Censin Pich , Guiu Sobiela-Caanitz
IL PIEMONTESE NEL COMPLESSO ROMANZO
Il piemontese deriva dal latino come le altre lingue romanze, il catalano, il francese, l’italiano, lo spagnolo, etc.
Più di cent’anni or sono il grande studioso Ascoli (1829-1907), nella rivista da lui fondata sotto il nome di “Archivio glottologico italiano”, evidenziava alcuni gruppi di dialetti che, pur parlandosi in ltalia, si distaccavano dal sistema italiano vero e proprio (quaderno VIII, p. 103): non solo il ladino e il sardo, ma anche il gruppo formato dall’emiliano, dal ligure, dal lombardo e dal piemontese.
Ottocento anni di tradizione letteraria hanno fatto del piemontese una lingua comune al di sopra dei diversi dialetti, che può servire da Lissandria a Susa e da Casal a Coni.
Un confronto con il catalano, il francese e l’italiano mostra che il piemontese si trova nel bel mezzo di queste tre lingue, e che le differenze che lo distinguono rispetto ad esse valgono quelle tra il catalano e lo spagnolo – e nessun linguista pone in dubbio l’indipendenza del catalano dallo spagnolo.
Raccogliamo l’essenziale di ciò che fa l’identità del piemontese:
1. Non solo le due classi di vocali dell’italiano e dello spagnolo, ma anche quelle intermedie (ë, eu, u).
2. Nelle parole piane del latino popolare, caduta delle vocali finali maschili (sol, pien, verd, nèir, etc.), conservate al contrario in italiano.
3. In parecchi casi, come “it l’has”, “it faras”; vnisìes-to”, persistenza della s finale latina, sempre scomparsa in italiano.
4. Sonorizzazione delle sorde latine tra due voali; luva (da lupa), roa (da rota), urtija (da urtica), reusa (da rosa).
5. Trasformazione dei gruppi iniziali latini cl (ciav), gl (giassa), pl (pieuva), bl (biava), fl (fior), non toccati in catalano e in francese.
6. Trasformazioni simili del gruppo latino ct tra vocali (cheuit, fàit, làit, neuit).
7. Due specie di plurali nominali: con l’articolo e la desinenza (la fija, le fije), e solo con l’articolo (ël gat, ij gat).
8. Pronome personale accentato della prima e seconda persona del singolare (mi, ti) formato come in francese (moi, toi) e non come in catalano e in italiano.
9. Prima e seconda persona del singolare e del plurale sempre usata come pronome personale soggetto (i vëddo, i mange), eccezion fatta per l’imperativo (mangia).
10. Eram, eras, etc., imperfetto indicativo del verbo latino esse, perso nel francese moderno, ma vivo sempre in piemontese.
11. Passato del verbo esse coniugato con esse (i son ëstàit), in contrasto con il catalano e il francese.
12. Negazione dopo il verbo (i parlo nen), come nel francese parlato.
Certi studiosi sono così radicati nel nazionalismo italiano di vecchio stampo da non voler riconoscere la personalità tanto evidente della lingua piemontese. Passato e presente del Piemont non aiutano quegli studiosi ad aprire gli occhi: certa classe dirigente piemontese, purtroppo, si è fatta agente di quel nazionalismo e la maggioranza dei piemontesi non dimostra di tenere nel giusto conto la propria lingua, declassandola per ignoranza al rango di dialetto.
Nell’attesa di ricuperare tante coscienze assopite, disinformate o male informate, il piemontese si presenta comunque come:
a) una delle diverse lingue romanze,
b) una delle diverse lingue d’Italia,
c) una porta verso tre lingue mondiali, il francese,lo spagnolo e il portoghese.
LA LETTERATURA
Il primo documento letterario piemontese sono i Sermones subalpini, 22 prediche del sec. XII, il cui originale e conservato alla Biblioteca nazionale di Turin.
