Enzo G. Conti, in “Storia e folklore nel Monferrato di Giuseppe Ferraro, carpenetese” (Giornata di Studi in onore di Giuseppe Ferraro – Carpeneto 27.5.2006); Atti a cura di Lucia Barba e Edilio Riccardini, Carpeneto, 2007.
Introduzione
Apparentemente il tema di questa mia relazione potrebbe sembrare poco o nulla inerente alla figura di Giuseppe Ferraro che è unanimemente conosciuto per la sua fondamentale opera demologica sui canti popolari.
Ma è proprio perchè il Ferraro (come del resto anche molti suoi contemporanei, tra cui in primis Costantino Nigra) ha dato minimo rilievo nella sua opera all’aspetto musicale e solo per accenni ha trattato l’argomento delle danze popolari, che ho trovato stimolante sviluppare questo argomento.
Ovviamente il mio intento non ha certo la presunzione che questa relazione possa essere assunta a compendio dell’opera del Ferraro, ma solo di stimolo per alcune considerazioni sul significato del ballo tradizionale e/o etnico.
Vale, secondo me, la pena di domandarsi dunque il perchè di alcune scelte del Ferraro, tra cui quella di non riportare mai la musica dei canti raccolti.
Penso che egli, in sintonia, come già detto, con molti Autori a lui vicini come intenti e periodo storico, attribuisse al canto popolare un valore in quanto “poesia” popolare, slegandolo quindi dal fatto musicale.
Certo che i mezzi tecnici a disposizione dell’epoca non aiutavano.
Un conto è avere la possibilità di utilizzare un registratore con cui “catturare” il canto nella sua completezza, come hanno fatto gli etnomusicologi negli ultimi decenni e un conto è doverlo trascrivere a mano al momento dell’indagine, “interpretandone” anche la musica e non solo il testo e adattandolo, nell’immediato, alla trascrizione su pentagramma.
Per farlo sarebbe stata necessaria probabilmente una maggiore motivazione e preparazione “musicale”, come è avvenuto, per esempio, qualche anno dopo nella ricerca attuata da ► Leone Sinigaglia, musicista torinese che raccolse molti canti popolari piemontesi al fine di adattarli per il pubblico colto, sulla falsariga del lavoro compiuto da Brahms e Dvořák (che il Sinigaglia ammirava e frequentava) e, in modo ancor maggiormente rilevante, da Bartók.
Dunque il Ferraro volutamente trascura il fatto musicale, però va detto che, anche se in un breve scritto, l’argomento del ballo popolare appare.
Infatti in “Spigolature popolari monferrine”, pubblicato in ATP (Archivio per lo studio delle Tradizioni Popolari) nel 1887, scrive:
“Suoni pochi, perchè la musica è poco coltivata da noi. Ma abbiamo il nostro allegro ballo nazionale, la Monferrina, noto in Italia e fuori, ed altri allegri balli detti la curenta, ir calissun; quest’ultimo è ormai antiquato”
Ricordo che un altro accenno al ballo denominato monferrina compare in un altro scritto del Ferraro del 1893, pubblicato sempre in ATP dal titolo “L’altalena sarda ed il ballo: La Monferrina”.
Dalle ricerche sviluppatesi soprattutto dalla seconda metà del Novecento e, altresì, da alcune pubblicazioni di autori anche precedenti al Ferraro, si desume comunque che la descrizione dell’insigne carpenetese sui balli popolari fosse quantomeno restrittiva.
Solo come pura curiosità e senza alcun valore etnomusicologico vorrei riportare, proprio a proposito della citata monferrina, due citazioni che, a mio avviso, possono essere comunque significative sulla diffusione di tale ballo.
“Non ch’io voglia da lei altro fuorché un paio di monferrine, perchè so già ch’ella è doppiamente piagata dall’amore” (Ugo Foscolo, “Epistolario” – lettere dal 1794 al 1816).
