Nell’autunno del 1993 un gruppo di ragazzi e ragazze alla riscoperta delle loro radici piemontesi si dà regolare appuntamento il giovedì sera all’Associassion Piemontèisa di Torino, ospiti di Andrea Flamini. L’idea è quella di concorrere a dare un futuro all’identità piemontese avvicinando i più giovani. Il gruppo assume poi il nome di «Gioventura Piemontèisa», recuperando un termine che significa “giovinezza”, non soltanto in senso anagrafico. L’atto di fondazione è del 30.9.1994. Il primo a iscriversi è barba Tòni Bàud-rìe.
Il 17.3.1994 esce il primo bollettino (“Radici”) con dieci collaboratori; in luglio va in stampa il primo numero del giornale, supplemento a “Piemontèis Ancheuj” di Camillo Brero, che nel suo editoriale di presentazione cita il grande poeta piemontese Pinin Pacòt: «La tòrcia che noi prest i posroma a-i é già ‘d man pronte a cheujla, për aussela e fela splende».
Il giornale parla già di piemontese come lingua minoritaria e di Europa dei popoli. Sui beni culturali dichiara: «...il problema vero è che ogni popolo deve gestire da sé le memorie della propria storia. Non è infatti dal centro lontano di uno Stato vecchio e farraginoso, che non ci tutela e non ci rappresenta, che il Popolo piemontese può aspettarsi la salvaguardia del proprio passato. Passato già troppo spesso vilipeso e denigrato da un’Italia che non ci sente suoi figli. L’identità di una nazione sta non soltanto nel carattere del suo popolo, o nella lingua che esso parla, ma anche nella sua storia, nei suoi ricordi, nelle pietre delle sue strade. È il frutto unico di un processo storico unico ed irripetibile. Come Piemontesi abbiamo il dovere di preservare ciò che ci rende diversi da tutti gli altri, che ci rende Popolo, non italiano, e che fa del Piemonte una nazione a sé».
Nel 1994 la grande alluvione colpisce il Piemonte causando gravissimi danni e numerose vittime. Il telegramma senza risposta dei sindaci alle 4 più alte cariche dello Stato («Ci pregiamo informare la S.V. che il Piemonte sta morendo») e una campagna diffamatoria contro i Piemontesi provoca una manifestazione degli alluvionati (ad Alessandria il 29 agosto 1995) dove Gioventura Piemontèisa è l’unica a sventolare la bandiera rosso-crociata, individuando nello Stato italiano il primo nemico del Piemonte, uno Stato che lo disprezza e ne drena le energie produttive.
Sul giornale di marzo Pàul Siròt grida «Vergogna!» ai giornalisti che sbeffeggiano gli sfollati della notte di Ceva e ai funerali di Garessio tirano i morti e i senzatetto per la giacca verso l’assimilazione a un estraneo modello italiano. Gioventura Piemontèisa definisce i Piemontesi «figli bastardi di un equivoco storico che pure hanno contribuito a creare».
Gioventura Piemontèisa si muove fin da subito in un quadro internazionale, ispirandosi alle esperienze più avanzate di promozione delle lingue e delle identità dei popoli attuate in Paesi che considerano le differenze culturali una ricchezza da conservare, non un problema da rimuovere. Le sue capacità organizzative sono messe alla prova in tre giorni di Seminario europeo sulle lingue minoritarie al BIT di Torino (novembre 1995). In questi anni i viaggi di studio riempiono il bagaglio di Gioventura Piemontèisa. Quella che era nata come associazione giovanile assume le sembianze di un Movimento culturale completo, con un’autonomia e una fisionomia propria.