Altre testimonianze dei secoli più lontani sono: “Il detto del Re e della Regina” e i Proverbi di tal frate Columba da Vinchio (sec. XIII), gli Statuti dell’Ospizio della Società di S. Giorgio del popolo di Chieri (1321), lettere o parlamenti del sec. XIII o XlV, laudi sacre e preghiere dal sec. XIV in poi; la Canzone per la presa di Pancalé (1410), La Sentenza di Rivàuta (1446), etc.
Il primo esempio di teatro profano in piemontese ce lo offrono le farse di Gian Giorgio Allione d’Asti (in piem. Ast), scritte attorno aI 1490 e pubblicate nel 1521 nell’Opera iocunda No. D. Johannis Georgij Allioni Astensis Metro Macharonico Materno et Gallico composita.
Nel ‘500 e nel ‘600 vi sono delle commedie pastorali con alcune parti in piemontese. Lo stesso duca Carlo Emanuele I si dilettava a scrivere in questa lingua e ciò nonostane il padre, Emanuele Filiberto, nel progetto di restaurazione dello Stato sabaudo avesse scelto per il Piemonte come lingua ufficiale il volgare italiano. Il piemontese rimaneva comunque la lingua d’uso comune di tutte le classi sociali, fino alla Corte.
È del ‘600 il Cont Piolet, commedia di Carlo Gian Battista Tana, marchese di Entraque, che nel nostro secolo, dopo essere stata a lungo misconosciuta, avrebbe destato l’ammirazione di Benedetto Croce.
Sono pure del ‘600 i Freschi della villa, quattro ricche composizioni anonime trovate nel 1968 da Amedeo Clivio alla Biblioteca Reale di Torino. Appartengono al genere dei tòni, letteratura satirica popolare i cui inizi si fanno risalire al ‘500.
È nel 700 che la canzone popolare, non di rado di origine più antica, si dà quelle forme poetiche e musicali che oggi conosciamo e apprezziamo grazie alle ricerche di Leone Sinigaglia, Costantino Nigra, Alfredo Nicola e di altri studiosi e appassionati del patrimonio musicale popolare piemontese.
Ma il ‘700 e soprattutto il secolo dove giunge a perfezione la coscienza della nazione piemontese e dove le lettere piemontesi realizzano la loro prima grande stagione.
Ricordiamo l’Arpa discordata, ispirata dall’assedio di Torino del 1706, le canzoni satiriche di padre lgnazio Isler, uno dei grandi della letteratura piemontese (1702-1788), le poesie di V.A. Borrelli, S. Balbis, Ventura Cartiermetre, che avverte l’avvicinarsi del turbine rivoluzionario, G. Cacherano e S. Incisa, e la prima grammatica piemontese, opera del cuneese Maurizio Pipino.
Nel 1773 nasce a Turin Edoardo Ignacio Calvo che, malgrado muoia ad appena 31 anni, offre con le Fàule moraj la più alta espressione della poesia civile della nazione piemontese, ma anche uno degli esempi di poesia di questo genere tra i più grandi che si siano mai scritti in tutte le letterature.
L’800 vede tutta una fioritura di scrittori in piemontese. Tra i poeti menzioniamo solo i più grandi, Angelo Brofferio e Norberto Rosa. Ma eccellente è anche il teatro, con i vari Bersezio, Garelli, Pietracqua, Zoppis, Carrera, Baretti, Leoni, etc.
Da notare, negli ultimi decenni del secolo, la popolarità del giornale «Ël Birichin» e l’abbondante produzione in prosa, nella quale eccelle per qualità Alfonso Ferrero, anche poeta profondo e originale.