“Nelle campagne, sulla porta dei casolari si vedeva il soldato francese intento a cullare il piccino della massaia e quasi ogni sera qualche tamburino improvvisava un ballo, al suono di un violino.
Poiché i soldati, che d’altronde non le conoscevano, non sapevano insegnare alle donne del paese le contraddanze, troppo elucubrate e difficili, erano le donne stesse a guidare i giovani francesi nella monferrina, nel saltarello e in altre danze italiane.” (Stendhal, “La Certosa di Parma”, 1838).
Definizioni
A questo punto, mi sembra doveroso proporre alcune definizioni, tra le più accettate, per descrivere cosa si intenda per ballo etnico, tradizionale, popolare; termini, talvolta sovrapponibili, che si prestano spesso ad essere utilizzati in modo impreciso.
A tale proposito ho estrapolato alcune frasi dell’etnomusicologa Placida Staro, riportate nel capitolo “Il ballo” contenuto nel trattato, curato da Roberto Leydi, “Le tradizioni popolari in Italia” pubblicato nel 1990.
“Danza tradizionale è quella forma coreutica che ha assunto valore a cadenza di consuetudine all’interno della pratica sociale sviluppandosi in forme proprie del gruppo di appartenenza”
“La danza etnica è la forma coreutica che è tratto distintivo ed identificatore della cultura del gruppo etnico di appartenenza, forma che, nella pratica sociale, è portatrice di valori simbolici cerimoniali.”
“Non causa motivi di scandalo, quindi, ritenere danza tradizionale oggi il ballo liscio, perchè valzer, polke, mazurke, all’interno di molte comunità sociali, hanno sviluppato modalità stilistiche autonome e rispondono a momenti aggregativi rituali valevoli per l’intero corpo sociale.”
[Aggiunta del relatore: un esempio in Piemonte di tale situazione potrebbe essere quello del ballo liscio praticato nelle vallate appenniniche della cosiddetta “area delle quattro province”, i cui passi si distinguono in maniera netta da quelli eseguiti comunemente nel liscio di origine romagnola].
“Tradizionali o etnici non possono essere invece definiti, benché popolari, i vari balli di moda di importazione americana o sudamericana, poiché la loro pratica è limitata di volta in volta a gruppi circoscritti, per età, condizioni socio-economiche e status sociale”
A questa ripartizione, che la Staro utilizza riferendosi allo stato attuale delle cose, io aggiungerei, in una visione invece maggiormente “storica”, un’altra categoria, cioè quella delle danze “di sala” che venivano praticate un tempo soprattutto dalle classi borghesi e dalla piccola nobiltà (ci riferiamo a quelli ben documentati in Piemonte a partire dal ‘700 fino agli inizi del ‘900).
Tali balli talvolta erano importati da altre zone geografiche europee attingendo anche dal repertorio popolare ed interagendo con esso in continui scambi e subendo anche, come succede oggi, gli alti e bassi della moda.
In questi casi le danze potevano essere composte da musicisti più o meno colti (in senso musicale) ed il materiale coreografico era quasi sempre adattato o reinventato da veri e propri “maestri” di danza, ma la base “popolare” spesso rimaneva esplicita.
La ricerca
La ricerca etnomusicologica “sul campo” e d’archivio svolta dall’Associazione Culturale Trata Birata inizia nel 1977 e riguarda l’intero territorio piemontese, con particolare riguardo all’area del Basso Piemonte, mentre minore è stato il suo impegno diretto in altre aree (ad esempio le vallate occitane) dove ricercatori locali avevano già intrapreso in precedenza una circostanziata documentazione.
La scopo primario è, fin dagli inizi, quello di potere arrivare a raccogliere ed archiviare in modo organico e comparativo il patrimonio etnomusicologico piemontese con la maggiore completezza possibile, in modo scientifico, privo di preconcetti e di fini secondari.
