Dopo l’approvazione della Legge 15 Dicembre 1999 n. 482 è finalmente entrata nella prassi normativa e nella coscienza degli Italiani la necessità della tutela delle lingue regionali e minoritarie. Questo risolve un problema da gran tempo sentito da coloro che parlano usualmente una lingua diversa dall’italiano. Tuttavia l’approvazione di questa Legge ha lasciato irrisolte molte questioni di fondo, fra le quali quella inerente l’individuazione delle lingue da tutelare, lasciando spazio a possibili discriminazioni fra le culture storicamente presenti sul territorio della Repubblica. La suddetta Legge intende intraprendere un percorso di attuazione della Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie, approvata il 5 Novembre 1992, sottoscritta dall’Italia il 27 Giugno 2000 e attualmente non ancora ratificata.
La Regione Piemonte ha cominciato a interessarsi al problema delle lingue storiche insistenti sul proprio territorio – allora definite genericamente “patrimonio linguistico” – a partire dal lontano 1972; le prime proposte portarono all’ap-provazione della Legge Regionale n. 30/79, successivamente sostituita dalla L.R. 26/90 – a sua volta modificata e integrata dalla L.R. 37/97 – attualmente in vigore. L’approvazione della Carta Euro-pea delle Lingue Regionali e Minoritarie (Trattato Europeo n. 148 del 2.X.1992 del Consiglio d’Europa) ha inevitabilmente reso in molti tratti superata la L.R. 26/90, le cui carenze si sono manifesta-te soprattutto nell’àmbito della programmazione e dell’individuazione degli obiettivi; ciò, unito alla scarsità di finanziamenti adeguati – se paragonati a quelli di altre Regioni nello stesso àmbito – ha condotto a risultati parziali, seppure apprezzabili. Negli ultimi tempi sono state avanzate numerose proposte di modifica alla L.R. 26/90; quella che qui si presenta mira ad essere un testo organico che faccia tesoro di quanto già realizzato con pieno successo in altre realtà e che recepisca l’evoluzione della sensibilità nei confronti delle lingue regionali e minoritarie che si è avuta dal 1990 ad oggi.
La definizione di queste lingue la si trova nella già citata Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie: «Per “lingue regionali o minoritarie” si intendono le lingue: i) usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di detto Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato; e ii) diverse dalla(e) lingua(e) ufficiale(i) di detto Stato; questa espressione non include né i dialetti della(e) lingua(e) ufficiale(i) dello Stato né le lingue dei migranti». L’importanza delle lingue storiche è assai ben definita dalla stessa Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie; si cita testualmente dalla traduzione ufficiale della Cancelleria federale della Svizzera: «La protezione delle lingue regionali o minoritarie storiche dell’Europa, alcune delle quali rischiano di scomparire col passare del tempo, contribuisce a conservare e a sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturali dell’Europa».
«Il diritto di usare una lingua regionale o minoritaria nella vita privata e pubblica costituisce un diritto imprescrittibile, conformemente ai principi contenuti nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici delle Nazioni Unite e conformemente allo spirito della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d’Europa». «La tutela e il promovimento delle lingue regionali o minoritarie nei diversi Paesi e regioni d’Europa contribuiscono in modo considerevole a costruire un’Europa fondata sui principi della democrazia e della diversità culturale, nell’ambito della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale».