Nel ‘900 Ia letteratura in lingua piemontese non è da meno che nel secolo precedente. Parecchi gli autori di valore: i poeti Nino Costa e Pinin Pacòt, i prosatori Nino Autelli e Arrigo Frusta, ormai scomparsi, ma il cui esempio rimane vivo fra le nuove generazioni. La Companìa dij Brandé, la più attiva tra le associazioni di scrittori piemontesi che mai si siano formate, fondata nel 1927 da Pacòt, Oreste Gallina e Alfredo Formica, rappresenta ancora oggi il gruppo più vivo e stimolante della cultura letteraria e non solo letteraria del Piemonte. Agli autori già citati vanno aggiunti per eccellenza di produzione Armando Mottura, Alfredo Nicola, Luigi Olivero, Camillo Brero, Tavo Burat, barba Toni (Antonio Bodrero), Dumini Badalin. Ma anche la presenza femminile, con Carlottina Rocco, Elisa Vanoni Castagneri, Anita Giraudi, Bianca Dorato e altre scrittrici, si rivela molto sostanziosa e originale. E, proprio negli ultimi anni, scrittori giovanissimi testimoniano della vitalità di una letteratura che rappresenta tuttora uno degli elementi più efficaci di salvezza di una lingua per molti versi seriamente minacciata.
IL PIEMONTESE: QUANTI LO PARLANO?
La lingua piemontese mostra una notevole unità morfologica, fonologica e sintattica, nonostante le differenze locali che sono soprattutto di pronuncia (fonologiche); sotto questo aspetto gli studiosi distinguono un’area torinese o di piemontese comune (direttrice Turin-Coni, ma tipo di piemontese ben noto anche nel resto della Regione, usato come seconda lingua dalle popolazioni “patoisantes” e con all’attivo una tradizione letteraria antica e ovunque diffusa), un’area canavesana, fortemente conservativa, un’area monferrino-langarola e un’area valsesiana. Il Novarese puo essere considerato nel suo complesso zona di transizione fra piemontese e lombardo, ma con forti connotazioni di quest’ultimo. Infine, a influssi liguri in alcuni Comuni del Piemont meridionale si contrappongono dilatazioni dell’area linguistica piemontese nella Regione Liguria e soprattutto nel Savonese.
La valutazione dei parlanti piemontese nel mondo non è agevole, ma vi sono stime, come quelle segnalate nel 1984 al Consiglio d’Europa, Conferenza permanente dei poteri locali e regionali, che li fanno oscillare dai 4 milioni ai 5 milioni e mezzo, di cui 3 milioni nella Regione Piemonte. La stima prudente dei 4 milioni complessivi ne calcola inoltre 20.000 nella Valle D’Aosta, 300.000 nelle altre Regioni italiane, 100.000 negli altri paesi europei, con prevalenza della Francia, e gli altri nel resto del mondo e particolarmente in Argentina. Siamo tuttavia del parere che questa valutazione dei parlanti fuori del territorio della Repubblica italiana sia inferiore all’effettiva consistenza del fenomeno.
Da notare che la comunità piemontesi sia nella Regione che soprattutto fuori di essa non di rado sono organizzate in Famije o in associazioni similari, con intenti di mantenimento della cultura e delle tradizioni di origine. Le più numerose sono sorte nella lontanissima Argentina, ove vive la parte più cospicua dell’emigrazione piemontese nel mondo (la Francia, da questo punto di vista, si trova al secondo posto). Esistono inoltre associazioni sorte per il coordinamento delle attività degli emigrati piemontesi; L’Union Associassion piemontèise ant ël mond e l’Associazione piemontesi nel mondo.
LIVELLI DI USO DELLA LINGUA PIEMONTESE
ll piemontese presenta una molteplicità di usi:
a) è parlato nella cerchia familiare e delle amicizie, all’interno delle comunità locali, ma anche più in generale tra i residenti nei confini regionali e nei rapporti con altre regioni più affini sotto l’aspetto linguistico e culturale;
b) è scritto secondo un sistema di grafia formatosi nei secoli addietro e sempre più perfezionato, ed è pubblicato da parecchi secoli;
c) è usato nel canto popolare e nel folclore;
d) puo essere usato nei consessi culturali;
e) è entrato nella scuola, ma finora solo grazie all’iniziativa sporadica di insegnanti, di volontari e di singole strutture pubbliche e private;
f) è usato saltuariamente nella liturgia, avvalendosi di traduzioni del passato e del presente, ma non ha incontrato finora la comprensione delle massime autorità ecclesiastiche regionali;
h) gode di simpatie, di attenzioni e di consensi in ambienti della cultura europea ed è noto nell’ambito degli organismi politici europei, Consiglio d Europa e Parlamento europeo;
i) è in attesa di una protezione legislativa regionale e statale, il cui iter di realizzazione si presenta lungo e difficile;
l) è ampiamente diffuso fra gli emigrati piemontesi nel mondo, nonostante manchi un’assistenza sistematica da parte della Regione Piemonte.
