L’ultima inchiesta della procura della repubblica di Torino, che vede indagati per peculato 52 consiglieri regionali su 60 della Regione Piemonte è soltanto l’ultima di una serie di decisioni che, se viste nel loro complesso, non possono che preoccupare. Non che l’iniziativa della magistratura italiana non possa avere qualche fondamento (bisognerà però vedere, tra qualche tempo, quale ne sarà il risultato e quanti degli indagati verranno poi condannati), ma si inquadra in un clima generale e in un insieme di condizioni che vanno nella direzione di una forte limitazione delle competenze e dei poteri delle Regioni a statuto ordinario (almeno di quelle alpine e padane).
Senza esser maliziosi e volere insinuare che, in base alla legge «anticorruzione» del governo Monti (che prevede la sospensione dall’incarico di 18 mesi per i consiglieri condannati in primo grado), basterebbe condannare un indagato su cinque per far cadere la Regione e alterare così il mandato popolare (che, d’altronde, non si sa bene quanto sia già stato falsato in origine: vedasi firme false…). Nel 2012, approfittando di una serie di inchieste (opportunamente riprese e amplificate dai media) lo Stato, con la scusa dei «tagli alla spesa» ha ridotto i consiglieri da 60 a 50, ha introdotto il controllo preventivo della corte dei conti su tutti gli atti della Regione, ha dimezzato lo stipendio dei consiglieri, ha ridotto del 90% i rimborsi ai gruppi consiliari. Buona parte di questi provvedimenti sono incostituzionali. A ciò si aggiunga che la Regione continua a non avere entrate proprie, se non in misura miserrima, vivendo, o meglio, sopravvivendo di «finanza derivata», quella parte delle nostre tasse, cioè, che Roma ci restituisce (e che può benissimo decidere di tenersi).
La cosa grave è poi che la Regione, ente nato morto, senz’anima, senza volontà autonoma, non ha mai voluto assumere le competenze che la Costituzione, pure, le riconosce. Così, chi pecora si fa il lupo (anzi, la lupa in questo caso…) se la mangia: oggi assistiamo a una chiara operazione di castrazione delle Regioni a statuto ordinario, realizzata attraverso provvedimenti volti a svuotarle di competenze e a ingabbiarne la pur minima e timida azione, aspettando finalmente il momento buono per abolirle. La volontà è infatti quella di colpire le autonomie territoriali e in questa direzione va anche il mai celato tentativo di accorpare i piccoli Comuni e di tagliare le gambe agli organi elettivi (si pensi alla legge 142, tanto per fare un esempio). Così, basta la solita «inchiesta», la solita «perquisizione» per insinuare il sospetto e seminare il dubbio tra i cittadini che, infine, della Regione si possa benissimo fare a meno, dato che in definitiva (come spiega la televisione) è un ente inutile e un covo di ladri. Intendiamoci: non che non ci siano ladri e che, così com’è, sia un ente essenziale: tutt’altro; la Regione è poi una grande ASL, o poco di più. Ma proprio perché si è sempre voluta sminuire, silenziare, limitarne le competenze, in modo da non disturbare lo Stato-manovratore: è infatti sempre stata guardata con fastidio da Roma e non è un caso che sia stata istituita con 24 anni di ritardo e che la modifica del titolo quinto della Costituzione non sia mai stata attuata.
La linea di demolizione dell’ente politico dei Piemontesi (che, con tutti i suoi limiti, è comunque un punto di riferimento e un «ombrello» per tutti noi) è stata chiaramente tracciata.
Ora bisognerà vedere se qualcuno avrà il coraggio di opporvisi o se, invece, bisognerà considerare la necessità, come Piemontesi, di dover percorrere strade nuove e alternative per vedere democraticamente riconosciuti i propri diritti di popolo.
4.5.2013