Perché il lombardo è forse quasi più lingua del catalano

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Marc Tamburell: parlo di lombardo, ma ovviamente le stesse cose valgono per le altre lingue discriminate dallo stato italiano: emiliano, ligure, napoletano, piemontese, romagnolo, siciliano, veneto.

di Marco Tamburelli* – 17.9.2013

La lingua lombarda è censita dall’UNESCO tra le lingue in pericolo d’estinzione, è menzionata in vari trattati storici e moderni, ha una storia scritta che risale almeno al 13esimo secolo, ed è ancora usata, nelle sue varianti locali, da qualche milione di italiani. Eppure esiste ancora chi ne nega l’esistenza, spesso (anzi, sempre) con pseudo-argomenti che vanno dall’insensato al quasi religioso, passando per il luogo comune. Questi pseudo-argomenti mostrano leggere variazioni, ma possono essere riassunti in due punti base:
1.I dialetti Lombardi sono diversi da zona a zona, quindi come si fa a parlare di “lingua lombarda”?
2.L’analisi linguistica dimostra differenze morfologiche tra est e ovest della Lombardia, quindi in Lombardia ci sono due lingue: Lombardo orientale e Lombardo occidentale.
E’ ovvio che questi due punti sono quasi parafrasi dello stesso concetto, ma alcune delle loro caratteristiche li rendono leggermente diversi, ed è quindi opportune discuterli separatamente.
Premetto che da linguista è scioccante che questi luoghi comuni vengano ancora presentati come presunti argomenti per il supposto status di “non lingua”. Ogni lingua, è risaputo, cambia da una zona all’altra, eccezion fatta per due tipi di lingue: le lingue artificiali e le lingue morte.
Se analizziamo qualsiasi lingua naturale ancora viva (cosa che noi linguisti facciamo giornalmente), la questione sta sempre e solo nell’ammontare della differenziazione dialettale, non certo nella sua esistenza. La differenziazione dialettale c’è sempre, piccola o grande che sia. Anche nel beneamato italiano c’è chi si siede sulla sedia e chi sulla seggiola, poi c’è chi mangia il cioccolato e chi la cioccolata, e ci sono persone a cui garba assai il cocomero e altre a cui piace molto l’anguria. Tutte varianti perfettamente accettate da dizionari e grammatiche come esempi di “lingua italiana”. La diversità tra le varianti della lingua italiana (spesso chiamati “italiani regionali”) è ovviamente nota a chi opera nel settore, tanto che alcuni ricercatori (per es. Cortellazzo e Minoni, 1984) hanno chiamato gli italofoni “dialettofoni inconsapevoli”, proprio perché sono incoscienti del fatto che anch’essi parlano una lingua che si differenzia da zona a zona. Questo dimostra come l’accusa di “non lingua” che viene fatta al Lombardo potrebbe benissimo essere sollevata anche contro l’italiano, se non fosse appunto un’accusa priva di senso, visto che la variazione geografica è proprietà intrinseca di ogni lingua. Sarebbe come negare l’esistenza della razza umana protestando che non esistono due persone identiche al 100%. Una posizione interamente priva di logica tassonomica.
Se è però vero che l’equazione “variazione diatopica = non lingua” è priva di significato, è anche vero che il Lombardo varia più di quanto non lo faccia l’italiano. Questo è dovuto a due fattori: (i) il Lombardo è lingua parlata e trasmessa da più di un millennio mentre l’italiano è stato lingua quasi esclusivamente scritta fino a meno di un secolo fa, e quindi ha avuto meno tempo per sviluppare differenze interne e (ii) l’italiano è stato fortemente standardizzato attraverso un processo di ingegneria linguistica con chiare intenzioni centripete, ed ha quindi la tendenza ad essere più omogeneo.
La situazione è però diversa quando si paragona il lombardo ad altre lingue regionali con una storia altrettanto travagliata, per esempio il catalano. Catalano e Lombardo hanno caratteristiche talmente simili che i due punti riportati sopra valgono per entrambi:
1.I dialetti catalani sono diversi da zona a zona.
2.L’analisi linguistica dimostra differenze morfologiche tra catalano orientale e catalano occidentale .
Ecco alcuni esempi.
1.I dialetti catalani sono diversi da zona a zona