Non accadeva da anni che tanti giovani di tutto il Piemonte si ritrovassero per discutere sul futuro dell’identità e della lingua piemontese. Succede al primo Congresso di Torino, il 14.1.1996: sempre più determinata e presente, Gioventura Piemontèisa opera nel Torinese, nel Canavese, nell’Astigiano e nel VCO; promuove una federazione di associazioni piemontesi che raccoglie oltre 20 adesioni, e le sue idee vengono esportate anche fuori Piemonte. Pubblica un’agenzia stampa di raccordo, e organizza numerosi incontri. Nel 1997 si definisce “Moviment” per sottolineare la propria volontà di unire le forze al di là delle associazioni. Promuove (Canelli, 27.9.1997) la fondazione della «Consulta për la Lenga Piemontèisa» per coordinare le iniziative di chi è impegnato per la difesa dei diritti linguistici dei Piemontesi. Il Movimento trasferisce la propria sede ad Alessandria e comincia a parlare di bilinguismo integrale sul modello catalano, «bataja fondamental për ël salvament dla lenga piemontèisa»: è la nascita della pianificazione linguistica in Piemonte, mai prima si era avanzata una simile proposta. «Che i Piemontesi, in Italia, stiano antipatici è un fatto. Ma è altrettanto chiaro che non possiamo continuare a farci pelare senza reagire, borbottando soltanto che “a l’han portane via tut...”. La nostra risposta deve essere – innanzitutto – culturale. La nostra specificità di carattere, di lingua, di tradizione, deve diventare la nostra principale risorsa. E non “per arroccarci dispettosamente” come dice “La Stampa”, ma, proprio al contrario, per essere consapevoli della nostra specificità, della nostra forza e del nostro mondo. Per potere vivere e decidere da uomini liberi».
Una prima reazione si manifesta a inizio ‘98 con una campagna antipiemontese sui giornali. Il Movimento segnala l’accaduto a livello internazionale e la Celtic League denuncia per la prima volta l’Italia come un Paese che opprime le minoranze linguistiche sul proprio territorio.
La risposta è un’azione ancor più determinata: la «Consulta për la Lenga Piemontèisa» viene presentata con grande rilevanza ad Alessandria il 5.4.1998.
In giugno la Camera dei Deputati approva in prima lettura una legge sulle lingue storiche dalla quale il piemontese viene colpevolmente escluso. Gioventura Piemontèisa (che ha già provveduto a inviare documentazione in Parlamento) organizza una protesta alla quale aderiscono associazioni e studiosi di tutto il mondo. La Consulta giunge a segnalare di persona (Gioann March Pòlli) il problema a Bruxelles e il linguista Manlio Cortelazzo afferma il buon diritto dei Piemontesi al bilinguismo.
Il Movimento redige ormai documenti che il Consiglio Regionale del Piemonte approva e fa propri con voti unanimi e trasversali. L’8.7.1998 il piemontese viene riconosciuto dalla Regione quale minoranza linguistica. Gioventura Piemontèisa prepara anche il testo di un disegno di legge alternativo, che viene presentato da sette senatori piemontesi. La Consulta, presieduta da Sergi Hertel, ottiene l’approvazione di ordini del giorno da parte di numerosi Comuni, Comunità montane e Province, da Torino a Verbania, da Cuneo ad Alessandria, che per la prima volta prendono una chiara posizione per il riconoscimento ufficiale della lingua piemontese. Si promuove anche la formazione del “Comità për l’arconossiment e l’Ufissialisassion ëd la Lenga Piemontèisa”, che raccoglie le firme per una petizione e le consegna nelle mani del Presidente della repubblica, il 3.10.1998 a Pinerolo. Ma il Senato rifiuta la discussione; la proposta di legge alternativa viene liquidata.
La vergognosa legge (definita dalla Regione “l’ennesimo affronto” perpetrato nei confronti della cultura e dell’identità piemontese) viene approvata il 15.12.1999; lo stesso giorno il Consiglio Regionale approva un ordine del giorno (scritto da Gioventura Piemontèisa) che riconosce il piemontese “lingua regionale del Piemonte”. In Piemonte i Comuni approvano nuovi documenti, il giornale di Gioventura Piemontèisa esce con l’eloquente titolo “Roma doma”.