DINAMICA ATTUALE DELLA LINGUA
Se la situazione linguistica del Piemont di oggi la si paragona a quella di vent’anni fa, allorché la Compania dij Brandé diede inizio alle “Feste del Piemont” (1968), anche in mancanza di statistiche sufficientemente ampie, si deve purtroppo concludere che il numero dei parlanti si è ridotto. E ciò nonostante la crescita organizzativa e editoriale della cultura piemontese e l’approntamento di nuovi mezzi di informazione culturale. La verità è che, se nella borghesia cittadina c’è forse qualche piemontofono in più e una conoscenza/coscienza più attenta, persino tra le masnà delle campagne, ma in una misura assai più generalizzata tra i fanciulli di genitori addetti all’industria o al terziario, l’abbandono della lingua tradizionale è divenuto, in questi ultimi anni, regola molto più che eccezione.
Quali le ragioni di questo calo finora senza segni di rallentamento e meno ancora di inversione?
Valgono non solo per il Piemonte o per l’Italia e sono legate al sistema scolastico uniformato all’insegnamento della sola lingua ufficiale, alla dipendenza dai programmi televisivi, quasi mai in lingua regionale, alla ricerca del successo e dell’affermazione sociale, che si ritengono lontani dalle lingue meno usate e meno considerate, allo sradicarsi dei valori delle piccole comunità, della famiglia e persino individuali e, non ultimo, dal falso concetto che le forme d’unione internazionale, come può essere la stessa Europa, esigono l’abbandono delle espressioni linguistiche minori a vantaggio di un codice sempre più uniforme per tutti. Proprio il contrario di ciò che affermava a Strasburgo J. Winther, vicepresidente della CPLRE, nell’assemblea del 15/5/84 per le lingue regionali e minoritarie dei paesi del Consiglio d’Europa: “Le lingue regionali e minoritarie sono un’eredità culturale da tenersi nel massimo conto, una testimonianza assolutamente irripetibile”.
Concludiamo, richiamandoci al discorso che Renzo Gandolfo ebbe a pronunciare il 31 maggio 1984 al Circolo della stampa di Turin e secondo cui, tra le regioni italiane, non ve ne è alcuna che possa definirsi nazione come il Piemont: per unità di storia materiale, pur nel variare della geografia fisica e delle tipologie umane; per unità, soprattutto dal ‘500, di storia politica e militare e per quel principio cosi radicato del “goerné” e del “goernesse” (governare e governarsi o anche conservarsi), senza mai cedere all’irrazionale, ma proprio mantenendo una giusta misura tra la parte fantastica, originale e irrazionale di ciascuno e il richiamo sociale che conduce al geometrico e al razionale; per unità di lingua.
Secondo Gandolfo, occorre dunque riprendere conoscenza e coscienza del patrimonio civile della nostra tradizione, sentendone l’actuositas. Solo così il Piemont potrà salvarsi, ma, per farlo, dovrà per prima cosa ritornare al rispetto e all’amore della propria lingua.
Ma il Piemont – ci chiediamo – potrà giungere a tanto da solo, o non sarà necessario, e non unicamente per il Piemont, che si addivenga ad un quadro politico e culturale, statale ed europeo, meno ostile alle lingue regionali e minoritarie, senza privilegi e senza discriminazioni di sorta? E, dal verificarsi o meno di tale circonstanza, che purtroppo non vediamo né prossima né facile, dipende a nostro giudizio l’avvenire del piemontese e delle altre lingue minori (minori non per dignità, ma per numero di parlanti).
Turin, gené 1987
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