La diga per lo sfruttamento idroelettrico nella Valle Orba venne concepita già fra le polemiche dei Comuni piemontesi verso la Liguria, che ne avrebbe tratto i maggiori vantaggi. L’impianto di Molare era entrato in funzione nel 1925, ma le infiltrazioni furono già segnalate nel cantiere l’anno prima. Sulla base di progetti a quanto pare raffazzonati e superficiali fu creato il Lago di Ortiglieto: 18 milioni di metri cubi d’acqua.
All’alba del 13 Agosto 1935 si abbattè improvvisamente su Molare e Ovada un nubifragio che rovesciò più di 15 metri cubi di acqua al secondo ogni kmq.
Alle 12.30 il livello del lago raggiunse la quota della sommità della diga di Sella Zerbino, alle 13.15 le dighe collassarono e l’ondata di acqua e fango cominciò a travolgere persone e cascine, scendendo a valle, spazzando via la centrale elettrica, inghiottendo il ponte di Molare, la località Ghiaie di Ovada e mietendo le prime 11 vittime. Investì Rebba (13 morti, fra le quali padre, madre e sei figli della stessa famiglia), cancellò Monteggio (7 vittime), colpì Geirino (4 morti). Poco dopo le 14 l’ondata investì il Borgo di Ovada aprendo le case «come libri»: 102 vittime, sotto gli occhi atterriti degli Ovadesi sull’altra sponda. L’acqua si scontrò poi con la Stura in piena, facendola arretrare di un chilometro e mezzo e abbattendo il nuovo ponte di Belforte, quindi invase, causando gravissimi danni, i territori di Silvano d’Orba, Predosa e Capriata (dove trovarono la morte due fratellini con la mamma e il podestà). L’acqua, trascinando i cadaveri degli ovadesi periti, raggiunse Fresonara, Basaluzzo, Bosco Marengo e Casalcermelli. Alle 14,30 era tutto finito.
Un Vajont piemontese dimenticato, ben descritto e studiato con competenza sul sito ► www.molare.net. Davvero, abbiamo tutti la memoria troppo corta. Ci è sembrato giusto ricordare l’anniversario di questo disastro di casa nostra e chiedere una preghiera per quelle vittime.