Gioventura Piemontèisa decide di reagire in maniera costruttiva. Nel 1998 apre il primo sportello linguistico del Piemonte (ancora oggi pienamente operativo) per fornire gratuitamente consulenza, correzione di testi e traduzioni. Sulla base delle vigenti (e inapplicate) leggi regionali, presenta un grande progetto per strutturare professionalmente l’insegnamento del piemontese nelle scuole, che prevede anche la formazione degli insegnanti e l’edizione di strumenti didattici.
Questo progetto, elaborato nel 1997 con la denominazione provvisoria di ALPP, assume il nome «ARBUT». Gioventura Piemontèisa coinvolge le associazioni e, per evitare le improvvisazioni, attraverso la Consulta istituisce un Albo ufficiale degli insegnanti, al quale si accede in seguito ad esame. Ma la politica reagisce con pressioni, minacce e ricatti. La Regione si sfila dalla battaglia e il Progetto ARBUT subisce violenti attacchi per mesi. Giocando d’anticipo Gioventura Piemontèisa e le associazioni che sostengono il progetto aprono una grande sede a Torino. Malgrado boicottaggi di ogni tipo (si arriverà perfino a proibire l’utilizzo del logo della Regione sul materiale illustrativo) ARBUT ha un enorme ed immediato successo. Alla prima lezione di Torino si presentano quasi duecento allievi, una novantina ad Alessandria.
Gioventura Piemontèisa inizia a pubblicare libri (ne editerà oltre 70) e a produrre Cd musicali; fonda anche un periodico specialistico, «La Scòla Piemontèisa». Ma la risposta sarà di una violenza inaudita: una vera e propria campagna denigratoria contro Gioventura Piemontèisa e i suoi membri, con nuove minacce, intimidazioni e promesse a chi accetta di abbandonare l’iniziativa. L’Assessore Giampiero Leo arriverà a scrivere a tutte le scuole del Piemonte diffidandole dal collaborare con Gioventura Piemontèisa! Il Movimento cerca di fare valere i propri diritti giungendo perfino a ricorrere al TAR, ma tutto verrà insabbiato. La Consulta si spacca, il progetto ARBUT viene fotocopiato e affidato ad altri; perfino il nome viene usurpato (“L’Arbut dël Piemont”).
Gioventura Piemontèisa si trasferisce (2001) in una sede autonoma più piccola in via Legnano 22, cercando di polarizzare le forze sane e disinteressate e raccogliendo da sola il testimone della battaglia, pagandone le conseguenze e gli strascichi. Il Movimento rifiuta di sottostare alle logiche spartitorie che guidano la politica della Regione e respinge ogni strumentalizzazione, per mantenere la propria indipendenza. Le sue denunce circostanziate sul giornale e sul sito (Gioventura Piemontèisa è stata la prima fra le organizzazioni piemontesi a entrare in rete) contro il «mond “coltural” fàuss, fint e clientelar» provocheranno le ritorsioni della nuova giunta regionale, che la escluderà strumentalmente da ogni sostegno previsto dalla legge, dichiarando apertamente di volerla distruggere. Il tempo, di nuovo, darà ragione al Movimento (che denuncia, ad esempio, il caso “Grinzane Cavour” con molti anni di anticipo).
Camillo Brero accetta la presidenza onoraria di Gioventura Piemontèisa che, grazie al volontariato coraggioso di chi non si è fatto intimidire, interviene ancora in più di cento scuole, prosegue con i corsi di piemontese in tutte le province e pubblica tutti i testi didattici boicottati dalla Regione. Gli insegnanti vengono accompagnati con stages di formazione (Pra Catinat 2001 e 2002 - retti dal linguista Guiu Sobiela-Caanitz - Villa Gualino 2003, Levone, Loazzolo, Racconigi, Saluzzo...). Pur senza alcun sostegno il coraggioso lavoro degli insegnanti di Gioventura Piemontèisa porta il progetto a riscuotere più successo delle “copie” finanziate dalla Regione.
