Ieri è stata accompagnata al cimitero Margherita (la chiameremo così), una vecchietta di 85 anni di un piccolo paese del Monferrato, memoria storica della sua frazione (dove viveva da sola) e, en passant, informatrice di Gioventura Piemontèisa.
Margherita non parlava italiano. Era infatti una delle ultime madrelingua piemontofone totalmente monolingue sopravvissute: contadina, aveva vissuto integralmente e naturalmente la propria cultura per tutta la sua lunga vita, non allontanandosi mai dal suo paese. Nell’epoca di Instagram e dei viaggi low-cost si può ben dire che figure come la sua siano il segno di contraddizione per un mondo che ha perso sé stesso, che sarà anche tecnologicamente più avanzato, ma che è moralmente sempre più involuto e socialmente e umanamente sempre più in briciole.
Sarà per questo che persone come lei se ne vanno senza che quasi nessuno se ne accorga? Per il regime totalitario del giorno d’oggi esse non hanno alcun valore: è infatti molto più importante rimbambire il pubblico-consumatore mediante l’opera di saturazione delle menti con notizie insignificanti e frivole tramite la fabbrica delle menzogne e dell’alienazione che è il sistema dell’informazione mainstream.
L’essenziale è distrarre il popolo suddito impedendogli di pensare, in modo che, privato di qualsiasi capacità di astrazione e di giudizio e appiattito sui bisogni di base, non possa disturbare il manovratore.
Per ottenere ciò, quale miglior sistema, allora, che rovinare, alterare, impoverire, distorcere il linguaggio e, con esso, gli schemi di ragionamento, i gusti e i parametri di giudizio delle persone? Come riuscire meglio e più facilmente (e senza nemmeno che ce se ne accorga) nel formare mandrie di bestie parlanti?
Margherita aveva una capacità espressiva, una proprietà di linguaggio e una ricchezza lessicale d’altri tempi, che ormai si è persa. Così come sta morendo la sua (nostra) bella lingua piemontese.
Con lei se vanno tante parole nostre che non sentiremo più, anche perché qualcuno ha fatto tutto il possibile affinché svanissero e si venisse tutti uniformati all’italiano ultrasemplificato della Repubblica di Sanremo. Proprio come il cavallo Gondrano nella Fattoria degli Animali prima di essere portato al macello, perché ormai inutile, che ripeteva inconsapevole il manicheo refrain insegnatogli dai maiali-padroni: “quattro gambe buono, due gambe cattivo; quattro gambe buono, due gambe cattivo; quattro gambe buono, due gambe cattivo…”. E oltre non andava.
Si pensa in una lingua, e si pensa tanto di più e tanto meglio quante più parole si possiedono. Parlare una lingua diversa, diversissima da quella di Stato, poi, come faceva Margherita, significa vedere il mondo e interpretare la realtà con altri occhi e sotto una diversa prospettiva. E questo ai padroni del mondo non va bene. Lo stato di denutrizione spirituale e di deprivazione linguistica in cui ci hanno condotto dovrebbe preoccuparci molto di più dei totalitarismi del secolo scorso, perché questa condizione è propedeutica e necessaria per l’instaurazione di altri e di peggiori.
In questo senso Margherita, con la sua cultura, il suo linguaggio, la sua esistenza sottratta ai condizionamenti del mondo, ne era come naturalmente immunizzata.
È per questo, anche, che la perdita di Margherita è così tragica e così irreparabile.
I Piemontesi scompaiono: non trasmettono più la lingua ai loro figli e, per questa unica ragione, scivolano nel magma di una non-cultura premasticata e di un’identità fittizia, assimilati a un modello imposto con malcelata malignità da tutti gli organi di potere, da tutti i mezzi di informazione a loro asserviti, da una scuola criminale e ideologicamente votata al livellamento delle intelligenze sul gradino più basso.
Non si tratta di un fenomeno naturale; questo è un genocidio. In Piemonte, nell’Europa occidentale, c’è un popolo al quale sono negati perfino il nome, i propri simboli, il diritto di parlare come parla da almeno mille anni. C’è un popolo al quale è proibito — sotto minaccia di accuse infamanti o di derisione e marginalizzazione sociale — perfino potere riconoscere le proprie origini e la propria storia, avere dei riferimenti dietro di sé. Tutto ciò che sono realmente i Piemontesi è proibito.
Margherita è l’archetipo della saggezza delle nostre nonne, delle nostre donne, dei nostri padri che da un paio di generazioni sono costretti a “tradursi” e a parlare in una lingua straniera per cercare di fare comprendere il loro modo di concepire il mondo a dei nipoti che ogni giorno vengono loro strappati dalle braccia.
Margherita sono le radici di questa gente che oggi in gran parte è costretta a doversi occupare soltanto di evitare la miseria. Radici fieramente piemontesi che vengono sempre compatite: c’è sempre qualcosa di più importante, c’è sempre un distinguo, c’è sempre un “ma”, c’è sempre un sorrisino di commiserazione e di incoraggiamento da parte di chi potrebbe intervenire e non vuole farlo.
Ma si può evitare il compiersi del genocidio? Siamo convinti di sì, basta seguire l’esempio dei Catalani. Ma non si fa.
E noi dovremmo continuare ad accompagnare i nostri al camposanto senza porci delle domande e cercare delle soluzioni? Dovremmo illuderci di aspettare di diventare maggioranza assoluta per reagire, pur sapendo che hanno voluto renderci minoranza nella nostra terra? Dovremmo rassegnarci a sentire le “dichiarazioni” di presidenti e segretari su argomenti che ci sono totalmente estranei e mai avere la soddisfazione di sentire qualcuno che parla come nostra madre o che ragiona come la nostra gente? Mai una volta che, uscendo da scuola, nostro fratello, nostro figlio, nostro nipote ci parli di un qualcosa che abbia qualche legame con il nostro mondo?
Margherita del Monferrato va vendicata: per tutta la saggezza che non abbiamo potuto raccogliere dalle sue parole; per tutte le conoscenze e le esperienze di quei Piemontesi come lei che sono andate perse, perché noi eravamo impegnati a mettere assieme il pranzo con la cena; per ogni singolo momento che non abbiamo passato con i nostri perché dovevamo lavorare lontano da casa, perché qui non c’è più nulla da fare; per ogni antica canzone che non è stata registrata perché a scuola non ci hanno spiegato il suo valore; per ogni Piemontese perduto e diventato italiano perché non ha letto il libro che avremmo dovuto stampare, perché gli enti preposti dovevano invece finanziare amici, parenti, clienti e votanti.
Non ci stiamo a soffocare guardando la televisione fra grattacieli e parcheggi sotterranei, fra palazzine e ipermercati in un posto uguale a qualsiasi altro non-luogo al mondo dove nulla, ma proprio nulla, ci ricorda la musica delle parole che risuonavano nelle nostre famiglie.
Sulle spalle dei sopravvissuti alla follia “italiana” pesa tutta la nostra storia: non aspetteremo di crescere, non aspetteremo la legge elettorale né le elezioni, non aspetteremo le proposte di legge e gli ordini del giorno; non aspetteremo nemmeno voi che ci leggete, se ancora non sapete decidervi a scegliere fra il coraggio degli antichi Piemontesi e l’opportunismo degli italiani.
Saba 4 ëd Gené dël 2014