Il Piemonte ha il privilegio di accogliere da secoli sul proprio territorio ben quattro di queste espressioni linguistiche storiche e di cultura, situazione pressoché unica fra le regioni dell’Europa occidentale. La lingua piemontese è parlata quasi esclusivamente sul territorio regionale e su quasi tutta la sua estensione; la sua prima attestazione letteraria risale al XII Secolo, testimonianza di un codice linguistico già maturo ed elaborato, che verrà successivamente utilizzato in tutti i contesti, da quello giuridico a quello scientifico e letterario. Ingiustamente discriminato dalla Legge 482/99 il piemontese è tuttavia riconosciuto in àmbito internazionale; la Regione Piemonte, con l’Ordine del Giorno 1118 del 15 Dicembre 1999, ne ha riconosciuto lo status di “lingua regionale”. Nelle valli della provincia di Cuneo e nelle Valli Pellice, Chisone, Germanasca, e alta Susa si parla l’occitano (Lenga d’Òc) che, dopo il latino, è stata la prima grande lingua di cultura in Europa. Dalla Val Sangone alla Val Soana, passando per la bassa Valle di Susa, le Valli di Lanzo e la Valle Orco, si parla il francoprovenzale, la lingua storica, fra l’altro, della Savoia, della Valle d’Aosta e della Svizzera romanda. La lingua di insediamento più “recente” è quella dei Walser (il tittsch o tittschu, a seconda delle va-rianti), una popolazione di origine alemannica insediatasi intorno alle valli del Monte Rosa a partire dal XIII Secolo – fatto rimarchevole poiché rappresenta una continuità territoriale che unisce il Piemonte al mondo germanico. I Walser si esprimono in varietà linguistiche che costituiscono una fase arcaica del tedesco; sono inoltre portatori di una cultura originale ancora vitale malgrado l’esiguo numero di parlanti (e proprio per questo urge maggiormente una più incisiva azione di tutela). Queste quattro lingue sono oggi parlate e scritte sia in forma di koiné che sotto forma di varianti locali le quali, lungi dal rappresentare un elemento di frammentazione, ne costituiscono invece una ricchezza. Una più evidente “visibilità” della straordinaria ricchezza linguistica e culturale del Piemonte non potrà che avere una ricaduta positiva anche al di fuori dell’ambito specifico della cultura e valorizzerà ancor più le peculiarità di ogni singolo territorio e della regione nel suo complesso.
Non corrisponde a realtà il fatto che le Regioni non abbiano competenza in materia di attuazione dell’art. 6 della Costituzione; al contrario, nell’àmbito delle proprie competenze specifiche, gli Enti locali, nell’esercizio della propria autonomia, possono porre rimedio alle mancanze del legislatore nazionale. Ciò è chiaramente affermato: – dalla dottrina: cfr. Alessandro Pizzorusso, Il Pluralismo linguistico tra Stato nazionale e autonomie locali, Pacini editore, Pisa 1975, pp. 34-36 e p. 75; – dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 375 del 13-25 Luglio 1995: al punto 4 precisa che l’art. 6 della Costituzione, essendo un “principio fondamentale”, «impegna e autorizza la Repubblica, nelle sue varie articolazioni, ad emanare “apposite norme”, di carattere pertanto legislativo o regolamentare […] a tutela delle anzidette minoranze». La presente proposta di legge considera unicamente le lingue storiche parlate sul territorio amministrato dalla Regione Piemonte; la presenza di altre lingue quali, ad esempio, il francese e la lingua dei Sinti, è una realtà da prendere in considerazione; tuttavia, considerati i legami particolari ed irripetibili con il territorio che caratterizzano il piemontese, l’occitano, il franco-provenzale e il tittsch/tittschu, si ritiene che la risoluzione dell’eventuale problematica riferita ad altre lingue debba inevitabilmente essere rinviata a norme specifiche da elaborarsi con altri provvedimenti. […]
Dopo l’approvazione della Legge 15 Dicembre 1999 n. 482 è finalmente entrata nella prassi normativa e nella coscienza degli Italiani la necessità della tutela delle lingue regionali e minoritarie. Questo risolve un problema da gran tempo sentito da coloro che parlano usualmente una lingua diversa dall’italiano. Tuttavia l’approvazione di questa Legge ha lasciato irrisolte molte questioni di fondo, fra le quali quella inerente l’individuazione delle lingue da tutelare, lasciando spazio a possibili discriminazioni fra le culture storicamente presenti sul territorio della Repubblica. La suddetta Legge intende intraprendere un percorso di attuazione della Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie, approvata il 5 Novembre 1992, sottoscritta dall’Italia il 27 Giugno 2000 e attualmente non ancora ratificata.
