Dina e Franco Fiorini | Nostalgia… beh sì, un po’!

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28 luglio 1999, ore 2:00 del mattino. Lentamente Torino scivola via e l’automobile, dopo un po’ di chilometri, affronta le montagne della Val Susa.
È fatta… lasciamo una città che ho molto amato e che ha dato molte soddisfazioni al mio lavoro. Quanto è difficile scrivere sulla mia Torino, posso solo ricordare qualcosa della sua storia perché il suo futuro ormai non mi appartiene.
Una città che è stata capitale e che ha perso inesorabilmente ogni anno un pezzo di sé, devo parlare di una terra di frontiera, sempre invasa dal nemico, ma difesa strenuamente, fino al sacrificio della vita, dai suoi abitanti, ij bogia nen.
Dove è sparito questo spirito guerriero? Non si saranno mica estinti i Piemontesi? Non voglio crederlo.
Non potendo viaggiare con bauli pieni di libri, ho portato via i ricordi che avevo nel cuore, con la speranza, anzi la certezza, che se un giorno tornerò, questa città sarà migliorata.
Il Piemonte è una terra forte e dolce, con gente calma e fedele, ma sempre decisa nel difendere i propri diritti.
Una regione circondata dalle montagne, a quattromila metri le nevi e i ghiacciai brillano al sole; scendendo nelle valli, le campagne fertili, i laghi, le vecchie case ed i giardini accolgono il visitatore. Si apre una pianura che porta alla capitale, Torino. La città dei Savoia, la città dei miracoli, la città dell’automobile. Insomma, una grande città, che marcia fieramente e con coscienza verso il futuro.
Ricordo… i gelati di Pepino, quando mio padre mi accompagnava per premiare un bel voto. La gita in battello sul Po. La collina. La domenica si andava in gita in montagna ed ero particolarmente affezionata al Moncenisio, immerso in un silenzio rotto soltanto dal fischiare del vento e da qualche marmotta che si affacciava sulla strada, per nulla intimorita dal passaggio delle auto.
E non posso dimenticare le piole, quando non erano ancora locali alla moda: quella di strada Cartman, ad esempio, dove Luis non ti mandava mai via. Ad una certa ora chiudeva i battenti e lasciava dentro i ritardatari a strimpellare una chitarra fino al mattino.
Le feste, quando per le vie della città sfilavano lunghi cortei di personaggi in costume. Migliaia di giovani si incontravano con l’unico scopo di divertirsi.
La gente che veniva in libreria (la mitica Piemonte in Bancarella in corso Siccardi 4) con la voglia matta di conoscere Torino e il Piemonte. Il semplice piacere di sentirsi raccontare perché noi Piemontesi diciamo cerea per salutare o perché siamo chiamati ij bogia nen, la irresistibile curiosità di conoscere la storia di un palazzo, di una strada, di un monumento o di un personaggio.
Le chiacchiere con gli amici, che entravano con l’intenzione di salutarci velocemente e si fermavano invece delle ore a parlare di tutto: si partiva dal commento delle notizie sul giornale e si arrivava al libro che stavano scrivendo o che avrebbero voluto scrivere, senza dimenticare un excursus sul piacere e la difficoltà di vivere a Torino.
Piemonte in Bancarella, la mia vita, è oggi condotta da persone giovani, una generazione con nuove idee e contenuti: ogni volta che esce un loro libro, ringiovanisco di dieci anni.
Oggi vivo in un paese dove la cultura e la lingua locale sono alla base degli studi: lo spagnolo, lingua nazionale, è considerata quasi una lingua straniera e tutti, dai bambini agli anziani, parlano il catalano (per alcuni versi molto simile al piemontese). L’apoteosi delle radici culturali. Un paese che farebbe felice Camillo Brero, il “vate” piemontese moderno.
Nostalgia…
beh sì, un po’…

Dina e Franco Fiorini
da «La Memòria dël temp 2013»

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