Nel suo celebre e profetico 1984 (un romanzo che oggi non dovrebbe mancare in una seppur essenziale biblioteca) George Orwell rammenta gli slogan di ogni tempo del partito al potere: «chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato»; «la menzogna diventa verità e passa alla storia».
A scuola (e non solo a scuola) la storia del Piemonte non esiste fino al periodo della rivoluzione italiana (il cosiddetto risorgimento). Prima ci sono i sette re di Roma, la Toscana dei Comuni e delle Signorie, il rinascimento, Napoleone (ovviamente tutte vicende avvenute in preparazione all’unità italiana) e poi, improvvisamente, spunta il Regno di Sardegna e la sua presunta missione unificatrice. Prima il Piemonte non c’è.
Per chi ha interesse a controllare il passato per controllare il futuro il Piemonte di prima del risorgimento deve rimanere nascosto e, quando proprio non si può, minimizzato e addomesticato. Lo tenga presente chi, cadendo nella trappola, non ritiene troppo importante conoscere la storia del proprio Paese.
Il Piemonte di prima dell’Ottocento dorme negli scaffali polverosi dei sopravvissuti archivi, oppure è in ostaggio, prigioniero di studiosi più interessati a difendere la propria ideologia che a restituire al popolo la dignità della propria storia.
Perché questo Piemonte viene gabellato come “arretrato” e trascurabile?
È relativamente semplice: gli Stati di Savoia antichi, che come tutti gli Stati cercavano di sopravvivere fra guerre, invasioni, carestie, epidemie, scismi e tradimenti, erano comunque un Paese «vero». Vero perché abitato da persone vere, non da teorici della rigenerazione dell’umanità; perché dall’esperienza della storia si era costruito solide radici, non era stato ipotizzato per essere poi ricreato dal nulla. Era un Paese normale, non un “laboratorio”.
Nel periodo napoleonico accade qualcosa: il Piemonte si sdoppia. Al Piemonte «vero», quello che ha plasmato il carattere del suo popolo, quello coerente con i valori delle proprie origini, se ne affianca un altro: il progetto internazionalista di un «nuovo» Piemonte.
Questo «nuovo» Piemonte è allora, fra Settecento e Ottocento, una pura teoria, non esiste che nella testa di uno sparuto gruppo di teorici che si autodefiniscono illuminati. Il loro compito è quello di trasformare quest’idea in una realtà tutta nuova, coerente con le ideologie già sperimentate nella rivoluzione francese.
Perché realizzare un altro Piemonte? Per sfruttarne le enormi potenzialità politiche e militari e realizzare la rivoluzione italiana – quella che gli storici allineati chiameranno risorgimento.
Questo «nuovo» Piemonte tutto da fare si prefigura come l’opposto del Piemonte reale, quanto di più lontano può esserci dalla sensibilità e dagli interessi della sua gente. I suoi obiettivi rivoluzionari sono avversi ai suoi valori e alla sua storia. Per realizzarlo (e poi trarne vantaggio) si deve pertanto andare contro la sua natura.
La teoria dei «due Piemonti» è essenziale; se sfugge questo concetto diviene incomprensibile tutto quanto è avvenuto negli ultimi due secoli, compresa la cronaca recente.
Il Piemonte «vero», quello storico, sarà una delle vittime sacrificali dell’unità d’Italia; il «nuovo» Piemonte, quello massonico e internazionalista, uno degli artefici.
Non accadde soltanto al Piemonte, da dopo la rivoluzione francese tutti i popoli saranno ripetutamente sdoppiati e divisi da ogni sorta di ideologia. Il caso piemontese è paradigmatico perché inondando gli spiriti di ideologie mondialiste e solleticando gli appetiti ordinari di potere e denaro dei maggiorenti, in pochi anni emergerà distintamente una «creatura» che, opportunamente scatenata in una data direzione, avrebbe potuto centrare l’obiettivo delle ideologie che già causarono la mattanza rivoluzionaria: la distruzione del cattolicesimo.
Il cristianesimo diede vita all’Europa, ne permeò ogni aspetto della civiltà e della vita sociale e individuale. Il Cristo porta la Verità e afferma: la Verità vi farà liberi. Ma la libertà contrasta con la sete di potere, potere che genera ricchezza; più aumenta il potere di pochi più si dissolve la libertà dei molti.
Tornando al caso del Piemonte (oramai sdoppiato), non si trattò, come è ovvio, di una sostituzione pura e semplice, ma di una sovrapposizione graduale, di una alterazione progressiva, per cui dopo un cinquantennio di infido stillicidio di tentazioni e provocazioni, questa astrazione (il «nuovo» Piemonte) riuscirà a prendere il sopravvento negli ambienti del potere e a raggiungere gran parte dei suoi obiettivi.
Abbiamo anche l’anno di nascita di questo «nuovo» Piemonte: il 1796, l’anno dell’ultima invasione francese; e anche quello che lo vide conquistare il potere politico: il 1845. La sconfitta del vecchio Piemonte avvenne nel 1857 con un colpo di stato. Infine vi fu l’occupazione militare italiana, nel 1864. Dopo ci saranno gli strascichi, e saranno tragici.