Gli strumenti utilizzati per la ricerca “sul campo” sono stati vari tipi di registratori audio associati in seguito a diversi modelli di videocamere.
Le danze in Piemonte
Questo elenco, che non pretende di essere esaustivo, offre comunque un’immagine piuttosto completa delle danze finora documentate in Piemonte.
Va letto tenendo conto che:
– non vengono riportate tutte le varianti della stessa danza (per esempio nella sola Val Varaita esistono molte varianti della courento a seconda delle località e talvolta anche nello stesso paese)
– il fatto che due danze abbiano la stessa denominazione spesso, dal punto di vista coreografico e musicale, non significa che abbiano una qualche correlazione se riferite a località differenti (per esempio la giga della Val Po non ha quasi affinità con la giga dij Botej, né questa ne ha con le gighe dell’ ”area delle quattro province”)
– sono state riportate sia danze documentate solo musicalmente, cioè ormai prive della memoria coreografica (ad esempio la maggioranza delle monferrine, il baligordin di Roccagrimalda, le danze del carnevale di Ivrea) sia danze ricordate solo coreograficamente ma prive della musica corrispondente (ad esempio il Moulinet della val Varaita, le danze degli Spadonari della Val di Susa)
– la grafia usata cerca di rispettare le varie grafie comunemente in uso nel territorio piemontese per esprimere le varie parlate locali [su questo sito è stata adottata, per la lingua piemontese, la grafia storica, n.d.c.]
Danze etniche e tradizionali diffuse nella quasi la totalità del territorio Piemontese:
- monferrina (monfrin-a, monferina, monfrinòta)
- curenta (corenta, correnta)
Danze etniche e tradizionali legate ad aree specifiche:
- Val Varaita: gigo, courento, countradanso, bouréo, tresso, tour, rigoulet, guihouno, cadrio, pountarelo, baletas, camaigro, courento doubio, calissoun, asus-ain, tolo, cousteòles, rigoudin, gamaoucho, troumpezo, moulinet, balet, mesquio
- Val Vermenagna: courenta, balet
- Val Maira: courento dla Rocho
- Val Po: giga, bouréa
- Valli Germanasca, San Martin e Chisone: courento, boureo, spouzino, spouzin, badouaezo, countrodanso, rigoudoun, lou bal da Sabbre (danza rituale degli Spadonari a Fenestrelle)
- Valli di Lanzo: courenda, courenda dei sette salti, bràndou (branlu)
- Valli appenniniche dell’area detta “delle quattro province” (Alessandria, Genova, Pavia, Piacenza): monferrina, alessandrina, giga a due, giga a quattro, perigurdino, piana, bisagna, sestrina, pòvra dona
- Roero, Langhe, Monferrato e alcune aree limitrofe: brando (sbrando), monferrina, borea (borèja), corenta, corenton
- Roccagrimalda: corenta dij Botej; danze rituali del Carnevale: lachera, giga, calisson, baligordin (poligordin)
- Val Vigezzo: monfrina; danze rituali del Carnevale: matuzinàa, bal dol Trapula
- Val di Susa (Giaglione, San Giorgio, Venaus): danze degli Spadonari
- Ivrea: danze rituali del Carnevale: diana, monferrina, pifferata
- Danze “di sala” documentate in raccolte a stampa o manoscritte: monferrina (monferina), alessandrina, piemontese, giga, perigurdino, perigoldino, contradanza (contraddanza), quadriglia, galòp, pachiottina, allemanda, borea, corrente, scottish (schottisch, scozzese), inglese, forlana (furlana), gavotta, valz, valzer, polka, mazurka
- Danze in uso in Piemonte (a partire dalla fine del XVIII secolo) di documentata provenienza extrapiemontese: valzer, polca (polka), mazurca (mazurka), scottish (schottisch, scotis)
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Fonte: Trata Birata / Tre Martelli, che ringraziamo per l’autorizzazione