Gioventura Piemontèisa nel 2008 ha studiato e promosso un progetto di legge sulle lingue storiche, denominato: “Tutela, valorizzazione e promozione della conoscenza e dello sviluppo delle lingue storiche del Piemonte” in modifica della L.R 26/90 a sua volta modificata e integrata dalla L.R 37/97.
Questo progetto di legge ha coinvolto tutto il territoro regionale e, fin dal dal suo dispositivo, sottolineava in modo puntuale il concetto di tutela delle lingue storiche, rispetto al termine generico di “patrimonio linguistico” utilizzato precedentemente nei testi legislativi.
Da qualche anno, presso le istituzioni regionali, sono depositati progetti di legge fatti dai gruppi consiliari su tale area tematica, ma mai fino ad ora gli istituti di partecipazione popolare (gli enti locali) avevano concorso ad una proposta di modifica della legge di tale portata.
Gioventura Piemontèisa al di là di una mera consulenza specialistica ha agito come motore degli interessi identitari delle autonomie locali, modellando una proposta composta di contenuti atti a progettare una nuova legge per la lingua piemontese e per le altre lingue storiche della regione.
Nella rivisitazione propositiva di una legge di tutela delle lingue del Piemonte si è dunque fatta carico non solo di agire a favore della comunità linguistica piemontese, ma ha coinvolto attivamente le altre lingue storiche della regione. Anche alla luce di un più ampio contesto europeo di riferimento, l’operato dell’associazione è stato quello di proporre una legge di modifica partendo dal principio che la cultura linguistica non debba escludere, ma coinvolgere.
Gioventura Piemontèisa al di là di una mera consulenza specialistica ha agito come motore degli interessi identitari delle autonomie locali, modellando una proposta composta di contenuti atti a progettare una nuova legge per la lingua piemontese e per le altre lingue storiche della regione.
Nella rivisitazione propositiva di una legge di tutela delle lingue del Piemonte si è dunque fatta carico non solo di agire a favore della comunità linguistica piemontese, ma ha coinvolto attivamente le altre lingue storiche della regione. Anche alla luce di un più ampio contesto europeo di riferimento, l’operato dell’associazione è stato quello di proporre una legge di modifica partendo dal principio che la cultura linguistica non debba escludere, ma coinvolgere.
Il lavoro svolto con lungimiranza progettuale e onestà intellettuale ha comportato un notevole investimento di risorse a favore di tutta la comunità linguistica territoriale. Questa azione è stata portata avanti da un’associazione piemontesista che è ben conscia della ingiusta e a-scientifica discriminazione subita nel corso degli anni da parte della lingua piemontese.
La mancata inclusione della lingua piemontese nell’elenco delle lingue soggette a tutela dello Stato, legge 482/99: “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, avrebbe potuto consigliare a Gioventura Piemontèisa un investimento esclusivo nella lingua, punto centrale dell’interesse associativo, ma due elementi hanno concorso ad una applicazione ecumenica del metodo di lavoro.
1. Come si è detto, da troppi anni la lingua piemontese subisce una discriminazione che, non supportata peraltro dal dato scientifico, risente pesantemente di spinte endogene ed esogene che tendono ad emarginarla nel cuore stesso del suo territorio. È fuor di dubbio che l’atteggiamento (politicamente trasversale) di supponenza nei confronti della locuzione piemontese ha ormai dimostrato che la tesi “anti-piemontesista” non ha nulla a che fare con la questione linguistica, ma è una pregiudiziale ideologica che di fatto va contro il diritto naturale alla espressione linguistica di un popolo.
Chi nel corso degli anni, a vari livelli, da quello politico, a quello scientifico, a quello istituzionale ha consapevolmente tradotto terminologicamente il concetto di lingua piemontese come “dialetto”, ha volutamente ribaltato il significato stesso di una delle identità numericamente più rilevanti del continente europeo.
Il recente sondaggio (IRES 2007) ha messo in luce il dato statistico incontrovertibile che oggi in Piemonte la lingua piemontese è parlata da due milioni di persone, mentre in ben 1.140.000 la comprendono.