Il 13.11.2004 si inaugura una nuova grande sede a Torino in via San Secondo 7bis, con sale riunioni, spazi espositivi, uffici e biblioteca, di fronte ai delegati di tutte le minoranze linguistiche del Piemonte; ospite d’eccezione il premio Nobel per la pace 1996 Josè Ramos-Horta.
Gioventura Piemontèisa è ormai un punto di riferimento per tutta la cultura piemontese. L’attività non si è mai interrotta: corsi, incontri, conferenze, rassegne teatrali, concerti, pubblicazioni, presentazioni... Nel 2005, con il Teatro Zeta del Maestro Pier Giorgio Gili, si avviano i corsi di Arte Drammatica in lingua piemontese (fra i docenti, Margherita Fumero e Rosanna Galleggiante). Fin dal 2001, per onorare la memoria della poetessa Anin Molin Pradel Rabino (1921-1999), “la nòna ‘d Gioventura Piemontèisa”, il Movimento ha sistematizzato il proprio patrimonio librario costituendo una Biblioteca a lei intitolata.
Ma nel 2005 la politica sferra un preciso attacco alla legge regionale di tutela del patrimonio lingustico cercando di togliere alla lingua piemontese anche il riconoscimento regionale, in modo da lasciarla in uno status giuridico indefinito e senza alcuna prospettiva. La speculazione elettorale porta alla presentazione di numerose proposte di legge integrative o sostitutive, strumentalizzando la disparità di trattamento del piemontese rispetto alle altre lingue storiche del Piemonte. Il 5.3.2006 in un acceso incontro organizzato da Gioventura Piemontèisa e moderato da Tavo Burat e Giampaolo Sabbatini emerge come la lingua piemontese stia nuovamente correndo un grave pericolo. Infatti di lì a poco il piemontese “sparisce” dalle proposte di legge, con il pretesto di “uniformare” la legge regionale in materia a quella dello Stato (un input preciso?). Gioventura Piemontèisa è nuovamente in prima fila per portare a conoscenza di tutti una manovra che si vuole far passare sotto silenzio; il Movimento torna a elaborare una proposta di legge alternativa per evitare ulteriori danni e rilancia il Comitato (Diano d’Alba, 17.2.2007). Il mese dopo Gioventura Piemontèisa coinvolge i Comuni trasformando il suo testo in una proposta di legge di iniziativa degli Enti locali. Ne basterebbero cinque, rispondono all’appello in oltre 200. Una mobilitazione unica nella storia della Regione Piemonte. La proposta arriva in aula il 31.3.2009 (!), ma non viene nemmeno discussa: la volontà del 12% dei cittadini piemontesi (mezzo milione di persone) e del 20% dei Comuni è sacrificata agli accordi di partito. Viene invece approvata una legge ampiamente peggiorativa, confusa e sostanzialmente inapplicabile. (vedere anche: 2008-2011: Le battaglie legislative per il riconoscimento della lingua piemontese in Parlamento).
L’azione di Gioventura Piemontèisa, tuttavia, ha riaperto la strada al riconoscimento della lingua piemontese: parrebbe un successo, invece è soltanto un cambio di strategia da parte dello Stato italiano: la nuova legge viene subito impugnata dal governo proprio a causa del riconoscimento del piemontese e il 13.5.2010 la Corte Costituzionale emette una sentenzadi una gravità inaudita: dalla legge regionale vengono stralciate unicamente le parole “lingua piemontese”, e si contesta l’attribuzione al piemontese di un valore “non solo culturale”. Gioventura Piemontèisa (unica) parla di “aperta violazione dei diritti umani dei Piemontesi sanciti dalla Dichiarazione Universale sui Diritti Linguistici”. Il 26.10.2010 organizza una manifestazione di protesta di fronte al Consiglio Regionale per sollecitare l’immediata discussione delle proposte di legge in materia, depositate ma sempre insabbiate.
