Luis Pietraqua

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Luis Pietraqua
Voghera 1832 – Turin 1901

Alla ricca raccolta di commedie del Goldoni, che tanta simpatia e tanto buon umore suscitò nei veneziani, posssiamo contrapporre l’altra collana non meno interessatile del piemontese Pietracqua Luigi, di cui oggi ne ricordiamo succintamente la memoria, essendo stato considerato il Goldoni del Piemonte per la sua produttività drammatica, per la fedele dipintura dei costumi e dell’ambiente, per la larga popolarità conquistata.
Luigi Pietracqua è stato indubbiamente il più potente, il più originale, il più fecondo dei commediografi piemontesi; quegli che del popolo, con genuinità tutta propria, seppe meglio comprendere e discernere l’anima ingenua e passionale, i vizi e le virtù, gli egoismi e gli eroismi, il carattere in genere e in particolare.
Nato a Voghera da una famiglia di operai, operaio egli stesso, il Pietracqua vide e senti ben presto intorno a sé tulle le lotte della miseria, tutte le aspirazioni della classe operaia e, formatosi un chiaro e preciso concetto dell’arte ebbe subito la visione di quanto il teatro dialettale* si adattasse alla sua natura, al suo intendimento di portare il vero nella nuova scena popolare.
Il pubblico cominciò a interessarsi ai lavori del povero operalo; il quale ben presto fu in grado di migliorare le proprie condizioni e da tipografo diventò pubblicista, collaboratore e redattore della «Gazzetta Piemontese» e del «Fischietto», nonché fondatore di una quantità di periodici in lingua e in dialetto* quotidiani e settimanali, che però non ebbero lunga vita, anche perché la sua attività reclamava lavori di altro genere: quelli della scena.
Il Pietracqua, quindi, non limitò la sua produzione alla letteratura drammatica e al giornalismo, ma coltivò anche molti altri generi letterari; però la sua gloria maggiore l’ottenne attraverso il teatro piemontese, e l’interesse del pubblico si mutò ben presto in meraviglia e in vivissimo compiacimento di fronte alla vera e crescente rivoluzione che, con le commedie «Gigin a bala nen», «Sponde dël Pò», «Sponde dla Dòra» e soprattutto «Zablin a bala» e «Rispeta toa fomna», diede la completa misura del suo valore e del suo genio di acuto osservatore e di potente sceneggiatore.
Un senso meraviglioso della naturalezza, una fedele pittura di costumi e di ambienti, una grande verità di caratteri umani, e su tutto un alito di freschezza e di semplicità, come di limpida arte primitiva, informano queste prime commedie del Pietracqua. Più tardi, la preoccupazione educativa, la «santa missione del popolare poeta comico» lo fece incorrere in esagerazioni, in monotonie, in errori e talora in cadute clamorose; ma anche coloro i quali escludono che il teatro possa esercitare una benefica influenza sulle masse, non possono negare al Pietracqua l’ammirazione per avere egli saputo cogliere intorno a sè, nel mondo da cui era sorto e in cui viveva, il lato drammatico e comico della vita; per aver saputo riprodurre i sentimenti e il linguaggio del povero e dell’umile con semplicità (…) e contratti schietti e precisi.
Col «Cotel» aprì quella che si può chiamare la seconda maniera del Pietracqua, la serie, cioè dei lavori nei quali al dramma psicologico, al dramma e alla commedia individuale succede la commedia e il dramma sociale; e questo periodo si chiuse con un altro acclamatissimo dramma sociale: «Ij fieuj ‘d gnun», che fu considerato come l’ultimo prodotto letterario del Pietracqua, giacché in qualche altro dramma che egli in seguito presentò alla luce della ribalta si vide già la sua decadenza.
La vita, troppo spesso alla «Bohémien», di Luigi Pietracqua fu coronata da una triste vecchiaia: egli si spense nel 1901 nello sconforto e nell’isolamento. Nel teatro Rossini la sua memoria è ricordata da un medaglione commemorativo eseguito dallo scultore Pozzi. 