La Regione Piemonte ha cominciato a interessarsi al problema delle lingue storiche insistenti sul proprio territorio – allora definite genericamente “patrimonio linguistico” – a partire dal lontano 1972; le prime proposte portarono all’ap-provazione della Legge Regionale n. 30/79, successivamente sostituita dalla L.R. 26/90 – a sua volta modificata e integrata dalla L.R. 37/97 – attualmente in vigore. L’approvazione della Carta Euro-pea delle Lingue Regionali e Minoritarie (Trattato Europeo n. 148 del 2.X.1992 del Consiglio d’Europa) ha inevitabilmente reso in molti tratti superata la L.R. 26/90, le cui carenze si sono manifesta-te soprattutto nell’àmbito della programmazione e dell’individuazione degli obiettivi; ciò, unito alla scarsità di finanziamenti adeguati – se paragonati a quelli di altre Regioni nello stesso àmbito – ha condotto a risultati parziali, seppure apprezzabili. Negli ultimi tempi sono state avanzate numerose proposte di modifica alla L.R. 26/90; quella che qui si presenta mira ad essere un testo organico che faccia tesoro di quanto già realizzato con pieno successo in altre realtà e che recepisca l’evoluzione della sensibilità nei confronti delle lingue regionali e minoritarie che si è avuta dal 1990 ad oggi.
La definizione di queste lingue la si trova nella già citata Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie: «Per “lingue regionali o minoritarie” si intendono le lingue: i) usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di detto Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato; e ii) diverse dalla(e) lingua(e) ufficiale(i) di detto Stato; questa espressione non include né i dialetti della(e) lingua(e) ufficiale(i) dello Stato né le lingue dei migranti». L’importanza delle lingue storiche è assai ben definita dalla stessa Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie; si cita testualmente dalla traduzione ufficiale della Cancelleria federale della Svizzera: «La protezione delle lingue regionali o minoritarie storiche dell’Europa, alcune delle quali rischiano di scomparire col passare del tempo, contribuisce a conservare e a sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturali dell’Europa».
«Il diritto di usare una lingua regionale o minoritaria nella vita privata e pubblica costituisce un diritto imprescrittibile, conformemente ai principi contenuti nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici delle Nazioni Unite e conformemente allo spirito della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d’Europa». «La tutela e il promovimento delle lingue regionali o minoritarie nei diversi Paesi e regioni d’Europa contribuiscono in modo considerevole a costruire un’Europa fondata sui principi della democrazia e della diversità culturale, nell’ambito della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale».
Il Piemonte ha il privilegio di accogliere da secoli sul proprio territorio ben quattro di queste espressioni linguistiche storiche e di cultura, situazione pressoché unica fra le regioni dell’Europa occidentale. La lingua piemontese è parlata quasi esclusivamente sul territorio regionale e su quasi tutta la sua estensione; la sua prima attestazione letteraria risale al XII Secolo, testimonianza di un codice linguistico già maturo ed elaborato, che verrà successivamente utilizzato in tutti i contesti, da quello giuridico a quello scientifico e letterario. Ingiustamente discriminato dalla Legge 482/99 il piemontese è tuttavia riconosciuto in àmbito internazionale; la Regione Piemonte, con l’Ordine del Giorno 1118 del 15 Dicembre 1999, ne ha riconosciuto lo status di “lingua regionale”. Nelle valli della provincia di Cuneo e nelle Valli Pellice, Chisone, Germanasca, e alta Susa si parla l’occitano (Lenga d’Òc) che, dopo il latino, è stata la prima grande lingua di cultura in Europa. Dalla Val Sangone alla Val Soana, passando per la bassa Valle di Susa, le Valli di Lanzo e la Valle Orco, si parla il francoprovenzale, la lingua storica, fra l’altro, della Savoia, della Valle d’Aosta e della Svizzera romanda. La lingua di insediamento più “recente” è quella dei Walser (il tittsch o tittschu, a seconda delle va-rianti), una popolazione di origine alemannica insediatasi intorno alle valli del Monte Rosa a partire dal XIII Secolo – fatto rimarchevole poiché rappresenta una continuità territoriale che unisce il Piemonte al mondo germanico. I Walser si esprimono in varietà linguistiche che costituiscono una fase arcaica del tedesco; sono inoltre portatori di una cultura originale ancora vitale malgrado l’esiguo numero di parlanti (e proprio per questo urge maggiormente una più incisiva azione di tutela). Queste quattro lingue sono oggi parlate e scritte sia in forma di koiné che sotto forma di varianti locali le quali, lungi dal rappresentare un elemento di frammentazione, ne costituiscono invece una ricchezza. Una più evidente “visibilità” della straordinaria ricchezza linguistica e culturale del Piemonte non potrà che avere una ricaduta positiva anche al di fuori dell’ambito specifico della cultura e valorizzerà ancor più le peculiarità di ogni singolo territorio e della regione nel suo complesso.
