APARTHEID IN PIEMONTE | I Piemontesi continuano a venire discriminati dal razzismo del Comune di Torino

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Probabilmente non sono neanche cattivi. Sono soltanto stupidi, non sanno dove vivono. Le segreterie dei loro partiti li hanno messi lì, e loro “fanno il loro lavoro”, ma sono dei corpi estranei.
Ricordiamo loro: Turin (in italiano “Torino”), città capitale del Piemonte, fondata – secondo Emanuele Thesauro – nel 1523 a.C., vale a dire tremilatrecentottantacinque anni prima che esistesse uno stato italiano. Città che parlava monoliticamente piemontese fino a pochi decenni or sono.
Poi arrivarono i civilizzatori. Fra le conseguenze, un Comune diventato semplice esecutore di ordini provenienti da migliaia di chilometri di distanza – e non ci riferiamo soltanto a Roma, ma anche alla Calabria – e oltre sei miliardi di debiti.
A questi esecutori il Piemonte e i Piemontesi danno fastidio, preferiscono disprezzarli e minimizzarne l’importanza con una risatina.

La settimana scorsa il Consiglio comunale ha respinto la proposta di tradurre anche in piemontese (gratis, vi avrebbe provveduto Gioventura Piemontèisa) le parti essenziali del sito internet istituzionale del Comune, visto che attualmente si presenta in tutte le lingue parlate in città, dal rumeno all’arabo, dall’albanese allo spagnolo. La proposta del consigliere Fabrizio Ricca è stata respinta con 19 voti contro 12 (contrari PD e SEL): il piemontese non lo vogliono proprio, neanche se glie lo tirano dietro. Come se a Turin non sia stato che un incidente di percorso. E, comunque, con altra mggioranza, non è che in Regione sia andata meglio.

Poi la non-risposta all’interpellanza del consigliere Vittorio Bertola, quella che si vede nel clip, buttata lì con ironia, distacco, sufficienza, sullo sfratto all’Associassion Piemontèisa. Altrove in tutta Europa a un’associazione attiva da oltre mezzo secolo (artefice della rinascita di tradizioni municipali, depositaria di un cospicuo materiale documentario e di una delle più importanti biblioteche specifiche sul Piemonte) si assegna una sede degna (un palazzo del Cinquecento opportunamente restaurato: accade a Genova) e adeguato sostegno. A Torino l’importanza del suo lavoro è tenuta in conto appena appena per evitare che la biblioteca venga buttata in mezzo alla strada dagli ufficiali giudiziari. Per il resto… in fondo c’è già chi è pronto a prenderne il posto e a proseguire il lavoro: un’altra associazione, magari più “amica”… 

Analoga situazione: lo sfratto a La Bela Rosin e soa Gent nel Circolo Beni Demaniali (ex-dipendenti della Corona) nel palazzo secentesco della Cavallerizza, che, con la solita scusa tipo “bagno che perde”, si vuole far sgomberare per regalare tutta l’area di comando (in pieno centro di Torino) alla solita immobiliare. La solita lercia speculazione che tutti sanno come andrà a finire. 
Tutto ciò mentre per Natale il Comune regalava quattro milioni ai soliti Regio e Stabile. Complimenti vivissimi per la sensibilità.

E complimenti anche a quegli idioti che hanno tempo da perdere a ridersi addosso con le “esclamazioni”, per i quali la nostra lingua non è che un pretesto per rendersi ridicoli. Il Comune di Torino rappresenta loro, ma non noi, che ci impegneremo a fondo per rimandarli a quel loro paese senza libri e senza identità.

25.2.2014

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