Opzione zero per la lingua piemontese
Fra maggio e ottobre 2005 sono state presentate in Regione tre proposte per sostituire la legge regionale vigente a tutela delle lingue storiche (la n. 26/90): tutte e tre perfettamente uguali, nate da un semplice “copia-incolla”: una solo per chi parla piemontese, la secon-da solo per i Walser e la terza per tutti salvo per chi parla piemontese. Ròbe dròle che nascono dagli accordi volti alla spartizione del consenso: a te i voti di quella minoranza, a me di quell’altra… “giochetti” che i politicanti fanno sulla pelle e sull’avvenire della nostra identità…
Ma tre zoppi non fanno un atleta: nessuna delle proposte aveva le carte in regola per venire ricordata nei testi di giurisprudenza: erano soltanto maldestre ed affrettate riscritture “parziali” che induceva-no al sospetto che si aspirasse soltanto ad appropriarsi della paternità della legge per ragioni elettorali.
Un testo unificato di queste e di altre proposte in materia (chissà perché tutta questa fretta di cambiare una legge che sarebbe bastato applicare correttamente) è poi stato sottoscritto da Consiglieri di un po’ tutti i partiti; da questo testo era sparita del tutto la tutela della lingua piemontese, per un’errata (?) interpretazione della legge dello Stato – per questo e per il fatto di essere stata firmata un po’ da tutti, definiremo questa proposta “proposta dei partiti”. Ci sono quindi voluti ben due anni di discussioni sulla scoperta dell’acqua calda solo per prendere atto di non potere ulteriormente discriminare la lingua più parlata in Piemonte; tutto ciò nell’ambito di una proposta di legge che, tuttavia, rappresenta un netto regresso rispetto alla legge in vigore: la “proposta dei partiti” toglie, invece di aggiungere.
Cui prodest? Perché questo? A nostro avviso (ma c’è più di una ragione per sospettare che non pren-diamo un abbaglio) per il semplice motivo che si stava finalmente cominciando a raccogliere i frutti di un lavoro pluriennale sul territorio che aveva dato parziale applicazione alla legge 26/90 (corsi di lingua per adulti, corsi per le scuole, editoria…) e che ha portato ad un sensibile e reale aumento della coscienza linguistica in Piemonte. In altre parole, la minoranza linguistica piemontese – che esiste, che non è un’astrazione e che non è formata da minuscole comunità che non danno fastidio a nessuno – sta finalmente prendendo coscienza, almeno in parte, dell’importanza della propria lingua per progettare il proprio futuro.
Purtroppo, una volta di più, chi ci dovrebbe rappresentare ha va-lutato come la presenza di una minoranza così consistente come quella piemontese possa potenzialmente portare allo sviluppo di rivendicazioni di ampio respiro (come, ad esempio, in Catalunya o anche in Südtirol) che le forze politiche attuali non vogliono assolutamente assecondare.
A ben vedere non c’è niente di nuovo sotto il sole: già nel 1999, mentre stava per essere approvata la legge dello Stato n. 482 a tutela di tutte le minoranze linguistiche della Repubblica salvo quella piemontese, buona parte dei parlamentari eletti in Piemonte votò contro una proposta che invece prevedeva anche la tutela per la nostra lingua.
Lo stesso accadde nel 2005, quando venne approvato il nuovo Statuto della Regione Piemonte: in quell’occasione proponemmo di citare espressamente la lingua piemontese all’articolo 5 (sull’esempio del Veneto, del Friuli, della Sardegna…) ma si volle nascondere la polvere sotto il tappeto e mascherare la lingua piemontese con la solita insignificante circonlocuzione “patrimonio linguistico”.