Non corrisponde a realtà il fatto che le Regioni non abbiano competenza in materia di attuazione dell’art. 6 della Costituzione; al contrario, nell’àmbito delle proprie competenze specifiche, gli Enti locali, nell’esercizio della propria autonomia, possono porre rimedio alle mancanze del legislatore nazionale. Ciò è chiaramente affermato: – dalla dottrina: cfr. Alessandro Pizzorusso, Il Pluralismo linguistico tra Stato nazionale e autonomie locali, Pacini editore, Pisa 1975, pp. 34-36 e p. 75; – dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 375 del 13-25 Luglio 1995: al punto 4 precisa che l’art. 6 della Costituzione, essendo un “principio fondamentale”, «impegna e autorizza la Repubblica, nelle sue varie articolazioni, ad emanare “apposite norme”, di carattere pertanto legislativo o regolamentare […] a tutela delle anzidette minoranze». La presente proposta di legge considera unicamente le lingue storiche parlate sul territorio amministrato dalla Regione Piemonte; la presenza di altre lingue quali, ad esempio, il francese e la lingua dei Sinti, è una realtà da prendere in considerazione; tuttavia, considerati i legami particolari ed irripetibili con il territorio che caratterizzano il piemontese, l’occitano, il franco-provenzale e il tittsch/tittschu, si ritiene che la risoluzione dell’eventuale problematica riferita ad altre lingue debba inevitabilmente essere rinviata a norme specifiche da elaborarsi con altri provvedimenti. […]
Dopo l’approvazione della Legge 15 Dicembre 1999 n. 482 è finalmente entrata nella prassi normativa e nella coscienza degli Italiani la necessità della tutela delle lingue regionali e minoritarie. Questo risolve un problema da gran tempo sentito da coloro che parlano usualmente una lingua diversa dall’italiano. Tuttavia l’approvazione di questa Legge ha lasciato irrisolte molte questioni di fondo, fra le quali quella inerente l’individuazione delle lingue da tutelare, lasciando spazio a possibili discriminazioni fra le culture storicamente presenti sul territorio della Repubblica. La suddetta Legge intende intraprendere un percorso di attuazione della Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie, approvata il 5 Novembre 1992, sottoscritta dall’Italia il 27 Giugno 2000 e attualmente non ancora ratificata.
La Regione Piemonte ha cominciato a interessarsi al problema delle lingue storiche insistenti sul proprio territorio – allora definite genericamente “patrimonio linguistico” – a partire dal lontano 1972; le prime proposte portarono all’ap-provazione della Legge Regionale n. 30/79, successivamente sostituita dalla L.R. 26/90 – a sua volta modificata e integrata dalla L.R. 37/97 – attualmente in vigore. L’approvazione della Carta Euro-pea delle Lingue Regionali e Minoritarie (Trattato Europeo n. 148 del 2.X.1992 del Consiglio d’Europa) ha inevitabilmente reso in molti tratti superata la L.R. 26/90, le cui carenze si sono manifesta-te soprattutto nell’àmbito della programmazione e dell’individuazione degli obiettivi; ciò, unito alla scarsità di finanziamenti adeguati – se paragonati a quelli di altre Regioni nello stesso àmbito – ha condotto a risultati parziali, seppure apprezzabili. Negli ultimi tempi sono state avanzate numerose proposte di modifica alla L.R. 26/90; quella che qui si presenta mira ad essere un testo organico che faccia tesoro di quanto già realizzato con pieno successo in altre realtà e che recepisca l’evoluzione della sensibilità nei confronti delle lingue regionali e minoritarie che si è avuta dal 1990 ad oggi.