Prima lingua del Piemonte, rappresenta dunque la seconda minoranza linguistica d’Europa dopo il catalano.
La metodolgia ecumenico-linguistica ha dimostrato che la lingua piemontese ha coinvolto le altre lingue storiche del Piemonte in un progetto di modifica legislativa regionale che di fatto si è tradotto in un valore aggiunto per tutte le locuzioni.
Gioventura Piemontèisa crede a questa politica, ma sa che la lingua piemontese, sia sotto il profilo linguistico che quello culturale, anche grazie al supporto della coscienza identitaria dei suoi locutori, possa e debba permettersi il ruolo di primus inter pares.
Il dato numerico espresso, non da una “contabilità di parte”, ma da una istituzione regionale (rapporto IRES 2007) ha superato le migliori previsioni per pensare con grande fiducia al futuro della lingua piemontese.
L’associazione ha dimostrato di aver saputo interloquire con tutto il territorio regionale, in un vero e proprio corso di formazione culturale e linguistico funzionale alla proposta di legge, che ha coinvolto tutte le province e tutte le minoranze linguistiche.
Chi nel corso degli anni, a vari livelli, da quello politico, a quello scientifico, a quello istituzionale ha consapevolmente tradotto terminologicamente il concetto di lingua piemontese come “dialetto”, ha volutamente ribaltato il significato stesso di una delle identità numericamente più rilevanti del continente europeo.
Il recente sondaggio (IRES 2007) ha messo in luce il dato statistico incontrovertibile che oggi in Piemonte la lingua piemontese è parlata da due milioni di persone, mentre in ben 1.140.000 la comprendono.
Prima lingua del Piemonte, rappresenta dunque la seconda minoranza linguistica d’Europa dopo il catalano.
La metodolgia ecumenico-linguistica ha dimostrato che la lingua piemontese ha coinvolto le altre lingue storiche del Piemonte in un progetto di modifica legislativa regionale che di fatto si è tradotto in un valore aggiunto per tutte le locuzioni.
Gioventura Piemontèisa crede a questa politica, ma sa che la lingua piemontese, sia sotto il profilo linguistico che quello culturale, anche grazie al supporto della coscienza identitaria dei suoi locutori, possa e debba permettersi il ruolo di primus inter pares.
Il dato numerico espresso, non da una “contabilità di parte”, ma da una istituzione regionale (rapporto IRES 2007) ha superato le migliori previsioni per pensare con grande fiducia al futuro della lingua piemontese.
L’associazione ha dimostrato di aver saputo interloquire con tutto il territorio regionale, in un vero e proprio corso di formazione culturale e linguistico funzionale alla proposta di legge, che ha coinvolto tutte le province e tutte le minoranze linguistiche.
2. Sull’istruttoria, genesi e sviluppo della Legge 482/99 sono stati scritti fiumi di parole. Non si vuole entrare nuovamente nel merito di questa legge, ma con l’onestà che va richiesta anche alle minoranze che ne fanno giustamente una fonte di sopravvivenza, possiamo tranquillamente affermare che dopo quasi dieci anni è ormai ineludibile l’esigenza di procedere ad una sua revisone. Questo procedimento non deve partire da un vecchia querelle nominalistica, né tantomeno giocare al coinvolgimento strumentale delle cosidette “minoranze linguistiche storiche presenti sul territorio regionale”, circonlocuzione che sott’intende una tutela ai fenomeni dell’immigrazione moderna. Per inciso, è bene sotto-lineare che i fenomeni di integrazione nei processi sociali hanno bisogno di solidarismi di vera e propria sussistenza, fuori da paternali proposte di diritto di platea a puro scopo di tornaconto elettorale.
A questo punto, dopo le dovute precisazioni, dobbiamo affermare che laddove si è inteso procedere in senso ecumenista nei confronti delle altre lingue del Piemonte ed essendo favorevoli al dialogo interlinguistico, nella stessa misura, sarà bene fare uscire la lingua piemontese dal ghetto nella quale si vorrebbe tenerla segregata.