Come si dice “mi lavo” in catalano? Beh, dipende dalla zona della Catalogna in cui ci troviamo. A Igualada, cittadina a nord-ovest di Barcellona, si dice “äm rentu”. Ma se ci spostiamo a meno di 40 chilometri, nella piccola cittadina di Cervera, si dice “em rento”. Se viaggiamo ancora qualche decina di chilometri a ovest verso Tamarit de Llitera, sentiremo invece dire “me rento”. E così via per tutta la Catalogna, con chiare similarità ma anche ovvie differenze sistematiche, come accade in tutte le lingue regionali del mondo. Il paragone con il Lombardo è ovvio. Per la frase “mi sciacquo” troviamo “me resenti” nel milanese (ma anche in Brianza, comasco e Ticino), “me resente” nella bergamasca, e “m’arsenti” nel pavese. Chiare similarità ma anche ovvie differenze sistematiche, come accade appunto nel catalano, e in tutte le lingue regionali del mondo.
2.L’analisi linguistica dimostra differenze morfologiche tra catalano orientale e catalano occidentale .
In catalano, qual’è la desinenza della prima persona singolare del verbo “parlare”? Beh, dipende dalla zona. In particolare, troviamo differenze sistematiche tra catalano orientale (dove sono attestati parlo, parlu, parl, e parli) e catalano occidentale (dove troviamo parle). Ancora una volta è ovvio il paragone con il Lombardo, ma con una differenza: nella morfologia verbale dell’indicativo il Lombardo è infatti più omogeneo del catalano, offrendo effettivamente solo tre varianti contro le cinque del catalano: parle (principalmente nella Lombardia orientale), parli (principalmente nella Lombardia occidentale) e paräl (in qualche variante della bassa Lombarda).
Come abbiamo visto in questa piccola carrellata, le proprietà puramente linguistiche di catalano e lombardo sono pressoché identiche. Anzi, in certi casi il lombardo è addirittura meno frammentato del catalano.
Allora dove sta la differenza? Perché chi parla un dialetto catalano dice di parlare “català” mentre chi parla un dialetto lombardo dice di parlare “dialèt” e non “lombard”? La differenza è che i catalani riconoscono benissimo il filone linguistico che accomuna i loro dialetti, ed hanno quindi ben chiaro il fatto di essere linguisticamente uniti all’interno della zona amministrativa (e non solo, vedasi per esempio le Baleari) nonostante la variazione dialettale locale. Il catalano orientale e quello occidentale sono semplicemente ritenute macrovarianti della lingua catalana per ovvie affinità linguistiche (nonostante le differenze), e non si parla certo di “lingua catalana orientale” e “lingua catalana occidentale”.
Questa consapevolezza non è però nata e cresciuta accidentalmente. Ed è qui la vera differenza. La differenza è che in Catalogna c’è stata la volontà politica di fare ingegneria linguistica per sviluppare, tra le altre cose, un sistema ortografico unico per tutti i dialetti catalani. Notare bene: non un catalano parlato che uniforma tutti (quello non sarebbe stato necessario, oltre che essere ovviamente dannoso ai dialetti effettivamente parlati sul territorio), ma un sistema di scrittura usato da tutti. Un esempio? L’equivalente catalano del verbo “portare” è scritto da tutti <portar>, ma è poi pronunciato “purtà” da alcuni (per esempio a Barcellona), “portà” da altri (per esempio nelle varietà di transizione) e “portar” da altri ancora (per esempio in alcune varietà meridionali del catalano occidentale). Questo sistema ortografico permette ai catalani di avere l’uovo e la gallina. Essendo un sistema ortografico unificato, permette all’editoria e all’amministrazione di essere graficamente funzionali in tutta la Catalogna. Ma è allo stesso tempo un metodo essenziale per mantenere vivi i dialetti catalani effettivamente parlati sul territorio. In catalano, così come in inglese, si scrive tutti in un modo ma si pronuncia secondo le differenze locali.
Come già detto, alla base di questo procedimento c’è stata una forte volontà politica, assieme ad un lavoro sistematico di ingegneria linguistica fatto da professionisti del settore. E siamo quindi giunti ad una risposta per nostro quesito iniziale: la differenza tra catalano e lombardo sta nella volontà politica e nella professionalità. Tutto qui. Il resto sono solamente luoghi comuni al servizio di chi vuole che nulla cambi.

*Marco Tamburelli è docente di bilinguismo al Dipartimento di Linguistica dell’Università di Bangor, in Galles. Interessato a tutto quello che riguarda le lingue, e alla difesa dei diritti linguistici di tutti i popoli del mondo, ma soprattutto di quello lombardo.

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