Ciò che resta del Castello di Vignetta | Soltanto riacquistando la propria sovranità politica il Piemonte uscirà dal degrado

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Il “castellacium” dal cortile.

«Vignetta è una frazione in provincia di Novara (sotto il Comune di Vinsaj/Vinzaglio); un paesino simile a tanti altri della nostra campagna, dimenticato da tutti.

Se non ché un giorno Dario Gaviglio, presidente del Centro Studi Vercellae e del G.A.P.O. ha notato un affresco: lo stemma che poi è stato scoperto appartenere all’antica famiglia Trotti. Uno stemma non si trova su case di poco pregio; difatti studiando attentamente l’edificio è stata rinvenuta in primo luogo una discrepanza tra le tessiture murarie, non coincidenti e quindi facenti pensare ad un abbattimento di una parte dell’edificio (nel 1700, come attesta la targhetta in pietra sull’ala nuova) per adibirlo a cascina, la quale è stata ulteriormente danneggiata nel 1970.

Quello che resta e che possiamo ancora osservare è il risultato della stupidità dell’uomo, incosciente della ricchezza storica di questi paesi. Ormai quello che si pensa fosse un Castello è un rudere e l’unica testimonianza visibile a tutti e certa, ossia lo Stemma, è lasciata alle intemperie.

L’edificio doveva avere quattro torri (a partire dall’attuale tetto, più alte di circa 3 metri) ognuna posta sui quattro spigoli. Con buona probabilità l’intera struttura era affrescata, sia all’interno che all’esterno e ci piace immaginare la ricchezza decorativa di questo “nobile decaduto” ma baluardo di un’antica dignità storica.

Perchè far erigere un Castello presso la Vignetta? I documenti parlano dell’abbandono del borgo franco Peronasca, attualmente Pernasca attorno a metà del XIII secolo. Questo farebbe pensare alla necessità di trovare un “rimpiazzo”. Oggi, grazie a quell’abbandono, abbiamo i resti del Castello della Vignetta.

All’esterno dell’edificio vi è una chiesa abbandonata a se stessa con costruzioni moderne come suggestivo fondale, la cui origine si suppone sia antica: doveva essere l’antica chiesa della Vignetta, denominata di San Giorgio, che le fonti attestano come abbattuta ma che in realtà è proprio davanti al nostro naso (una chiesa davanti ad un edificio storico non è MAI una casualità, e dovrebbe farci riflettere la presenza di chiese sempre di fianco, nelle piazze principali delle città, ai municipi…).

Cosa ci auguriamo sia come Centro Studi che come Gruppo Archeologico? Beh, che almeno lo stemma venga protetto da una lastra di vetro, che venga inserita un’indicazione lungo la strada per far conoscere il posto, che venga salvaguardato e messo in sicurezza per evitare ulteriori crolli ma soprattutto che un giorno questa gemma grezza ci venga affidata per essere salvata dai noti palazzinari i quali vorrebbero edificarvi delle VILLE A SCHIERA.

Andate a visitarla, a conoscerla perchè potrebbe sparire da un momento all’alto e la Storia deve essere ricordata, tramandata come baluardo per il futuro».

Gruppo Archeologico del Piemonte Orientale 

Di simili monumenti al degrado e al disinteresse il Piemonte è pieno all’inverosimile. In talune zone è raro trovare un solo Comune dove non ci sia la presenza di almeno un’antica chiesa, di un castello, di un edificio di rilevante valore storico e artistico in completa rovina. Senz’altro è il risultato della stupidità dell’uomo, incosciente della ricchezza storica di questi paesi, ma se tale stupidità fosse l’unica responsabile delle migliaia di scempi ai quali assistiamo in Piemonte dovremmo dedurre che in Paesi come la Svizzera, l’Austria o il Sud Tirolo non ci sono stupidi. 

Per salvare e valorizzare il nostro patrimonio storico, artistico e architettonico – che da solo potrebbe trasformare il Piemonte in una delle mete turistiche più importanti e ambite d’Europa – l’unica strada da percorrere è quella di toglierlo dalle mani di uno Stato straniero e ostile alla nostra identità, che quando non distrugge la nostra memoria scientemente lo fa per incuria colpevole, in modo da realizzare un’eutanasia programmata che possa raggiungere lo scopo dell’assimilazione del Piemonte al modello italo-levantino.

Poiché in questi anni ci si è resi conto che questo Stato arrogante e presuntuoso non ha alcuna intenzione di rinunziare a nessuna delle sue prerogative – anzi, stiamo vivendo un periodo di ri-centralizzazione istituzionale – e che perdura nella totale incapacità di affrontare qualsiasi tipo di situazione, ne deduciamo che il Piemonte avrà la possibilità di superare simili situazioni di degrado (non soltanto artistico, ambientale o turistico, ma anche sociale e morale) riguadagnando ad ogni costo la propria sovranità politica perduta due secoli fa: sono in gioco il nostro futuro e la nostra civiltà. 

Lo stemma dell’antica famiglia proprietaria del castello fino al Cinquecento (foto contrastata per far risaltare i colori più verosimili a quelli originali).
L’anno in cui l’edificio storico venne parzialmente abbattuto per far posto all’attuale cascina in rovina.
Una delle poche finestre con inferriata antica non andata distrutta.
Il soffitto a cassettoni (decorato?). 

L’originale via d’accesso.
Un’altra via d’accesso murata nel Settecento.
Ciò che rimane dell’antico mulino.
Parte di cascina aggiunta nel Settecento (escluso il portone a destra, che fu l’ingresso principale), abbattuta negli anni ’70.
Il Castello doveva rispecchiare il modello delle cascine ottocentesche “a corte chiusa”, della quale ormai restano solo due lati, uno dei quali originali (ossia la facciata sulla quale vi è lo stemma dei Trotti).

L’interno della attuale cascina:area trasformata in stalla; il piano superiore (non visibile) adibito a fienile.

Il cortile.

L’ingresso.

Fonte: galleria Fb Gruppo Archeologico del Piemonte Orientale

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