La definizione di queste lingue la si trova nella già citata Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie: «Per “lingue regionali o minoritarie” si intendono le lingue: i) usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di detto Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato; e ii) diverse dalla(e) lingua(e) ufficiale(i) di detto Stato; questa espressione non include né i dialetti della(e) lingua(e) ufficiale(i) dello Stato né le lingue dei migranti». L’importanza delle lingue storiche è assai ben definita dalla stessa Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie; si cita testualmente dalla traduzione ufficiale della Cancelleria federale della Svizzera: «La protezione delle lingue regionali o minoritarie storiche dell’Europa, alcune delle quali rischiano di scomparire col passare del tempo, contribuisce a conservare e a sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturali dell’Europa».
«Il diritto di usare una lingua regionale o minoritaria nella vita privata e pubblica costituisce un diritto imprescrittibile, conformemente ai principi contenuti nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici delle Nazioni Unite e conformemente allo spirito della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d’Europa». «La tutela e il promovimento delle lingue regionali o minoritarie nei diversi Paesi e regioni d’Europa contribuiscono in modo considerevole a costruire un’Europa fondata sui principi della democrazia e della diversità culturale, nell’ambito della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale».
Il Piemonte ha il privilegio di accogliere da secoli sul proprio territorio ben quattro di queste espressioni linguistiche storiche e di cultura, situazione pressoché unica fra le regioni dell’Europa occidentale. La lingua piemontese è parlata quasi esclusivamente sul territorio regionale e su quasi tutta la sua estensione; la sua prima attestazione letteraria risale al XII Secolo, testimonianza di un codice linguistico già maturo ed elaborato, che verrà successivamente utilizzato in tutti i contesti, da quello giuridico a quello scientifico e letterario. Ingiustamente discriminato dalla Legge 482/99 il piemontese è tuttavia riconosciuto in àmbito internazionale; la Regione Piemonte, con l’Ordine del Giorno 1118 del 15 Dicembre 1999, ne ha riconosciuto lo status di “lingua regionale”. Nelle valli della provincia di Cuneo e nelle Valli Pellice, Chisone, Germanasca, e alta Susa si parla l’occitano (Lenga d’Òc) che, dopo il latino, è stata la prima grande lingua di cultura in Europa. Dalla Val Sangone alla Val Soana, passando per la bassa Valle di Susa, le Valli di Lanzo e la Valle Orco, si parla il francoprovenzale, la lingua storica, fra l’altro, della Savoia, della Valle d’Aosta e della Svizzera romanda. La lingua di insediamento più “recente” è quella dei Walser (il tittsch o tittschu, a seconda delle va-rianti), una popolazione di origine alemannica insediatasi intorno alle valli del Monte Rosa a partire dal XIII Secolo – fatto rimarchevole poiché rappresenta una continuità territoriale che unisce il Piemonte al mondo germanico. I Walser si esprimono in varietà linguistiche che costituiscono una fase arcaica del tedesco; sono inoltre portatori di una cultura originale ancora vitale malgrado l’esiguo numero di parlanti (e proprio per questo urge maggiormente una più incisiva azione di tutela). Queste quattro lingue sono oggi parlate e scritte sia in forma di koiné che sotto forma di varianti locali le quali, lungi dal rappresentare un elemento di frammentazione, ne costituiscono invece una ricchezza. Una più evidente “visibilità” della straordinaria ricchezza linguistica e culturale del Piemonte non potrà che avere una ricaduta positiva anche al di fuori dell’ambito specifico della cultura e valorizzerà ancor più le peculiarità di ogni singolo territorio e della regione nel suo complesso.