C P. (La Stampa della sera, 23.9.1931)

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Personaggi e drammi della Torino che fu nei libri di Pietracqua

La seconda edizione di uno dei «Romanz Stòrich Popolar» di Luigi Pietracqua, «Ij Misteri ‘d Vanchija», edita nella Collana Narrativa in Piemontese dall’Andrea Viglongo & C. di Torino, ci porta a conoscere uno scrittore che fu caro al pubblico dei suoi tempi. Anche quest’opera — pubblicata «per la prima volta nelle appendici del periodico dialettale* piemontese “Compare Bonòm”, in 89 puntate, dal 27 maggio 1893 al 7 aprile 1894» — risponde allo stile che caratterizza Luigi Pietracqua romanziere, diverso dall’autore di Teatro, più realistico e, sotto l’aspetto linguistico, più curato.
Un’occasione, questa, per rivisitare, del Pietracqua, gli altri romanzi più conosciuti e più famosi, come «Don Pipeta l’Asilé» e il «Lucio dla Venerìa» (tutti in Collana dall’Editore Viglongo).
«Scrittore rapido — scrive Renzo Gandolfo — facile, da “feuilleton”, senza pentimenti, senza lima anche, senza molto freni d’arte. Lo scrivere — quasi tutti i suoi scritti hanno almeno uno sfondo se non un intento dichiaratamente sociale —faceva parte della sua battaglia per un socialismo sentimentale e umanitario, per l’elevazione dei ceti diseredati, sfruttati dai ricchi e dai preti…».
Delfino Orsi nella sua opera «Il Teatro in dialettopiemontese» non esita a definire Luigi Pietracqua «un maestro… uno dei maggiori campioni della letteratura piemontese». È un giudizio generoso che, comunque, intende rendere merito alla mole ed alla poliedricità dell’attività artistica e letteraria dello scrittore.
Arrigo Frusta (Avv. Augusto Ferraris) su «Ij Brande – Giornal ed Poesìa Piemontèisa» del 1° settembre 1955, nel suo articolo dal titolo «Luis Pietracqua come i heu conossulo mi» (come l’ho conosciuto io) scriveva: «…A s’antendìa ‘d tut: siensa, poesìa, teatro, romanz, racont, crìtica, polémica… Impossìbil fé ‘l cont precis dle soe “opera omnia”… ma lòn che a lo tirava con la fòrsa dla calamita, pì àuta ‘d na ca, a l’era ‘l teatro… Apòstol convint ëd la moralità del teatro» (Si intendeva di tutto: scienza, poesia, teatro, romanzo, racconto, critica, polemica… Impossibile fare il conto preciso delle sue «opera omnia»… Ma ciò che lo attirava con la forza d’una calamita, più alta d’una casa, era il teatro… Apostolo convinto della moralità del teatro…»): potente mezzo di civilizzazione dei costumi… Predicava: «…nobile e santa è la missione del poeta popolare comico… né io impresi a trattare la bersagliata commedia in vernacolo* per isterile balocco, ma con un fine determinato mirando ad uno scopo che per me credevasi santo: l’educazione delle masse».
Va detto — per inciso — che, ancor oggi, quanti curano la poesia, la letteratura o la lingua piemontese vengon ritenuti dalla maggioranza non come degli impegnati in una «missione nobile e santa» — come diceva il Pietracqua — ma come dei perdigiorno che si intrattengon in «sterile balocco».
È sempre Arrigo Frusta che ci descrive il Pietracqua (è il Pietracqua degli ultimi anni) con il realismo della prosa che lo distingue: «…Chi che a lo conossìa nen a l’avrìa mai pì dit che s’omnèt ëd pòca presensa, bòrgno d’un euj, picotà da le vairòle, con na barbëtta da cravieul e un gran brocio ‘d cavej scarbojà dzora la front rupìa come na raneta, a fussa stàit un giornalista dij pì scaudà, na manera ‘d cavajer sensa paura, sempre pront a cimentesse con mes mond…». (…Chi non lo conosceva non avrebbe mai detto che quell’omino di poca presenza, cieco da un occhio, segnato dal vaiolo, con una barbetta da capriolo ed un gran ciuffo di capelli scapigliati sopra la fronte rugosa come una mela, fosse stato un giornalista dei più focosi, una figura di cavaliere senza paura, sempre pronto a cimentarsi con mezzo mondo…).
Il Pietracqua non è che uno dei tanti scrittori che la Letteratura Piemontese degli ultimi trecento anni può offrire ai giovani del Piemonte di oggi. Ai giovani delle scuole, a cui da sempre è stata negata e preclusa la conoscenza e la fruizione dei valori che la poesia piemontese porta in sé.

Camillo Brero
Stampa Sera 5.11.1990

L’usage dle paròle dialetto e vernacolo arferìe a la lenga piemontèisa a son pròpie ‘d na serta época ch’a l’ha tirà a dëspresié l’identità nassional piemontèisa (bele ant soe espression literarie) për rendla subordinà e inferior a cola che l’Ëstat a vorìa ampon-e.


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