Il poeta ghibellino Fazio degli Uberti (Pisa, 1305? ’09? – Verona, post 1367), discendente del celebre Farinata di dantesca memoria, bandito da Firenze viaggiò ospite di varie corti in cerca di appoggi politici.
Fazio è ricordato per aver scritto un lungo poema didascalico, Il Dittamondo, nel quale raccontò un viaggio attraverso tutto il mondo conosciuto. Lavorò a quest’opera dal 1346, lasciandola incompiuta.
A noi qui interessa leggere come descrisse il suo passaggio in quel Piemonte di quasi settecento anni fa.
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«Poi in vèr Piemonte prendemmo la via,
cercando s’io trovassi in alcun seno
filo da tesser ne la tela mia.
Giunti a Mortara, quivi udimmo a pieno
che per i molti morti il nome prese,
quando li due compagni vennon meno.
E cosí, ricercando quel paese,
passammo il Sesia, Novara e Vercelli,
che Pico in prima a fabbricare intese.
Tutto ’l paese è in piano e monticelli,
come suona il suo nome, e pieno ancora
di pan, di vin, di fiumi grandi e belli.
La Dora, Astura, l’Agogna e la Mora
passammo e ricercammo Monferrato,
dove un marchese largo e pro dimora.
Saluzzo, Canavese e Principato
trovammo e sí vedemmo Alba e Asti,
che ’l Tanar bagna e tocca da l’un lato.
E benché i muri siano vecchi e guasti
d’Acqui, non è però da farne sceda
per Pico, che la fe’ ne’ tempi casti,
e per li bagni, onde si correda,
sani e buoni, benché ora poco
par che ne caglia al Signor che n’è reda.
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Siamo nel Trecento, e Fazio cita alcune località, evidentemente già considerate piemontesi: Mortara, Novara, Vercelli, Alba, Asti, Acqui. Poi i fiumi Sesia, Dora, Stura (Astura), Agogna, Tanaro (la Mora è oscuro). Sono già considerati piemontesi, malgrado costituiscano Stati indipendenti, Monferrato, Saluzzo, Canavese e Principato. C’è quindi un Piemonte geografico che si estende già al di là della suddivisione politica di allora.
Questo Piemonte raggiungerà la sua unità nazionale nel 1748, in seguito alla grande vittoria sul Colle dell’Assietta del 17 Luglio 1747.
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Contrordine, siamo piamontesi
Dal «Don Chisciotte» ai saggi di Botero spunta una «a» nel nostro passato: e qualche nuova ipotesi etimologica
Dalle Valli dell’Ossola alle Alpi Marittime siamo tutti piamontesi. E piamontesi perché nati o abitanti in Piamonte. Con la «a», come la nostra regione (sic!) è stata chiamata, per secoli. [Lo afferma il glottologo tedesco Karl Gebhardt, dell’Università di Kiel]. Il suo saggio «Piamonte/Peamont» è apparso sull’ultimo numero di «Studi Piemontesi, la bella rivista della Ca dë Studi Piemontèis […]
Il primo a darle un nome, negli Anni 70 dopo Cristo, è Plinio: che però non la chiama Pedemontium, come avverrà, latinamente, solo nel basso Medio Evo. La chiama «ager subalpinus» territorio sotto le Alpi. E subalpini i nostri antenati si definiranno per oltre un millennio: con una dizione che resiste tenacemente anche nei tempi moderni. In lingua italiana il nome della regione (sic!) e quello degli abitanti saranno ignorati a lungo, fino a Dante compreso.
La prima attestazione ci viene da un altro fiorentino, Giovanni Villani, che nella sua Cronica, 1337, scrive: «La nazione del conte Giordano d’Agliano fu di Piamonte in Lombardia». Già, eravamo lombardi anche noi, per gli italiani di allora, che ci consideravano sempre discendenti di Adelchi. Ma longobardi di Piamonte, con quella «a» che ci sarebbe rimasta addosso per secoli: se perfino un autore piemontese (pardon, piamontese) come Giovanni Botero intitola «Relazione di Piamonte» un suo libro del 1607.
[In lingua piemontese] la parola nasce scritta come «Peamont», attestata per la prima volta in un poema sulla «Presa di Pancalieri», 1410.
In francese subisce la variante «Pymont», tanto da suggerire a François Villon, autore di una illustre citazione nella ballata «Les femmes de Paris» (1461), l’aggettivo «pimontoises».
La «a» torna a imporsi in spagnolo, come testimonia nel ‘500 una citazione più illustre ancora: un passo del «Don Chisciotte» dove si parla di un cavaliere di Alicante che va ad arruolarsi «in Piamonte». E Piamonte, per gli spagnoli, resterà fino a oggi.
Perché? Si chiede il benemerito linguista di Kiel, con una pistineria che nemmeno un piemontese saprebbe raggiungere. Perché il nome della nostra regione (sic!) si forma nei dialetti franco-provenzali, della Savoia e delle valli di Susa e di Lanzo, dove la parola «piede» si diceva «pia» o «pya». La burocrazia savoiarda, sostiene lo studioso, dovendo dare un nome ai territori dello Stato al di là delle Alpi, non poteva più accontentarsi del generico termine Lombardia, troppo esteso. E consacrò nei suoi atti la parola Piamont entrata in uso fra la gente di montagna.
Solo più tardi il «pia» diventa «pie», dall’italiano «piede» [dal francese «pied», ndr]. Ma qualche autore più sofisticato difende la vecchia «a» ancora alla fine del ‘900. E Karl Gebhardt ricorda Antonio Bodrero, il barba Toni della Val Varaita, che prega il Padre perché gli renda «la patria cita, su ‘n Tò cel, amont, pì a mont: Piamont». Dove il gioco di parole «pi a mont», più a monte [più in alto, ndr], vorrebbe anche significare una […] molto poetica etimologia.
Giorgio Calcagno, La Stampa 31.3.2002