Non corrisponde a realtà il fatto che le Regioni non abbiano competenza in materia di attuazione dell’art. 6 della Costituzione; al contrario, nell’àmbito delle proprie competenze specifiche, gli Enti locali, nell’esercizio della propria autonomia, possono porre rimedio alle mancanze del legislatore nazionale. Ciò è chiaramente affermato: – dalla dottrina: cfr. Alessandro Pizzorusso, Il Pluralismo linguistico tra Stato nazionale e autonomie locali, Pacini editore, Pisa 1975, pp. 34-36 e p. 75; – dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 375 del 13-25 Luglio 1995: al punto 4 precisa che l’art. 6 della Costituzione, essendo un “principio fondamentale”, «impegna e autorizza la Repubblica, nelle sue varie articolazioni, ad emanare “apposite norme”, di carattere pertanto legislativo o regolamentare […] a tutela delle anzidette minoranze». La presente proposta di legge considera unicamente le lingue storiche parlate sul territorio amministrato dalla Regione Piemonte; la presenza di altre lingue quali, ad esempio, il francese e la lingua dei Sinti, è una realtà da prendere in considerazione; tuttavia, considerati i legami particolari ed irripetibili con il territorio che caratterizzano il piemontese, l’occitano, il franco-provenzale e il tittsch/tittschu, si ritiene che la risoluzione dell’eventuale problematica riferita ad altre lingue debba inevitabilmente essere rinviata a norme specifiche da elaborarsi con altri provvedimenti. […]
Dopo l’approvazione della Legge 15 Dicembre 1999 n. 482 è finalmente entrata nella prassi normativa e nella coscienza degli Italiani la necessità della tutela delle lingue regionali e minoritarie. Questo risolve un problema da gran tempo sentito da coloro che parlano usualmente una lingua diversa dall’italiano. Tuttavia l’approvazione di questa Legge ha lasciato irrisolte molte questioni di fondo, fra le quali quella inerente l’individuazione delle lingue da tutelare, lasciando spazio a possibili discriminazioni fra le culture storicamente presenti sul territorio della Repubblica. La suddetta Legge intende intraprendere un percorso di attuazione della Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie, approvata il 5 Novembre 1992, sottoscritta dall’Italia il 27 Giugno 2000 e attualmente non ancora ratificata.
La Regione Piemonte ha cominciato a interessarsi al problema delle lingue storiche insistenti sul proprio territorio – allora definite genericamente “patrimonio linguistico” – a partire dal lontano 1972; le prime proposte portarono all’ap-provazione della Legge Regionale n. 30/79, successivamente sostituita dalla L.R. 26/90 – a sua volta modificata e integrata dalla L.R. 37/97 – attualmente in vigore. L’approvazione della Carta Euro-pea delle Lingue Regionali e Minoritarie (Trattato Europeo n. 148 del 2.X.1992 del Consiglio d’Europa) ha inevitabilmente reso in molti tratti superata la L.R. 26/90, le cui carenze si sono manifesta-te soprattutto nell’àmbito della programmazione e dell’individuazione degli obiettivi; ciò, unito alla scarsità di finanziamenti adeguati – se paragonati a quelli di altre Regioni nello stesso àmbito – ha condotto a risultati parziali, seppure apprezzabili. Negli ultimi tempi sono state avanzate numerose proposte di modifica alla L.R. 26/90; quella che qui si presenta mira ad essere un testo organico che faccia tesoro di quanto già realizzato con pieno successo in altre realtà e che recepisca l’evoluzione della sensibilità nei confronti delle lingue regionali e minoritarie che si è avuta dal 1990 ad oggi.
La definizione di queste lingue la si trova nella già citata Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie: «Per “lingue regionali o minoritarie” si intendono le lingue: i) usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di detto Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato; e ii) diverse dalla(e) lingua(e) ufficiale(i) di detto Stato; questa espressione non include né i dialetti della(e) lingua(e) ufficiale(i) dello Stato né le lingue dei migranti». L’importanza delle lingue storiche è assai ben definita dalla stessa Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie; si cita testualmente dalla traduzione ufficiale della Cancelleria federale della Svizzera: «La protezione delle lingue regionali o minoritarie storiche dell’Europa, alcune delle quali rischiano di scomparire col passare del tempo, contribuisce a conservare e a sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturali dell’Europa».
«Il diritto di usare una lingua regionale o minoritaria nella vita privata e pubblica costituisce un diritto imprescrittibile, conformemente ai principi contenuti nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici delle Nazioni Unite e conformemente allo spirito della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d’Europa». «La tutela e il promovimento delle lingue regionali o minoritarie nei diversi Paesi e regioni d’Europa contribuiscono in modo considerevole a costruire un’Europa fondata sui principi della democrazia e della diversità culturale, nell’ambito della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale».