In tutto questo è importante capire il ruolo che giocano certe forze politiche, che pretenderebbero di detenere il monopolio della difesa della lingua piemontese all’unico scopo di pescare voti fra i tre milioni di piemontofoni. In realtà costoro esplicano la funzione di “sindacato giallo”, vale a dire quella di convogliare le simpatie – anche elettorali – che suscita il risveglio dell’identità piemontese, neutralizzandone qualsiasi sbocco pratico, essendosi già messi d’accordo sottobanco con le altre forze politiche per depotenziare le proposte che emergono e togliere ogni prospettiva di sviluppo alla crescita identitaria. Non è un caso che ogni qualvolta si era lì lì per compiere un passo avanti a livello legislativo nella promozione della lingua piemontese proprio questi siano invece stati sempre determinanti per far fallire ogni possibilità, sostituendo poi roboanti dichiarazioni ai giornali ai fatti concreti (miseri e inconsistenti) e facendo passare il bianco per il nero.
Per tornare al punto, Gioventura Piemontèisa, dopo avere organizzato un incontro pubblico con i Consiglieri regionali, nel marzo del 2006, per denunciare il pericolo che correva la legislazione in vigore, ha quindi promosso la pre-sentazione di un progetto di legge alternativo.
Non essendo legata ad alcun partito, Gioventura Piemontèisa ha lavorato di concerto e in sintonia con un gruppo di Sindaci, che il 24.1.2008 ha depositato in Regione la Proposta di legge regionale degli Enti locali n. 527 «Tutela, valorizzazione e promozione della conoscenza e dello sviluppo delle lingue storiche del Piemonte».
A tutt’oggi essa ha raccolto l’adesione di 183 Comuni, rappresentanti oltre 430.000 cittadini. La proposta si rifà alle esperienze legislative di Regioni che si sono già dotate di una propria politica linguistica (Sardegna, Friuli…).
È una proposta avanzata, innovativa per il Piemonte, percorribile, di respiro europeo, direttamente ispirata a realtà nelle quali leggi del genere hanno portato a risultati tangibili. Essa nomina in manera esplicita le minoranze linguistiche del Piemonte, e fa perno su una programmazione pluriennale dell’Ente Regione, che si doterebbe così di una propria politica linguistica, conducendo in prima per-sona le azioni indispensabili per invertire il trend negativo relativo al numero dei parlanti le quattro lingue minoritarie del Piemonte. In particolare si prevedono azioni organiche nell’ambito dell’istruzione, della comunicazione sociale, delle produzioni legate al territorio e della toponomastica, tutti settori – chiave per sostenere la rinascita di una qualunque lingua (e che hanno rappresentato dei punti di partenza per molte regioni europee).
La politica regionale, avendo però capito che tale proposta potrebbe risultare pericolosa nell’ambito di una prassi consolidata basata sui contributi a pioggia e di risultare “troppo operativa”, rischiando in breve tempo di favorire situazioni in cui si verifichi una crescita spontanea (e difficilmente controllobile) della coscienza linguitsica, le ha contrapposto un miserello “testo unificato” delle diverse ed eterogenee proposte di legge presentate in materia: la “proposta dei partiti”, appunto.
Strattonando i Regolamenti fino ad arrampicarsi sugli specchi di palazzo Lascaris, i partiti – in sede di Commissione cultura – hanno cercato dapprima di nascondere la nostra proposta, poi di bollarla come inapplicabile, quindi di liquidarla come superata, di def inirla “una tegola” e, a tutt’oggi (nonostante la legge preveda molto chiaramente l’obbligo di discutere una qualsiasi proposta di legge di iniziativa degli Enti locali entro 90 giorni da quando viene depositata) non è ancora in calendario.
Se democraticamente fosse portata alla discussione in Aula il Consiglio sarebbe obbligato ad esprimersi e ad assumersi di conseguenza le proprie responsabilità politiche. Magari inscenando il solito teatrino dove il gruppo X vota a favore, quello Y contro, quello Z si divide un po’ a favore e un po’ contro, il tutto avendo già preventivamente contato i voti necessari per bocciarla; la legge non passa ed ognuno porta a casa i suoi elettori: X quelli che erano d’accordo, Y i contrari e Z, che è un grande partito, un po’ di tutto, giocando “al buono e il cattivo”.
Basterebbe che un solo Consigliere ne chiedesse la discussione (il Sindaco capofila li ha informati tutti) e ne vedremmo delle belle.
(Gioventura Piemontèisa, N. 1, gené 2009)