Mercoledi 20 novembre l’audizione della VI commissione del Consiglio Regionale con le associazioni ha fotografato, purtroppo, la desolante situazione della “politica linguistica” della Regione e del generale livello di coscienza (o di incoscienza) fra gli operatori che dovrebbero occuparsi di promozione delle lingue e dell’identità del Piemonte.
L’audizione (comunque utilissima) si è svolta in seguito alla presentazione di tre disegni di legge regionale (ormai tutti e tre “datati”, per iniziativa rispettivamente dei conss. Gregorio, Motta, Taricco) volti a rappezzare i gravissimi danni causati dall’abolizione della vecchia Legge 26/90-37/97 sulla tutela e promozione delle lingue del Piemonte [► qui tutta la cronistoria].
La sostituzione di tale legge (che peraltro era ancora largamente inapplicata) con un provvedimento strumentale e dal sapore elettoralistico (l’attuale L.R. 11/09, contro la quale la sola Gioventura Piemontèisa si oppose attivamente anche dopo la sua approvazione) portò la Regione Piemonte, allora all’avanguardia in materia fra le Regioni a statuto ordinario, agli ultimi posti in quanto a sensibilità verso il valore delle lingue minoritarie. Obiettivo raggiunto, per qualcuno.
L’Ente non seppe nemmeno reagire alla ► censura discriminatoria della corte costituzionale che colpì scientemente e in maniera mirata la sola lingua piemontese, vietandole qualsiasi utilizzo fuori dall’ambito meramente culturale e stilando una classifica di valore fra le lingue del Piemonte di franca marca totalitaria.
Ciò che è avvenuto a Torino a Palazzo Lascaris in audizione ha dell’incredibile: presenze e interventi di soggetti che o non avevano capito perché ci si trovasse lì o in visita per perseguire tutt’altro obiettivo.
Di fronte a quanto si sta attuando per le lingue e le identità in Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Trentino, Südtirol (per non parlare del resto dell’Europa, Francia compresa), sentire per due ore in un consesso che dovrebbe rappresentare i massimi livelli della pianificazione linguistica piemontese affermazioni di così basso livello di coscienza lascia sgomenti. C’è chi si smarca dal Piemonte perché non parla propriamente il puro torinese, chi arriva dalle valli a spiegarci come parlano a Ovada, chi disquisisce sul “gattinarese” o il “sabaudo”, su dove finisca una variante e ne incominci un’altra… e non una parola sull’istruzione, sui media, sulla toponomastica.
L’utilizzo della lingua piemontese (in tutte le sue varianti – così facciamo contenti i campanili) è in crollo verticale, l’occitano (o provenzale che dir si voglia), il tittsch e il francoprovenzale (o franco-provenzale o arpitano che dir si voglia) stanno oramai boccheggiando fra le ultime raccolte lessicali, ma si continua a spaccare il capello in quattro con vecchie ideologie, nuovi confini interni, nuove divisioni, vecchie rivalità di paese. C’è addirittura ancora chi persegue nel propugnare una mai esistita e inesistente contrapposizione fra le lingue del Piemonte, fra continue invasioni di campo e padrinaggi politici per assicurarsi finanziamenti che, si è visto, non hanno portato a nulla.
Uno spettacolo sconfortante dal quale sono emersi solo pochi interventi significativi (che abbiamo registrato e che abbiamo intenzione di farvi ascoltare) in un mare di disinteresse, di sufficienza, di pressapochismo e anche, a tratti, di malafede, proprio da parte di chi queste nostre bellissime lingue le dovrebbe difendere. Sembrava di essere tornati all’abdicazione del 1979 dopo le ripetute impugnative dei governi italiani contro le proposte di legge “Calsolaro” (che già prevedevano l’insegnamento scolastico delle lingue minoritarie). Questo mentre nei Grigioni si festeggiano i 50 anni della Televisione pubblica in romancio per i 40.000 locutori della quarta lingua nazionale svizzera, in Catalunya scendono in strada un milione e mezzo di persone e in Bretagna gli attivisti staccano la segnaletica monolingue in francese per buttarla in piazza davanti alle prefetture. E noi, dopo quarant’anni di battaglie, dovremmo girare nel bicchiere, fare le scarpe alle mosche e, magari, ancora ringraziare, facendo attenzione che Roma non ci bacchetti e ci dica come dobbiamo parlare e cosa non dobbiamo fare.