Si manifesta sempre più la chiara volontà politica di eliminare la questione piemontese: nel 2010/2011 il piemontese perde ogni sostegno da parte dell’Ente; i corsi e gli interventi nelle scuole sono più che dimezzati. Si concretizza lo smantellamento dell’ufficio regionale competente, iniziato con la messa “in esaurimento” nel 2001 (e denunciato all’epoca dalla sola Gioventura Piemontèisa).
Il Movimento lancia allora la petizione «Piemontèis Ufissial» (5.2.2011), alla quale aderiscono diverse associazioni. Vengono raccolte 13.000 firme in meno di quattro mesi per sollecitare la discussione in Regione delle proposte di legge. In seguito all’iniziativa l’11 luglio il Consiglio Regionale approva all’unanimità la proposta di legge al Parlamento, ma Roma insabbia nuovamente tutto.
Il 27.5.2012 ad Asti Gioventura Piemontèisa promuove la costituzione del Comitato «Piemont482»: «Non hanno il coraggio di discutere il riconoscimento della lingua piemontese. In Italia per noi non c’è più posto».
La crescita della sensibilità verso le lingue naturali, portatrici di culture e identità originali, a livello legislativo sfociò, dopo diverse Raccomandazioni internazionali, nell’approvazione della Carta Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie (Consiglio d’Europa, 1992). Tale documento, elevato a Convenzione, chiede agli Stati membri l’applicazione di specifiche misure per la protezione e la promozione di tali lingue, in particolare il loro pieno riconoscimento, la promozione dell’uso scritto, l’insegnamento nella scuola e nell’università, l’abolizione delle discriminazioni volte a scoraggiarne l’utilizzo (ad esempio, tramite la riduzione a una visione macchiettistica sui mezzi di comunicazione), l’adozione della toponomastica tradizionale, l’utilizzo non soltanto nell’ambito culturale, ma per esempio anche in quello dell’informazione.
Il piemontese era già stato giuridicamente riconosciuto “lingua” dal Consiglio d’Europa (1981) e dall’UNESCO. Lo stesso Comitato intergovernativo della Convenzione dell’UNESCO per il Patrimonio immateriale dell’Umanità, nell’ottobre 2009 ha riconosciuto alle lingue locali il diritto ad essere impiegate nelle scuole, nelle università e nei media, in quanto espressione delle diverse comunità e strumento di coesione sociale.
La richiesta di un riconoscimento dello status ufficiale di lingua e dell’applicazione di una normativa per la sua tutela e il suo sviluppo risale al 1970 (primi promotori Tavo Burat e Camillo Brero). La prima proposta è del 1972 (Corrado Calsolaro).
Da allora ogni tentativo in questo senso è stato sistematicamente affossato dallo Stato italiano attraverso insabbiamenti delle proposte di legge, respingimenti del commissario prefettizio, approvazione di “leggi-ponte” incapaci di ottenere alcun risultato, ripetute campagne di stampa contrarie, tentativi di dividere il fronte del movimento piemontesista, prese di posizione contrarie da parte di enti statali (ad esempio l’Anas contro la toponomastica).
Nel 1997, tuttavia, una legge regionale (LR 37) emendò una precedente disposizione (LR 26/90) dando un riconoscimento normativo alla lingua piemontese.
Nel 1999, dietro pressioni internazionali, il Parlamento italiano approvò una legge parziale che riconosce e dà una qualche tutela alle lingue regionali e minoritarie (L. 482/99), nella quale, però, se ne individuano soltanto 12. In Piemonte è riconosciuto il francoprovenzale, l’occitano e il tedesco walser; malgrado forti prese di posizione da ogni parte, anche a livello internazionale, il piemontese ne venne strumentalmente escluso.
Il Movimento agisce anche per la soppressione dei prefetti, contro la fusione dei Comuni (cardini della nostra storia, per il salvataggio dei beni culturali (testimoni viventi della nostra identità), contro la cementificazione del territorio e contro il tentativo di nascondere la reale identità del Piemonte.