incriminato, il perito novarese solennemente dichiarò che l’orologio aveva un “meccanismo eccellente”! Malato cronico, dunque, ma con un organismo ( è il caos di dirlo) di ferro! Si giunse così al 1931, anno in cui vennero rinforzate le fondamenta per frenare la progressiva pendenza della torre, la cui derivazione dalla verticale aveva quasi raggiunto il metro; causa non ultima, a nostro avviso, se non la maggiore, del cattivo funzionamento dell’orologi che rimosso, non venne più sostituito. Oggi sulla torre non rimane neppure più traccia degli antichi quadranti.
Virginio Bussi 1968
NB.: da notare che ne frattempo però sono stati istallati sopra dei ripetitori.
(con ij soen ëd Comunità Nuova Piemontese/Comunità Neuva Piemontèisa Vërsèj)