Gioventura Piemontèisa fa e farà la propria parte, ma esclusivamente in un contesto serio e con obiettivi chiari e definiti, di fronte a precise responsabilità che la Regione Piemonte ha il dovere di assumersi, in accordo con quanto prevede la Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie, e non i circoli di valle o di paese. E non si vengano a rimproverare le associazioni di non esprimere una volontà univoca, quando si è sempre fatto di tutto per contrapporle e allontanare la presa di consapevolezza del pericolo che ormai sovrasta le lingue del Piemonte. Da quando è stata impugnata l’ultima legge abbiamo perso almeno centomila parlanti (quattro volte gli abitanti svedesofoni delle Isole Åland) nella più totale indifferenza. Anzi, con colpevole complicità da parte di tutti. Adesso dovremmo ancora farci inchini e riverenze?
Il Piemonte è plurilingue (piemontese, francoprovenzale, occitano, walser – con tutte le loro varietà locali e con tutte le loro presunte varianti di denominazione) ed ogni varietà è riconducibile ad una di queste quattro. Ognuna di queste lingue ha la stessa dignità delle altre, e la stessa dignità della lingua di Stato. Non esistono confini netti fra queste lingue né fra le loro varietà e storicamente esse si sovrappongono venendo a formare aree plurilingui (il piemontese è parlato in tutto il Piemonte, anche nelle valli e fra le comunità walser). Queste sono realtà innegabili, sulle quali è possibile costruire un testo di legge decente (per quanto possibile, in questa situazione e in questo Stato), al quale Gioventura Piemontèisa può portare il proprio contributo. Qualsiasi reiterato tentativo malizioso di divisione o teso snaturare ulteriormente l’identità storica e linguistica del Piemonte troverà la nostra ferma, costante e presente opposizione in ogni sede, dentro o fuori dalle regole.
Sottoponiamo alla vostra attenzione alcuni fra i più significativi interventi.
L’audizione, gestita in maniera asettica e maldestra, si è svolta in un’atmosfera surreale caratterizzata dal continuo schermirsi del presidente e dal divieto assoluto di discutere, commentare, applaudire, fotografare, respirare.
Considerata la gravità della situazione e l’assoluta necessità di informare chi non era presente i nostri rappresentanti non hanno tenuto in nessun conto tali divieti.
Albina Malerba (Ca dë Studi Piemontèis)
Albina Malerba – Audission Consej Regional 20.11.2013
Giovanni Ronco (Università di Torino)
Giovanni Ronco – Audission Consej Regional 20.11.2013
Censin Pich (Union Associassion Piemontèise ant ël Mond)
Censin Pich – Audission Consej Regional 20.11.2013
Carlo Comoli (Gioventura Piemontèisa)
Carlo Comoli – Audission Consej Regional 20.11.2013
Il comunicato ufficiale:
Torino, 20.10.2013
Legge sul patrimonio linguistico piemontese
Gregorio e Marinello (LNP): “Svolte le consultazioni con contributi molto positivi di associazioni ed enti. Ora al lavoro per portare presto il testo definitivo in Consiglio regionale”
La Sesta Commissione regionale guidata dal leghista Michele Marinello ha effettuato stamattina le audizioni di associazioni, università, soggetti portatori di interesse in riferimento all’iter di approvazione dei progetti di legge sul patrimonio linguistico piemontese.
La proposta normativa della Lega Nord, primo firmatario il Consigliere regionale Federico Gregorio, compie così un nuovo passo avanti verso una rapida approvazione per approdare poi in aula di Consiglio regionale per il voto definitivo.
“Quella di oggi è stata una riunione molto importante nella quale si sono susseguiti diversi interventi di grandissimo spessore proposti dalle associazioni e dalle realtà presenti – hanno detto i due esponenti leghisti Marinello e Gregorio. Crediamo sia davvero positivo che vi sia un contributo alla commissione così partecipato, che ci permetterà di arrivare a un testo conclusivo della legge organico e condiviso. Ora crediamo che il lavoro possa proseguire celermente in modo da arrivare in tempi brevi ad una approvazione definitiva in Consiglio regionale. Per noi si tratta di un obbiettivo importante che non è figlio di una rivendicazione di parte, ma che rispecchia una precisa esigenza culturale di tutti i piemontesi”.
Il piemontese è parlato tutt’oggi da più di due milioni di persone, un dato che è stato certificato anche da una ricerca dell’Ires del 2007.