Il dato istituzionale ha il suo valore e certi pronunciamenti sono vincolanti per l’istituzione che li ha fatti propri, sottolineano peraltro il diritto naturale alla locuzione e fanno parte di una giurisprudenza democratica irreversibile.
La Regione Piemonte, con l’Ordine del Giorno 1118 del 15 Dicembre 1999, ha riconosciuto lo status di “lingua regionale”.
Questo pronunciamento è stato un atto fondamentale dell’autonomia di un ente locale nel determinare gli indirizzi presenti, passati e futuri della politica linguistico culturale della Regione Piemonte.
L’approfondimento della problematica della situazione della lingua piemontese ci mostra un quadro surreale, dove il grande numero di locutori dovrebbero dimostrare l’accezione non scientifica della stessa; una sorta di sospensione a divinis, un veto al riconoscimento legislativo.
Questo ribaltamento dei significati, evidenzia un gap demo-cratico che partendo dal dato linguistico sfocia per sua natura nel campo sociologico e socio-politico.
La connotazione linguistica non è un esercizio filosofico o intellettuale; se non trova un radicamento pratico nella struttura di una società, anche attraverso forme di iniziali tutele legislative, va ad incardinarsi su forme di autonomia politica che di per sé non sono un nocumento per lo Stato, ma che certo ad uno Stato converrebbe fare confluire nella fisiologia del suo impianto istituzionale attraverso un pieno coinvolgimento. Dunque: non è la lingua piemontese a dovere fare anticamera presso i piani bassi della cultura italiana o negli scantinati di quella regionale, poiché la ricchezza del suo plus valore è un elemento ineludibile nel quadro socio-linguistico della regione e spina dorsale della sua identità.
A questo punto, dopo le dovute precisazioni, dobbiamo affermare che laddove si è inteso procedere in senso ecumenista nei confronti delle altre lingue del Piemonte ed essendo favorevoli al dialogo interlinguistico, nella stessa misura, sarà bene fare uscire la lingua piemontese dal ghetto nella quale si vorrebbe tenerla segregata.
Il dato istituzionale ha il suo valore e certi pronunciamenti sono vincolanti per l’istituzione che li ha fatti propri, sottolineano peraltro il diritto naturale alla locuzione e fanno parte di una giurisprudenza democratica irreversibile.
La Regione Piemonte, con l’Ordine del Giorno 1118 del 15 Dicembre 1999, ha riconosciuto lo status di “lingua regionale”.
Questo pronunciamento è stato un atto fondamentale dell’autonomia di un ente locale nel determinare gli indirizzi presenti, passati e futuri della politica linguistico culturale della Regione Piemonte.
L’approfondimento della problematica della situazione della lingua piemontese ci mostra un quadro surreale, dove il grande numero di locutori dovrebbero dimostrare l’accezione non scientifica della stessa; una sorta di sospensione a divinis, un veto al riconoscimento legislativo.
Questo ribaltamento dei significati, evidenzia un gap demo-cratico che partendo dal dato linguistico sfocia per sua natura nel campo sociologico e socio-politico.
La connotazione linguistica non è un esercizio filosofico o intellettuale; se non trova un radicamento pratico nella struttura di una società, anche attraverso forme di iniziali tutele legislative, va ad incardinarsi su forme di autonomia politica che di per sé non sono un nocumento per lo Stato, ma che certo ad uno Stato converrebbe fare confluire nella fisiologia del suo impianto istituzionale attraverso un pieno coinvolgimento. Dunque: non è la lingua piemontese a dovere fare anticamera presso i piani bassi della cultura italiana o negli scantinati di quella regionale, poiché la ricchezza del suo plus valore è un elemento ineludibile nel quadro socio-linguistico della regione e spina dorsale della sua identità.
Roberto Saletta
Gioventura Piemontèisa, n. 1.2009
Gioventura Piemontèisa, n. 1.2009