Il Piemonte ha il privilegio di accogliere da secoli sul proprio territorio ben quattro di queste espressioni linguistiche storiche e di cultura, situazione pressoché unica fra le regioni dell’Europa occidentale. La lingua piemontese è parlata quasi esclusivamente sul territorio regionale e su quasi tutta la sua estensione; la sua prima attestazione letteraria risale al XII Secolo, testimonianza di un codice linguistico già maturo ed elaborato, che verrà successivamente utilizzato in tutti i contesti, da quello giuridico a quello scientifico e letterario. Ingiustamente discriminato dalla Legge 482/99 il piemontese è tuttavia riconosciuto in àmbito internazionale; la Regione Piemonte, con l’Ordine del Giorno 1118 del 15 Dicembre 1999, ne ha riconosciuto lo status di “lingua regionale”. Nelle valli della provincia di Cuneo e nelle Valli Pellice, Chisone, Germanasca, e alta Susa si parla l’occitano (Lenga d’Òc) che, dopo il latino, è stata la prima grande lingua di cultura in Europa. Dalla Val Sangone alla Val Soana, passando per la bassa Valle di Susa, le Valli di Lanzo e la Valle Orco, si parla il francoprovenzale, la lingua storica, fra l’altro, della Savoia, della Valle d’Aosta e della Svizzera romanda. La lingua di insediamento più “recente” è quella dei Walser (il tittsch o tittschu, a seconda delle va-rianti), una popolazione di origine alemannica insediatasi intorno alle valli del Monte Rosa a partire dal XIII Secolo – fatto rimarchevole poiché rappresenta una continuità territoriale che unisce il Piemonte al mondo germanico. I Walser si esprimono in varietà linguistiche che costituiscono una fase arcaica del tedesco; sono inoltre portatori di una cultura originale ancora vitale malgrado l’esiguo numero di parlanti (e proprio per questo urge maggiormente una più incisiva azione di tutela). Queste quattro lingue sono oggi parlate e scritte sia in forma di koiné che sotto forma di varianti locali le quali, lungi dal rappresentare un elemento di frammentazione, ne costituiscono invece una ricchezza. Una più evidente “visibilità” della straordinaria ricchezza linguistica e culturale del Piemonte non potrà che avere una ricaduta positiva anche al di fuori dell’ambito specifico della cultura e valorizzerà ancor più le peculiarità di ogni singolo territorio e della regione nel suo complesso.
Non corrisponde a realtà il fatto che le Regioni non abbiano competenza in materia di attuazione dell’art. 6 della Costituzione; al contrario, nell’àmbito delle proprie competenze specifiche, gli Enti locali, nell’esercizio della propria autonomia, possono porre rimedio alle mancanze del legislatore nazionale. Ciò è chiaramente affermato: – dalla dottrina: cfr. Alessandro Pizzorusso, Il Pluralismo linguistico tra Stato nazionale e autonomie locali, Pacini editore, Pisa 1975, pp. 34-36 e p. 75; – dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 375 del 13-25 Luglio 1995: al punto 4 precisa che l’art. 6 della Costituzione, essendo un “principio fondamentale”, «impegna e autorizza la Repubblica, nelle sue varie articolazioni, ad emanare “apposite norme”, di carattere pertanto legislativo o regolamentare […] a tutela delle anzidette minoranze». La presente proposta di legge considera unicamente le lingue storiche parlate sul territorio amministrato dalla Regione Piemonte; la presenza di altre lingue quali, ad esempio, il francese e la lingua dei Sinti, è una realtà da prendere in considerazione; tuttavia, considerati i legami particolari ed irripetibili con il territorio che caratterizzano il piemontese, l’occitano, il franco-provenzale e il tittsch/tittschu, si ritiene che la risoluzione dell’eventuale problematica riferita ad altre lingue debba inevitabilmente essere rinviata a norme specifiche da elaborarsi con altri provvedimenti. […]