In margine all’ennesimo articolo che insulta i Piemontesi e la loro lingua:
Lettera aperta a “La Stampa”
Finito il periodo estivo, si spera che il dibattito sulla lingua piemontese possa trovare nuova linfa e più intelligenti argomenti.
È veramente triste notare che tutti gli interventi su “La Stampa” siano stati totalmente privi di supporti di dati, pure quelli di firme autorevoli: al massimo si sono limitati a riportare esperienze o giudizi personali che, per quanto interessanti, contano come i polli di Trilussa in statistica, o peggio, contano nulla in linguistica…
Rimanendo nell’ambito del piemontese, è doveroso avvertire che la grafia piemontese è stabile dal 1783, da quando il Medico Reale Maurizio Pipino pubblicò, con permesso dei Savoia, e a loro dedicati, la “Grammatica”, il “Vocabolario” e le “Poesie Piemontesi”. Seguirono nei secoli successivi, fino ad oggi, un alto numero di grammatiche e dizionari di livello, che è facile reperire ancor oggi. Dunque è sciocco dire che bisognerà trovare nei mercatini del sabato gli esperti in grafia di tale lingua… Per una lingua di proiezione mondiale (quinta al mondo) quale il portoghese abbiamo dovuto attendere lo scorso anno per avere una grafia unificata tra Portogallo e Brasile, mentre nel Portogallo stesso l’ultima grande riforma risale al 1910: ma nessuno si sogna di andare a dire a Lisbona che sono dei rozzi arretrati che dovrebbero andare alla Feira da Ladra (il Balon di Lisbona) per trovare un grammatico…
È veramente insultante invece, per la memoria di professori universitari come il canadese Gianrenzo Clivio o il torinese Giuliano Gasca Queirazza, recentemente scomparsi, e per l’onorabilità dei viventi, affermare che bisognerà nominare “Gianduia” quale professore di piemontese: gli studi sul piemontese sono antichi, solidi, strutturati, molto seri. Il piemontese è una delle poche lingue regionali in Italia (al pari dell’aulico genovese) che posseggano uno studio così profondo ed analitico. Non parlo di sardo o friulano, perché sono lingue già protette dalla legge (anche se chi oggi grida allo scandalo sui “dialetti” finge di non sapere che tali leggi esistono già, e che magari ha partecipato positivamente al voto…).
La produzione letteraria piemontese è stata ricca in quasi tutti i secoli a partire dal Mille: è anteriore sotto alcuni aspetti all’italiano, ed infatti non deriva dall’italiano, non ne è un suo dialetto, visto che molti definiscono il “dialetto” come una specie di corruzione della lingua italiana: quasi che l’italiano fosse nato puro, e poi gli ignoranti lo avessero imbastardito. Italiano (toscano) e piemontese sono due lingue neolatine, con sviluppo autonomo, che hanno poi saputo suscitare profonde influenze reciproche, sul territorio pedemontano, nei secoli successivi.
Non si può affermare che i piemontesi parlanti siano comunque pochi e sarebbe dunque la salvaguardia nulla più di una fatica di “retroguardia”: la statistica dell’IRES (Istituto Regionale di Ricerche Economiche e Sociali del 2007 – quaderno di Ricerca 113 “Le Lingue del Piemonte”) afferma che si tratta di oltre TRE milioni di parlanti sul territorio regionale, ovvero la prima minoranza linguistica in Europa… Se viene in testa di dire che sono dati falsati, bisogna avere il coraggio di dire lo stesso all’IRES quando parla di economia od occupazione…
Non si può dire: lasciamo tutto come prima (che bisogna tradurlo in “lasciamolo morire, magari avverrà fra qualche decennio, perché comunque ad ogni generazione diminuisce”…), ma bisogna inventare un sistema di difesa e diffusione, perché lo stesso fatto che la lingua piemontese sia appannaggio di un così alto numero di persone pone il problema linguistico piemontese quale il primo problema culturale della nostra Regione: non c’è nessun problema gestionale alla “Grinzane Cavour” che regga il confronto…
Infine, bisogna superare la distinzione “dialetto-lingua”, proprio perché in senso banalmente statistico-linguistico il piemontese è molto più differenziato dall’italiano di quanto non lo sia il catalano dallo spagnolo: eppure, abbiate il coraggio di dire “dialetto catalano” a Barcelona…
Non si può dire: non insegnamo il piemontese perché non sapremmo scegliere tra le varianti. Perché, forse un inglese può scegliere tra la variante scozzese e quella cockney di Londra? Chi sa l’inglese e abbia almeno vissuto le varie realtà locali della Gran Bretagna, sa che la Scozia, quando non parla in celtico, usa normalmente un inglese assai diverso da quello dei corsi scolastici… Venne scelto il “Queen (King) English”: magari falso per molti inglesi, ma ora universalmente riconosciuto. Così è e sarà per il piemontese scritto: sarà la Koinè (ovvero la variante aulica media con cui sono state scritte tutte le sue opere storiche a partire dal Settecento, comprensibile da tutti i piemontesi (soprattutto quando non si utilizzano lessici speciali legati alla produzione o modi di vita territorialmente caratterizzati), che coincide con la lingua parlata a corte e perciò dai letterati di prestigio che la frequentavano: ossia con le stesse modalità con cui è nato il francese, l’italiano-toscano, lo spagnolo, il portoghese… ognuno con le sue specifiche). Ed in ogni caso, se qualcuno vorrà legittimamente scegliere le varianti locali, perché impedirlo? È nell’ordine delle cose che, proprio per la diffusione dei testi scritti, non passerà molto tempo per ottenere una uniformizzazione spontanea.
Curiosità: avete mai notato che “piemontese” è l’unica definizione che utilizziamo per tutti i dialetti parlati in Piemonte, mentre con difficoltà (e con forzature) trovate identica definizione per “ligure”, “lombardo”, “campano”, ma trovate “genovese”, “milanese” o “bergamasco”, o “napoletano”? Semplicemente perché, seppure forse inespressa, alta è la consapevolezza dei parlanti di appartenere ad un unico ceppo linguistico.
Intelligenza ed onestà intellettuale vuole che, per un qualsiasi intervento di tutela, sia per trovare un motivo legittimo di impedimento alla diffusione di una parlata, sia per agevolare al contrario i difensori, si usino argomenti validi, repertori di dati, inchieste statistiche e sociologiche, non ricordi personali.
Siamo di fronte alla dignità di una parlata usata da mille anni, diffusa sul territorio: non vi togliereste il cappello, di fronte ad un dipinto di tale vetustà? In questo caso il dipinto è uno specchio, in cui noi tutti siamo raffigurati: sia per i piemontesi d’origine, sia per il più recente degli immigrati, l’orgoglio di potere affermare le radici di una patria di elezione dovrebbe fare la differenza tra mera residenza anagrafica e compartecipazione corale allo sviluppo di una società.
Mario Chiapetto
Presidente Associazione “Arrigo Frusta
– anformassion për ël piemontèis”
Gioventura Piemontèisa | Ann XVI Nùmer 3 | Luj dël 2009